Più di 2 anni fa il disastro ambientale del Lambro: petrolio sversato volontariamente per nascondere illeciti affari e interessi speculativi sul territorio. Al via a Monza il processo.
Il ricordo del disastro e l’imminente processo
Era il 23 febbraio 2010 e nella notte si verificò uno sversamento di combustibile nell’area industriale dell’ex raffineria Lombarda Petroli di Villasanta (MB). Un flusso notevole di inquinante, passando nella fognatura, raggiunse il depuratore di Monza San Rocco che riuscì solo in parte ad arginare l’onda nera: oltre 2.400 tonnellate di oli combustibili e gasolio finirono nel Lambro. Un inquinamento ambientale delle acque e delle sponde che tramite il Po raggiunse anche l’Adriatico. Morirono pesci ed uccelli: fu uno dei più gravi disastri ambientali verificatisi in Lombardia ed in Italia.
Il processo, che comincia il 25 settembre a Monza, vedrà come indagati per disastro doloso i titolari della Lombarda Petroli, accusati di aver accentuato il danno ambientale per nascondere ammanchi e traffici irregolari di carburante.
Per quel giorno è in programma un sit-in degli Ecologisti e Reti Civiche davanti al tribunale di Monza. “Perché chi ha inquinato paghi e per rendere evidente che sensibilità ambientale e lo sdegno dei cittadini per questo abnorme gesto criminale contro l’ambiente e l’uomo non sono diminuiti” dice il comunicato di presentazione della manifestazione. Si chiede che “il processo consideri, insieme al danno ecologico e patrimoniale, anche il danno morale e che il doveroso risarcimento sia destinato anche a iniziative di educazione ambientale, che possano riportare tra le giovani generazioni e i cittadini fiducia in un futuro dove l’ambiente sia rispettato perché noi stessi di questo siamo parte”.
Capire cosa è successo perché non accada più, nel Lambro come altrove
A più di due anni dal disastro e con il processo al via, è importante conoscere cosa è successo perché questo non accada più.
Se infatti è il fato o la mano criminale che può aver causato materialmente questo incidente, l’entità del danno generato è inevitabilmente collegata alla vulnerabilità del contesto. Il Lambro era ed è un fiume già martoriato. Controllare il territorio e monitorare le attività a rischio non è un inutile appesantimento burocratico ma un’indispensabile forma di tutela e un necessario coordinamento degli interessi: non si può fare quello che si vuole e dove si vuole. L’acqua, come il territorio e come l’aria, è un bene comune ed è di tutti.
L’interesse privato non può prevalere o peggio, come è successo in questo caso, danneggiare il patrimonio pubblico. Tutelare il fiume e le sue sponde, ricchezza per la società di ieri, di oggi e di domani, è una obbligo basilare, punto di partenza di ogni vera proposta di sviluppo del territorio. La politica locale e nazionale però trascura ingenuamente e con troppa facilità tale presupposto.
In questa vicenda inoltre si allunga lo spettro minaccioso di interessi speculativi, più o meno leciti, che i costruttori potevano avere sull’area della raffineria in fase di dismissione. Lo chiarirà l’inchiesta. Spaventa il fatto che la bramosia di arricchimento è tale che può arrivare all’assurdo di generare volontariamente un danno così enorme all’ambiente e al territorio.
Imparare da una tragedia si può e non si devono sottovalutare i rischi: il pericolo che episodi del genere possano verificarsi, per negligenza o altro, è sempre in agguato. Nel golfo del Messico è ancora vivo il ricordo dell’incidente alla piattaforma della BP, nell’Oceano Atlantico, già colpito negli anni da incidenti di petroliere, è a rischio “trivellazioni” l’arcipelago delle Canarie. Anche in Italia, nel canale di Sicilia, lo scellerato piano di sviluppo proposto dal Ministro Passera potrebbe generare simili disastri collegati all’incontrollabile interesse verso l’”oro nero”.
Che sia acqua dolce o salata, l’importante per la salute di tutti è che rimanga pulita.
Luca D’Achille
Vorrei rilevare tre aspetti. Il primo riguarda le difese attive e passive che ogni sito a rischio di incidente rilevante (anche un deposito di materiali potenzialmente inquinanti) dovrebbe avere come dotazione basica per ridurre al minimo gli effetti di potenziali “incidenti” soprattutto se di natura dolosa. Appare incredibile nel caso in questione la facilità con cui la mano criminale ha potuto perpetrare questo delitto (con conseguenze che possiamo solo immaginare).
Il secondo aspetto riguarda i danni provocati dalla marea nera sull’ambiente fluviale e marino e mi chiedo se siano stati realmente valutati; come frequentatore del Po – zona di Cremona – ho rilevato personalmente, in particolare sugli spiaggioni dove sono presenti i depositi superficiali di materiale argilloso, che questi appaiono di un colore che va dal verde/nero al rosso/marrone (e che mai prima avevo notato), credo si tratti di un segno evidente dell’avvenuto deposito dei materiali oleosi più pesanti. Penso a questo proposito che la gran parte dei comuni rivieraschi (o chi per essi) forse non abbia valutato appieno la portata del disastro le cui conseguenze segnano ancora l’alveo fluviale a distanza di oltre due anni dall’evento e, conseguentemente, gli enti interessati non abbiano chiesto alcun risarcimento o intervento. Chiedo: questa pellicola depositata e trattenuta dalle argille per quanto tempo potrà restare? Potrà “smaltirsi” in modo naturale senza conseguenze sulla salute? Servirebbe un’azione di bonifica? O semplicemente andrà ad aggiungersi alla notevole mole di rifiuti di ogni tipo che già costellano questi ambienti unici?
Terzo. Il recente viaggio (Alla scoperta del Po – agosto 2012) che il giornalista/scrittore Paolo Rumiz ha effettuato lungo il fiume (dalla sorgente alla foce) ha prodotto sia i reportage di La Repubblica che il DVD “Il risveglio del fiume segreto” che spero potrà avere ampie e positive ricadute sulle sensibilità dei territori interessati; nel reportage si afferma che il Po presenta ambienti unici e notevoli valori ambientali in un territorio invero molto antropizzato. Concordo per l’aspetto morfologico in quanto spesso appena “dietro casa” ci si può ancora immergere in luoghi impensabili. Concordo meno con la tesi che le componenti fisiche dell’ambiente del Po (l’acqua, il suolo, le ghiaie e le sabbie, la vegetazione ripariale) possano presentare un grado di qualità accettabile o addirittura di rilievo: credo non sia così, lo dico con profondo rammarico da amante del fiume e, in cuor mio, spero proprio di sbagliarmi, ma in decenni di saccheggi delle golene, dell’alveo, di milioni di metri cubi di sabbie rubate, di inquinamenti criminali e di progetti demenziali come la nuclearizzazione, (adesso imperversa il tormentone della “bacinizzazione”) la situazione sia davvero precipitata.