Case in terra cruda, specie protetta in via di estinzione

Le case in terra cruda sono un patrimonio  importantissimo, un pezzo della nostra storia, che stiamo perdendo.

Nonostante la tutela normativa e le buone pratiche di alcuni gruppi di persone, sembra che ricordarci umili, disegni un passato solamente da dimenticare, anzi, un passato che vogliamo sfruttare per continuare inperterriti a costruire.

Case di terra, specie protetta

Una casa di terra è una casa di terra cruda. Non ne avevo mai viste, pensavo stessero solo in Africa o nello Yemen. Poi c’è stato il terremoto a l’Aquila, dove lavoro. Ci siamo dovuti spostare per qualche mese, sperimentando la generosa ospitalità e il cuore degli Italiani. A Corropoli, Val Vibrata, Teramo. Cinquemila anime, poco meno.

Una casa di terra diroccata stava proprio di fronte all’agriturismo dove alloggiavo. Girando per le colline della Val Vibrata se ne vedono molte. Alcune in ottimo stato, la maggioranza dirute. Le chiamano pinciaie, o pingiare. La terra di cui sono fatte ha lo stesso colore del campo dove sorgono, la superficie dei muri è continua, con una bellissima grana dorata.

Nel 1933 ce n’erano 7012 nel solo Abruzzo, quasi tutte abitate.

In Italia ve ne sono, con nomi e tecniche diverse, in Piemonte (tecnica dell’impasto totale detto pisé, di derivazione francese), nella Sardegna meridionale (tecnica del mattone crudo essiccato, o adobe, la stessa dei pueblo del Centro America) e, appunto, in Abruzzo e Marche (tecnica del massone). Alla fine degli anni ’90, quando l’Abruzzo ne censiva ancora 806, in altre regioni come Emilia-Romagna, Toscana, Basilicata e Calabria si erano ormai estinte.

Estinte. Usando questo termine le trattiamo come specie viventi a rischio, avvicinandoci così al problema della loro tutela.

Stabilita dal Parlamento nel 2003 (L. 378) allo scopo “di salvaguardare e valorizzare le tipologie di architettura rurale, quali insediamenti agricoli, edifici o fabbricati rurali, presenti sul territorio nazionale, realizzati tra il XIII ed il XIX secolo e che costituiscono testimonianza dell’economia rurale tradizionale”. Ma se c’è la legge di tutela, qual è il problema?

Il primo problema è che sono fragili e hanno bisogno di cure maggiori di quelle che riserviamo alle normali abitazioni. Anche una casa in cemento armato se non è abitata degrada. Figuriamoci una che basta una pioggia intensa a trasformarla in fango che scorre.

Il secondo problema è che nessuno, oggi, abiterebbe una casa del genere: priva di bagno, con muri fatti a mano e perciò storti, infissi approssimativi, pavimenti e scale di legno. E se nessuno le abita, nessuno si accorge dell’infiltrazione, e quando qualcuno se ne accorge è troppo tardi, e anche se volesse rimediare le tecniche di ricostruzione sono quasi perdute.

Il terzo, fatale problema è che in quanto case hanno una cubatura e quindi un valore immobiliare. Il proprietario, è vero, non può demolirle. Ma, come detto, ha un formidabile alleato nelle intemperie. Basta un po’ di pazienza e alla fine un muro verrà giù. Allora sarà facile dichiarare la casa a rischio crollo e candidarla alla demolizione. Per pubblica sicurezza. Dopo, chi potrà negare al proprietario il diritto a “cubare” in misura almeno pari (se non superiore, grazie ai piani casa) al preesistente?

Storia, tecnica e cultura

Le più antiche costruzioni dell’uomo risalgono a sette millenni prima di Cristo, e sono in terra cruda. Ma le pinciaie non sono così antiche: la tecnica con cui furono costruite forse giunse sull’Adriatico forse dall’est con le ondate migratorie che seguirono le invasioni turche del XIV secolo. Ricordo di povertà, come i Sassi di Matera o il borgo di Calcata, questa tecnica fu comprensibilmente, direi giustamente rimossa da un popolo che dopo la guerra si affacciava al benessere, e di malessere ne aveva avuto abbastanza. Delle pinciaie, “case rurali basse, senza pavimento e senza finestre nelle quali l’umidità che trapelava dal suolo e la fermentazione della terra mista alle materie organiche delle quali erano composti i muri generava un ambiente malsano” (G. Trebeschi), non si poteva pensare un gran bene.

