L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul cemento.
Un’immensa colata di cemento che a partire dal Dopoguerra ha cancellato molto di quello che i viaggiatori ottocenteschi definirono “il Belpaese”. Per le grandi aree urbane, il Belpaese ormai è qualcosa di irrimediabilmente perduto, qualcosa che vive solo in vecchie cartoline in bianco e nero che ritraggono il paesaggio prima che salisse l’ondata di cemento. Un’ondata che per certi versi ricorda le immagini del grande tsunami che ha colpito le coste del Giappone nel 2011. In Italia tuttavia, questa ondata distruttrice non ha avuto una causa naturale, un terremoto devastante, ma una forza più subdola e per certi versi più irresistibile: la speculazione.
I primi anni del Dopoguerra furono, per ovvie ragioni, guidate dalla ricostruzione delle città distrutte dalla guerra. In seguito si tentò di ampliarle per accogliere i “figli” di quel Miracolo economico che avrebbe portato un paese del terzo mondo (quale di fatto era l’Italia) ad essere una delle economie più forti del pianeta. Crescita economica, crescita demografica, crescita urbana e residenziale. Tutto perfetto, tutto “naturale”.
A partire dalla fine degli anni ’70 qualcosa si è rotto in questo meccanismo “naturale” di crescita della città. Le case cominciarono a crescere ovunque, fuori da qualsiasi schema urbanistico e pianificatorio, spinte da una forza che non era più quella della necessità di dare un’abitazione dignitosa a tutti gli italiani e nuovi italiani. No, a guidare questa seconda fase della crescita urbana italiana fu la speculazione. Una speculazione che non si fermò davanti a nulla, né alla Politica né alla Natura, un vero tsunami di cemento che travolse le città e le campagne italiane. Travolse l’ambiente naturale, il paesaggio e soprattutto la vita delle persone che si trovarono a vivere in contesti urbani di scarsa qualità, lontani dai centri storici, senza servizi adeguati, senza rapporti sociali. Uno tsunami ambientale, paesaggistico e sociale.
Un paese senza regole
Tsunami. Quali sono i dati di questo tsunami? È impossibile avere dati esatti su tutto questo. La politica ha sempre preferito disinteressarsi del tema perché la crescita economica del paese è passato dall’edilizia. Non importava quindi che si facesse buona o cattiva edilizia, l’importante era creare lavoro e far crescere il Pil. Nobili principi, certo, ma che si sarebbero potuti garantire anche fissando regole precise al “gioco”.
Non è un caso, come ha sottolineato recentemente Edo Ronchi (ex ministro dell’Ambiente) in una sua apparizione pubblica, “ogni volta che arrivava una proposta seria di riforma urbanistica in Parlamento o finiva la legislatura o cadeva il Governo”. E così, ancora oggi, il nostro paese è guidato da una Legge Urbanistica del 1942, firmata da un certo Benito Mussolini e Vittorio Emanuele III. Così, guidati da questo modernissimo Regio Decreto, continuiamo a costruire. Continuiamo a costruire anche se non c’è ne è più bisogno. A dire questo non sono certo “i soliti ambientalisti” ma importanti istituti di ricerca come Nomisma, orientati verso lo sviluppo industriale e infrastrutturale del paese.
L’investimento sul mattone è stato il motore di crescita del nostro paese per oltre un cinquantennio. Ora è necessario cambiare strada o questa crisi nella quale ci troviamo continuerà a lungo. Riporto brevemente le variazioni negli investimenti immobiliari nel periodo 1997-2007 in alcuni paesi europei (tratti da uno studio di “Ambiente Urbano” guidato da Paola Bonora dell’Università di Bologna). Italia: +24%; Irlanda: +82,2%; Spagna: +73.4%; Grecia: +69,9%; Germania: -12,8%. Notato nulla? Non sarà per caso che quei paesi che hanno puntato tutto sull’edilizia, o meglio sulla speculazione edilizia, sono proprio quelli che ora si trovano in maggiori difficoltà? Si tratta di coincidenze?
Guidati dalla speculazione
Che lo tsunami del cemento in Italia sia alimentato dalla speculazione è fuor di dubbio. I dati parlano da soli. Circa 800.000 le abitazioni invendute in Italia al 2007 (dati Sonia-Cgil). Nel periodo 1999-2007, la crescita del valore aggiunto in costruzioni è stato del 24%. Nello stesso periodo il Pil è cresciuto del 12%, l’Industria del 2,8% e l’Agricoltura è calata del 6,5%. Neppure la popolazione è aumentata anzi, se non fosse stato per l’immigrazione sarebbe diminuita. Sempre nel periodo 1996-2010, i prezzi delle abitazioni sono cresciuti in media del 63%. Più 63% i prezzi e, solo nel 2010, sono state messe all’asta per pignoramenti circa 150.000 abitazioni. Sempre di più le persone che non riescono a pagare i mutui e che vengono sfrattate. Nessuna casa ad accoglierli se non quelle di amici e parenti. E intanto 800.000 case vuote, numero sicuramente molto più alto se si considera tutto il sommerso.
Presente e Futuro
Riconosco che un abbandono del mattone come volano di crescita sia difficile. Sono infatti tra gli 8 e i 10 milioni gli italiani che direttamente o indirettamente dipendono economicamente dal settore. Una politica intelligente e accorta dovrebbe accorgersi di tutto questo e proporre dei cambiamenti prima che diventi tropo tardi e i nodi vengano irrimediabilmente al pettine. E invece no. Prima Berlusconi con i suoi Condoni ed il suo “Piano casa2. Ora anche il tecnico Monti, che nuovamente nel suo Decreto sulle liberalizzazioni del Gennaio 2012 (si legga in proposito l’articolo 1) ha individuato in altro cemento la via di uscita dalla crisi.
Lo tsunami del cemento continua, immutabile e distruttivo da 60 anni. È bipartisan. Questo tsunami sta minando la nostra salute, il nostro benessere e soprattutto il nostro futuro. Il suolo distrutto dalle urbanizzazioni non è un bene rinnovabile. Una volta edificato non si potrà più coltivare cibo, non si potrà più piantare alberi.
Quel suolo che ci sostenta e ci alimenta è spesso pochi centimetri, si è costituito in migliaia di anni dalla degenerazione di sostanza organica. Tolto il suolo tolta la vita alla Terra. Questo tsunami di cemento sta uccidendo la Terra, quella Terra che è la nostra identità e il nostro sostentamento. Quella Terra che disegna i nostri paesaggi affettivi e i nostri gialli tramonti. Quella Terra è il nostro passato ed il nostro futuro. Se la perdiamo, se ce la facciamo rubare dagli interessi di pochi, abbiamo perso noi stessi e la tranquillità dei nostri figli. Lo tsunami di cemento ci sommergerà, senza possibilità di riscatto.
Denis Grasso
Analisi impietosa ma reale, tristissima realtà
A rendersene conto, a pagarne il prezzo, quando ormai sarà già troppo tardi, saranno i nostri figli e nipoti