di Giacomo Vaciago
Sono ancora da digerire le conseguenze della speculazione immobiliare dei primi anni 2000. Come ha scritto Robert Shiller, si è trattato di un aumento dei prezzi delle case ingiustificato in un paese – gli Stati Uniti – dove l’area edificabile procapite è potenzialmente illimitata.
Diverso è il caso dell’Italia, dove la bolla immobiliare è stata minore e in molti casi l’aumento di valore ha riguardato più le aree (l’edificabilità) che gli edifici costruiti (l’attività edilizia). Da questo punto di vista, non abbiamo neppure avuto il beneficio del sostegno al reddito dato da nuove costruzioni. Solo le conseguenze negative – anche in termini di legalità ed onestà – rappresentate dalla rendita immobiliare, che delle tante rendite di cui si occupa il Governo Monti, con le sue misure di liberalizzazione, meriterebbe qualche attenzione in più.
Anzitutto, una riflessione di metodo e poi alcune proposte. Il primo aspetto riguarda il concetto stesso di “rendita”, che misura la remunerazione di una scarsità, che può essere naturale (come nel caso dell’area del centro storico) o dovuta ad un provvedimento amministrativo (come una concessione, data solo ad alcuni). La filosofia del Governo Monti è che tutte le rendite, a cominciare da quelle date da provvedimenti amministrativi, devono essere ridotte: meno rendite significa maggior reddito distribuito a salari e profitti, quindi maggior sviluppo.
Nel caso delle aree edificabili, siamo in un campo di cui ormai ci si occupa solo quando emergono scandali dovuti ad abusi, corruzione e così via. Il legislatore in teoria ha sistemato tutto molti anni fa: le competenze in campo urbanistico sono ripartite tra Regioni, Province e Comuni, in una serie di rapporti tra organi eletti dai cittadini e quindi con il massimo del controllo democratico. Questo in teoria.
Ma se facciamo un po’ di ricerca, utilizzando il campione rappresentato dalla voce “scandali urbanistici” delle pagine (saranno una cinquantina) di Google, si vede subito che quel modello produce più corruzione e scandali di quando i Piani Regolatori erano approvati a Roma dal Ministero. Con amministrazioni di ogni colore politico, ogni tanto (con una qualche prevalenza nei periodi in cui ci sono campagne elettorali da finanziare) partono strumenti urbanistici nuovi o varianti che mutano destinazioni d’uso e quindi valori edificabili in modo significativo.
La competenza del Comune è soggetta a parere della Provincia, ma quando questo parere – che è solo di legittimità e non di merito – è negativo, basta che il Consiglio Comunale poi replichi, sostenendo che la Provincia non sa quel che dice, perchè la cosa si concluda così. Confermando l’opinione che se le Province sono più oneste, cioè meno coinvolte in scandali, è solo perchè… sono inutili.
Una volta che si accerta che tanti diversi scandali presentano alcune fondamentali analogie, quali sono i rimedi possibili? Ovviamente, la prevenzione è necessaria e si vede che richiede molta più trasparenza.
Occorre che anche in Italia, come avviene nei paesi civili, l’intero procedimento sia reso del tutto trasparente. Ad esempio, nel caso di varianti urbanistiche si pubblica, sul sito del Comune, la domanda dell’interessato, la successiva fase istruttoria, le varie delibere, le loro motivazioni, tutte le norme utilizzate, le ragioni del credito bancario, e così via. Idem per il successivo parere della Provincia e per le eventuali controdeduzioni del Consiglio Comunale.
Le moderne tecnologie rendono estremamente facile tutto ciò. Ma se esaminate i casi più clamorosi che compaiono sulle pagine Google e risalite ai siti degli enti locali coinvolti, non trovate nulla della documentazione che da qualche parte deve pur esistere; neppure i verbali dei Consigli Comunali che hanno discusso e votato quelle pratiche spesso milionarie. Già rendere integralmente pubblici (con le norme rilevanti e non solo i loro numeri) sia i pareri delle Province sia le successive controdeduzioni dei Consigli Comunali porrebbe un limite all’estrema privacy che oggi circonda varianti che regalano milioni di euro a pochi…. fortunati.
Si aiuterebbero anche le comunità coinvolte ad essere un po’ più attente, fin dall’inizio, in queste pratiche. E non dovrebbe succedere ciò che si è visto nella mia città – Piacenza – dove una scuola già dell’Enel è stata venduta per 5 milioni e dopo tre mesi rivenduta per il doppio, sulla base di una promessa variante di destinazione d’uso, da scuola ad abitazione. Mentre nelle scuole pubbliche che distano pochi metri mancano laboratori, mancano palestre, e si fa lezione in aule poste nei seminterrati. Una variante che regala milioni di euro a pochi fortunati, mentre migliaia di ragazzi e le loro famiglie neppure ritengono che la cosa li riguardi. Come dire che se gli scandali urbanistici sono di casa nei Consigli Comunali, è anche vero che ogni città ha il Consiglio Comunale che si merita.
(da Il Sole 24 Ore di giovedì 16 febbraio 2012)