Dalla povertà erano però nate, in senso stretto. Nominato re di Napoli da Napoleone, Gioacchino Murat avviò politiche di esproprio dei beni della Chiesa concedendo appezzamenti ai contadini. Costoro da servi si ritrovarono improvvisamente proprietari, ma proprietari senza mezzi economici: per cui edificarono con materiali che non dovevano acquistare alle fornaci ma potevano trovare in loco, forniti dalla terra. Terra, appunto, e paglia sminuzzata; poi rami, canne, tronchi di quercia e d’olmo. Terra smossa, accumulata, bagnata e lavorata dalle zampe delle vacche che la condivano con letame, ridotta in palle grossolane del diametro di una trentina di centimetri, dette massulli. Una fondazione poco profonda, scavata a mano, con un’attenzione estrema al terreno, accuratamente preparato. Nelle più conservate si ammirano i canali di drenaggio, indispensabili a impedire che le piogge le portino via, che raccontano di una manutenzione continua, periodica, viva come le vite che le abitavano.

Leggere il modo in cui erano costruite (io l’ho fatto sul bel testo di Pasquale Rasicci, Case di terra del Medio Adriatico, M-Arte Editore, dicembre 2007) fa capire tante cose. Costruire una pinciaia era un fatto collettivo. La costruzione, che avveniva sotto la guida di un “maestro pinciarolo”, era intercalata da pause necessarie a far asciugare il materiale, e più famiglie contribuivano alla manodopera necessaria a edificare per una sola, a buon rendere. L’uso della terracotta era limitato al minimo indispensabile, essenzialmente ai coppi del tetto e al forno. La necessità di terra argillosa e acqua ne legava la realizzazione al luogo, e il sapere della tradizione ne definiva la forma.

Un futuro dal passato

Conoscere gli aspetti tecnici, immaginare la vita di chi le abitò tende un filo che s’intreccia su vari piani di sapere ed emozione, e giustifica l’aver assunto queste realizzazioni a beni culturali primari nella Legge Regionale Abruzzese 11/97. Come opportunamente rileva l’architetto De Annuntiis, che ebbi il piacere di incontrare a Corropoli, almeno tre itinerari possono delinearsi: il primo di carattere etnologico, intorno alla “eccezionalità di una costruzione misera e precaria capace tuttavia di sopravvivere alle sue stesse ragioni”; il secondo, “alla ricerca delle diverse forme assunte dall’architettura in terra cruda” nel mondo; un terzo, forse più di altri provvisto di futuro, attraverso “lo spessore tecnico” di queste costruzioni. Perché il genere di edilizia di cui si parla ha una peculiarità unica: non cuoce la terra, quindi non genera CO2. Neppure per il trasporto dei materiali, che si dovrebbero trovare là dove si deve costruire.

Infatti c’è chi ci crede, e costruisce case di terra cruda per gli usi d’oggi (ad es. http://www.terracruda.org/casa-di-terra/residenza-privata-poggio-dei-pini), e c’è chi cerca di far sì che le buone pratiche abbiano un futuro, sia attraverso progetti europei (vedi ad es. http://www.culture-terra-incognita.org/), sia con progetti di legge (vedi ad es. http://www.casediterra.it/legislazione.htm).

Ma nonostante questo, e nonostante la buona volontà degli amministratori locali, le pinciaie abruzzesi sembrano avere ragioni troppo deboli trasformarsi in un futuro. Così, probabilmente, tra breve spariranno da quelle belle colline.

Articolo di Claudio Arbib

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Link consigliati
Centro di documentazione sulle case di terra: http://www.casediterra.it/cittaterra.htm
Associazione nazionale città della terra cruda: http://www.terracruda.org/ (anche come accesso a risorse internazionali).
Per vedere la più antica città del mondo (ovviamente in terra cruda) e le sue opere d’arte: http://globalheritagefund.org/slideshows/catalhoyuk_slideshow

Link a risorse locali
Proloco Sant’Omero: http://www.prolocosantomero.it/cms/sant-omero/territorio/le-pinciaie.html
Piste ciclabili: http://www.piste-ciclabili.com/itinerari/1734-santomero-via-delle-pinciaie

 

