(di Paolo Berdini)
Il disegno di legge sullo «Stop al consumo del territorio» che il ministro per le politiche agricole Mario Catania ha portato all’approvazione del Consiglio dei ministri è un provvedimento di straordinaria importanza che segnerà il dibattito sulle città nei prossimi decenni.
Non è azzardato affermare che il ministro ha segnato una data storica e gliene va dato merito.
Nel periodo del secondo governo Prodi (2006-2008) la sinistra (Rifondazione e Verdi) avevano tentato di far approvare un provvedimento simile, ma il predominio culturale del Pd lo impedì.
Erano i tempi del “modello Roma”, e cioè della convinzione che sul mattone e sul cemento si potesse basare il futuro di un paese.
Bastava guardare la realtà dei fatti, e cioè alla grande quantità di alloggi invenduti o di uffici vuoti che già allora caratterizzavano le nostre città. Oppure essere meno provinciali e guardare ad esempio alla Germania che da tempo aveva approvato una legge che poneva progressivamente fine all’espansione urbana.
Ma i meriti del governo dei banchieri finiscono qui.
Il cipiglio decisionista sfoderato attraverso la decretazione d’urgenza quando c’è stato da colpire i diritti dei lavoratori, quando c’è stato da rinviare di anni l’età pensionabile o quando c’è stato da aumentare oltre misura il carico fiscale, ha sobriamente lasciato il posto a un disegno di legge.
Ora non ci vuole l’intelligenza dei professori per comprendere che non se ne farà nulla. La decretazione d’urgenza era invece indispensabile per lo stato delle nostre città.
Agli inizi di quest’anno il supplemento settimanale del Sole 24 Ore dedicava un preoccupato articolo a una ricerca svolta dall’università di Milano da cui emergeva che se tutte le previsioni edificatorie conquistate con tutte le deroghe imposte dall’economia liberista si concretizzassero, città come Brescia o Bergamo avrebbero al 2020 una quantità di case invendute pari alla popolazione residente. Città fantasma che nessuno abiterà mai!
Rispetto a questi segnali altro che disegno di legge: ci voleva il coraggio di concludere una fase speculativa che dura da venti anni.
Ma qui arriva la vera natura del governo Monti che non è certo rappresentata dal ministro Catania quanto dall’affiatato tandem Passera-Ciaccia. Coppia inseparabile dai tempi della Banca Intesa che sul mattone qualche cosa conosce.
Soprattutto conoscono che molti istituti di credito sono esposti per cifre importanti in folli proposte urbanistiche che sarebbero saltate se si fosse percorsa la strada della decretazione d’urgenza.
Alcuni esempi: i 30 milioni di metri cubi decisi prima di Pisapia a Milano o i quaranta milioni che devono ancora essere costruiti a Roma grazie al piano regolatore di Veltroni. O, ancora, le cinque ignobili città “tematiche” decise dalla Regione Veneto che cancelleranno centinaia di ettari di territorio agricolo.
Dietro a queste speculazioni ci sono gli istituti bancari e Passera-Ciaccia sono lì per vigilare.
Del provvedimento sul consumo di suolo se ne parlerà negli anni prossimi. Fin d’ora, però, è indispensabile che la sinistra elaborasse una sua proposta per il recupero e la riqualificazione delle periferie.
L’associazione dei costruttori ha da tempo calato le carte: libertà di demolire e ricostruire senza limiti di aumento delle volumetrie: deve decidere solo la convenienza economica. Il primo tentativo in atto è quello in corso a Roma guidato da Abete per trasformare Cinecittà da luogo di produzione a luogo di speculazione edilizia.
Chi è convinto che bisogna costruire l’alternativa alla nefasta fase dell’economia liberista deve urgentemente manifestare un differente progetto.
Paolo Berdini
sì, bisognerebbe fare una campagna dove il degrado del paesaggio rivela uno dei più terribili conflitti di interesse, lo stesso che già da più parti viene imputato a passera!
Passera non ha nulla da invidiare all’Edoardo Nottola, protagonista di un noto film di Francesco Rosi!Questa volta il film lo intitoleremo “Mani sull’Italia e sui suoi Paesaggi”. Con buona pace dei deboli buoni propositi del ministro Catania e di altri suoi colleghi di governo!
