Il Governo Monti mette a punto il suo piano di “sviluppo” puntando su tecnologie ed energia non proprio pulite e dalle ricadute negative su paesaggio e ambiente
Lo scorso 24 agosto i Ministri si sono ritrovati dopo le vacanze per valutare le loro proposte a tutto campo per i prossimi mesi. Dopo il rigore lo sviluppo. Ma in che modo e a che prezzo? Concentrando l’attenzione sul territorio e l’ambiente si scorgono più ombre che luci.
Per risollevare l’economia e l’occupazione, il Ministro dello Sviluppo Corrado Passera punta ad una “ristrutturazione” del sistema energetico basata su petrolio e gas: scelta discutibile nel principio e che preoccupa per i devastanti effetti ambientali. In più è prevista la defiscalizzazione dell’Iva alle grandi infrastrutture: ancora un regalo per chi è già ampiamente impegnato a cospargere il territorio di cemento.
L’unica nota positiva sembra essere quella della proposta del ministro delle Politiche Agricole Mario Catania: il tanto atteso disegno di legge anti cementificazione per la difesa dell’agricoltura, minacciata dal boom delle aree edificate.
Il Ministro dell’Ambiente Corrado Clini, oltre al tema caldo delle bonifiche industriali (vedi caso ILVA) propone una «crescita sostenibile» e la «decarbonizzazione» dell’economia, da approfondire soprattutto alla luce delle proposte del collega Ministro dello Sviluppo Economico.
Danni e rischi per riavviare tecnologie vecchie ed inquinanti
Sul tema energetico siamo di fronte ad un vero e proprio ritorno al passato e a tecnologie inquinanti e pericolose per il territorio: trivelle, gasdotti e rigassificatori incombono minacciosi all’orizzonte.
Questo è l’intento: raddoppiare l’estrazione nostrana di petrolio per coprire parte della domanda nazionale ed aumentare il PIL. Poco contano i rischi e il ricordo del disastro del Golfo del Messico: per il ministro vale la pena trivellare, terra e mare.
Con permessi ed autorizzazioni più facili per indagini e perforazioni. Indagini che erano state giustamente fermate nel 2010 dopo il già citato incidente della piattaforma della BP.
In mare nuove trivelle, almeno una settantina, sempre più vicine alla costa: il governo sta pensando nuovamente di ritoccare il limite delle 12 miglia marine.
Si abbasseranno i costi sulla bolletta degli italiani? Questo non è certo, quello che è sicuro è che aumenteranno le preoccupazioni e i danni in caso di incidente e che molti territori non saranno più gli stessi. Dall’Adriatico al Canale di Sicilia ma anche il Mar Ionio, con il già martoriato Golfo di Taranto, e la Sardegna con il golfo di Oristano. A terra soprattutto la Basilicata.
Scelta miope e valutazioni errate
Qualcosa però non torna nei conti: stiamo comunque parlando di risorse molto limitate. In pochissimo tempi (poco più di un anno secondo un’analisi di Legambiente), saremmo punto e a capo con in più la lunga eredità delle conseguenze ambientali di queste scelte sui nostri territori e nei nostri mari. Piccole riserve per grandi rischi e una strategia energetica nazionale miope.
L’altra scelta discutibile è quella di puntare sull’importazione del gas, non certo una produzione a “filiera corta” ne a “kilometro zero”. Più gas da Asia e Africa è l’obiettivo. Come? Con semplificazioni nell’iter autorizzativo e puntando quindi su gasdotti e rigassificatori, da realizzare o completare. Così facendo non si risolve il problema economico e politico della dipendenza energetica dagli altri paesi e crescono ulteriormente i costi e rischi ambientali.
In conclusione più che una moderna ripartenza, questa sembra essere la riaccensione di una vecchia macchina scoppiettante che emette fumo nero.
Stupore e disappunto
Dall’estero queste proposte creano stupore non certo per l’originalità quanto per l’incomprensibile scelta di tecnologie superate, rischiose ed inquinanti. “Un folle delirio” lo definisce Maria Rita D’Orsogna, ricercatrice in California, che scrive al Ministro Passera. Progetti stile anni ’60 per aggiustare l’Italia, trivellare per risanare. E la sorte delle persone? E del nostro bellissimo paese? “Non si sistemano le cose avvelenando acqua, aria e pace mentale della gente, dopo averli lasciati in mutande perché non si aveva il coraggio di attaccare il vero marciume dell’Italia”.
Dall’Italia i cittadini gridano “Liberiamo Mare e Terre dalle Trivelle”. Il comitato No triv si mobilia per la lotta alla “petrolizzazione” selvaggia.
Come riportato da un’inchiesta de La Stampa, il mercato spietato mette subito tra le professioni in forte richiesta la figura di esperti in trivellazione di pozzi petroliferi, al primo posto in classifica davanti agli ottici. In barba al concetto di tecnologie e lavori “verdi” molto ricercati negli altri paesi europei e negli USA. Effettivamente un paio di occhiali per guardare un po’ più lontano nel nostro futuro a qualcuno servirebbero veramente.
Luca D’Achille
finchè saremo dipendenti dei paesi ARAbi,ora in rivolta,dobbiamo ove possibile installare,aimè,piattaforme petrolifere Italiane,per cercare di
essere il più autonomi possibili dal mercato petrolifero,e per rimanere nello euro;ora come parallelo La Grecia non avendo potuto sfruttare il petrolio del mare Egeo,pel veto dei Turchi;si trova nelle difficoltà di cui
tutti noi siamo al corrente!pertanto ritengo indispensabile continuare la scelta petrolifera,magari controllata e non selvaggia,ma fondamentale per la Italia,diminuendo si i prezzi delle benzine e togliendo la accise!
Eehh, il solito discorso deve fare cassa e logicamente le cose che fa, per far gola, non hanno niente a che vedere con il paesaggioo e il fattore sociale
Passera non è piu’titolare del Ministero dello Sviluppo ma di quello del Sottosviluppo.Le sue scelte medievali dovrebbero essere messe seriamente in crisi dai suoi stessi colleghi di governo piu’moderni quali Catania, Barca e lo stesso Clini nonostante tutti i limiti dimostrati nel caso ILVA
l’ ambiente per i nostri politici non conta nulla . la natura non porta voti,perchè mai si dovrebbe proteggerla?