11 commenti

  1. Buongiorno da pochi mesi sono proprietario di una vecchia casa in ladiri abito nella provincia di cagliari ,la casa si presenta con vari lavori da eseguire tra cui il tetto vorrei salvare tutte le pareti fatte parte in pietra di scisto e in mattoni di terra cruda volevo sapere se attualmente c’è una legge chevfonanzia parte del recupero grazie !Giuseppe

  2. In terra cruda sono costruiti numerosi importanti antichi edifici del centro storico di San Miniato PI. Sarebbe importante individuare modalità per il miglioramento sismico e per la risarcitura delle lesioni di questi fabbricati che si sviluppano in altezza dai tre ai quattro livelli.

  3. penso che purtroppo nel nostro paese ci sia ancora troppo diffusa la cultura devstante degli anni settanta….quella cementista che crea degli squilibri assurdi..

  4. […] However, there is an exception to the general lack of interest in earth houses – the town of Casalincontrada (Chieti province) hosts a dedicated “Earth Houses Permanent Documentation Centre” (CeDTerra); the centre has worked for fifteen years to promote the recovery and restoration of earth houses. Together with the Casalincontrada municipality, the centre is looking to establish a “permanent workshop” which will preserve the traditional building tecniques of “case di terra” and hopefully prevent further decay of the ones still standing. An old delapidated raw earth house in Val Vibrata (Teramo province).Source: Salviamoilpaesaggio.it […]

    1. Ho una casa in terra cruda da vendere nel comune di casalincontrada.volevo sapere se siete interessati

  5. Buongiorno,
    penso che sia molto importante portare alla ribalta – e a questo fine da svariati anni ci stanno lavorando molte persone e non ultima l’Associazione Nazionale Città della Terra Cruda – il tema delle costruzioni in terra cruda. Nello specifico – essendo impegnato nell’ambito di un’amministrazione pubblica che da anni lavora a questo fine – penso sia altrettanto importante (e strategico) esportare un messaggio un pò diverso da quello che traspare da questo vostro articolo. Mi spiego: l’impiego della terra cruda non nasce esclusivamente nella “povertà” (forse questo potrebbe apparire ad un’analisi un pò superficiale e limitata ad una sola zona geografica) ma, viceversa, è una tecnica costruttiva propria anche di territori (come il mio Piemonte) in cui sono costruiti con l’ausilio di questo materiale oltre ad importanti complessi rurali anche chiese, oratori, cimiteri, palazzi signorili e ville. Questo semplice accenno intende dire che bisogna cercare di sfatare (e allontare decisamente con forza) la facile equivalenza costituita da due fattori: terra cruda = povertà.
    Perchè ciò non equivale a verità e perchè la terra cruda appartiene alla storia dell’uomo, dell’antichità, della modernità e della contemporaneità.
    Non è compito facile, tutt’altro. Le resistenze – soprattutto culturali – e le carenze normative (in Italia) non ci aiutano a far decollare il materiale terra (in tutte le sue declinazioni possibili) quale possibile alleato ecosostenibile, così come affaticano i termini del dibattito culturale, che rimane ancora troppo radicato ad una visione nostalgica e in bianco e nero.
    La terra è invece ricca di colore e di potenzialità, è un materiale che “costruisce” edifici ma anche relazioni e dialoghi tra culture e popoli, tra passato e futuro.
    E’ per questo motivo che bisogna educare le nuove generazioni alla conoscenza e, contemporaneamente, convincere quelle vecchie della bontà di questo materiale, tanto antico quanto dimenticato.
    Grazie e buon lavoro a tutti.

    1. Grazie del commento, Isidoro. Forse mi sono espresso male, provo a chiarire: l’equazione terra=povertà è un portato storico, e su questo non ci sono dubbi; ma non voglio o posso dire che impegni necessariamente il futuro. Con la terra, in piena sicurezza, si fanno argini e dighe destinati a resistere a pressioni molto elevate.
      Credo che lei abbia ragione nel porre l’accento sulla resistenza culturale. Non sono un tecnico e non posso dire di più: la mia intenzione era di porre un problema e parlarne. Il problema resta, come per lungo tempo restarono quelli di Matera o Calcata. Le amministrazioni dove si trovano le case che ho visto hanno la sensibilità che occorre, ma da sole non possono provvedere.

      1. Grazie a lei, Claudio per aver cercato di porre l’accento. Le posso segnalare che nei prossimi giorni, dal 6 all’8 dicembre 2012 a Novi Ligure si svolgeranno alcune iniziative “(in)torno alla terra”, insieme agli amici dell’ Associazione nazionale Città della Terra Cruda che si ritroveranno per l’annuale assemblea dei soci. Per ulteriori informazioni è possibile visitare il sito istituzionale del Comune di Novi Ligure (www.comune.noviligure.gov.it). Saluti a tutti.

  6. Grazie per i post, molto interessanti ed efficaci, specie la posizione radicale di Stefano: “quando uno muore, casa sua va demolita”. Ora, è ovvio che non è così: se le case non devono sopravvivere agli abitanti, allora devono avere un ciclo di vita di un centinaio d’anni, non è che dobbiamo demolirle indipendentemente dal loro ciclo di vita: altrimenti non faremmo che consumismo immobiliare. In Europa, dall’epoca greco-romana, il ciclo di vita della casa supera di gran lunga la vita media dell’uomo e la casa si cede naturalmente – e con gioia – agli eredi. Non è neppure vero che la casa di fango e paglia si decompone in breve: con la loro concezione queste case ci insegnano due buone pratiche, la manutenzione e il risparmio energetico. Se ben tenute, durano secoli. Ma il punto interessante sottolineato da Stefano è un altro: siccome costruiamo per l’eternità, ecco l’eternit con tutti i suoi problemi. Nel caso della terra cruda, il problema di riciclare i materiali non si pone.
    Un altro punto interessante sollevato da Stefano riguarda la musealizzazione. Anche qui, radicalmente, “nessuna casa sia disabitata”. Il principio generale va bene, ma molto patrimonio storico non vi rientra: che facciamo, demoliamo tutte le case disabitate? Anche i casali collinari dell’appennino? Perché allora non la casa di Augusto, sul Palatino? Una casa non ha la sola funzione abitativa. Se così non fosse avremmo solo ingegneria edile e non anche l’architettura. E un paesaggio di rovine può essere meraviglioso, struggente o semplicemente farci riflettere. Che non fa mai male. Date per esempio un’occhiata alle rovine delle miniere del Sulcis. Amianto o non amianto, io non le toccherei. La tutela – a spese pubbliche – serve proprio a questo, a conservare cultura e natura per i posteri.

  7. dilemma, è più importante salvare il rudere o la tecnica? sembra innegabile che caduta la casa la tecnica non sopravviverà almeno come esempio in quell’area, è anche vero che i mezzi d’intervento coercitivi che può attuare uno stato sono davvero pochi, e anche quando intervengono spesso non fanno altro che inimicarsi la proprietà. Io è un po che ci penso, la mia idea è di creare due livelli di accesso alla concessione edilizia, uno agevolato per le costruzioni in tecniche tradizionali e uno tassato per quelle in cemento e mattoni, l’idea di fondo è quella del protocollo di kyoto, se usi materiali che hanno generato inquinamento durante la fase di produzione paghi.
    Inoltre io non sono un patito delle case inabitate tenute su a far museo, per me una casa dovrebbe essere demolita con la morte degli abitanti, e il fatto che si pensa poco al dopo in questo paese ci ha riempito di tetti in eternit.
    Non sarebbe corretto tassare le case di nuova edificazione sapendo che la loro manutenzione o demolizione avrà dei costi per l’ambiente?
    Una casa in terra torna alla terra, in paglia decompone in un paio di mesi, in legno o in pietra la posso addirittura smontare e riciclare … ma il cemento? vi siete mai chiesti quanto dura? perché non è eterno! e quando si sgretolerà, chi pagherà la demolizione, e dove andranno le macerie … tutte domande che questa itaglia del me ne frego neanche si pone

  8. Penso sia NECESSARIO E URGENTE riprenderci questa coscienza del paesaggio perduto.Ovunque è devastazione,costruzione selvaggia senza vera necessità abitativa (la maggior parte degli edifici sono vuoti) Solo Soldi,soldi,spesso illegali….Perchè appunto non mantenere in vita
    (qui non si tratterebbe di accanimento terapeutico)A Patù,e non solo, in Puglia dove vado in vacanza, molte case antiche ,interi borghi,sono disabitati,perchè non favorire le ristrutturazioni?

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