NEL 63° ANNIVERSARIO DELLA STRAGE DI MELISSA E’ IMPORTANTE RIFLETTERE:
Allora ( a cavallo tra gli anni quaranta e cinquanta) furono compiute scelte che sono alla base della crisi attuale. Furono scelte non solo <>, ma che definirono una precisa – e dura – gerarchia sociale. Lo si volesse o no, lo si dicesse o no ( e in parte fu anche detto), la concentrazione selvaggia di risorse umane e materiali su quello chiamato per brevità il <> segnò la collocazione subordinata di tutto un settore della vita italiana quale l’agricoltura. Definì la sorte di interi territori e fasce sociali. Non furono soltanto gli operai dentro le fabbriche a pagare. Il colpo al Mezzogiorno e alle campagne venne dato allora. E molte delle questioni che oggi ci affannano e sono divenute perfino di moda – l’urbanesimo esasperato, l’incontrollabilità e i costi delle grandi aree metropolitane, lo congestione assurda in ristrette fasce di pianura. Il quasto ecologico – ebbero il loro punto di partenza nelle decisioni che vennero prese a cavallo tra gli anni quaranta e gli anni cinquanta. Ecco perché riflettere alla vicende degli anni cinquanta, alle lotte ed anche ai ritardi di allora, ci porta dunque a temi brucianti della questione meridionale in un discorso europeo che appare oggi cosi urgente.
Il tentativo di Gullo di riformare l’agricoltura meridionale, come si è visto, non era stato coronato da successo. Il nuovo ministro democristiano dell’Agricoltura, il ricco proprietario terriero sardo Antonio Segni, svuotò in parte la legislazione del suo predecessore con i decreti del settembre 1946 e del dicembre 1947. L’articolo 7 del primo decreto dava in particolare ai proprietari il diritto di reclamare la terra se i contadini avessero violato le condizioni alle quali era stata concessa.
Non appena le sinistre furono estromesse dal Governo, questa clausola fu usata dai
proprietari per intraprendere una vasta offensiva legale contro le cooperative contadine.
Molta della terra conquistata nell’inverno 1946-47 fu perduta l’anno successivo. In questo modo Segni poté rassicurare le élites meridionali e nelle elezioni dell’aprile 1948 la DC recuperò gran parte del terreno elettorale che aveva perso nel Meridione agricolo. I problemi di queste zone, tuttavia, rimanevano urgenti come prima. La maggior parte della terra migliore restava in pochissime mani, e troppa gente non possedeva terra affatto. Il solo grande passo avanti rispetto al passato era stato rappresentato dall’impiego estensivo del DDT nella disinfestazione, attuato dopo il 1944 con l’aiuto degli Alleati, che aveva reso possibile la bonifica di aree malariche e paludose in Sardegna, in Sicilia e nella Maremma Toscana.
Nell’ottobre 1949 i contadini calabresi marciarono ancora una volta sui latifondi. La situazione nazionale non era più favorevole come negli anni precedenti, quando la sinistra era ancora al Governo, Gullo era Ministro dell’Agricoltura, e sembrava ancora possibile creare un’Italia postbellica socialmente più giusta. E tuttavia la mobilitazione del 24 ottobre 1949 superò ogni aspettativa degli organizzatori. Vi presero parte circa 14 mila contadini dei comuni orientali delle provincie di Cosenza e Catanzaro. Interi paesi parteciparono ai cortei: dai pendii delle colline adiacenti diverse colonne di contadini, chi a piedi chi a cavallo, con donne e bambini scesero al piano, sventolando le bandiere in segno di saluto e di incoraggiamento. Quando giunsero sui latifondi dei grandi proprietari, i contadini segnarono meticolosamente i confini della terra e la divisero, iniziando il lavoro di preparazione per la semina. Irritato da quest’ultima ondata di occupazioni, un gruppo di parlamentari calabresi della Democrazia cristiana partì per Roma per chiedere un massiccio intervento della polizia. I reparti della Celere di Scelba
si misero presto in moto verso i paesi della Calabria. Uno di essi arrivò il 28 ottobre a Melissa, a nord di Crotone, e si acquartierò per la notte nella casa del possidente del luogo, il barone Berlingieri. I contadini avevano occupato a Melissa il fondo chiamato Fragalà, metà del quale era stato assegnato al comune dalla legislazione napoleonica del 1811. La famiglia Berlingieri, tuttavia, aveva col tempo usurpato l’intera proprietà. La mattina del 29 ottobre 1949 la polizia giunse nella tenuta e cercò di scacciare con la forza i contadini dalla terra…………(*)
Sono d’accordo con Enrica. Su questo stesso sito, per esempio, e’ stata avviata una petizione (che ho appena firmato e diffuso su FB) per fermare il provvedimento “autostrade facili” in Lombardia della giunta Formigoni (ma come si fa a liberarsi di un personaggio come lui??). “Salviamo il paesaggio” potrebbe farsi promotore di una petizione che diffonderemo il piu’ possibile. Considerata l’attuale situazione di assoluta impotenza dei cittadini politici, in cui siamo stati messi dall’attuale sistema politico, questo tipo di iniziative sono la nostra unica possibilita’.
E’ ora di farla finita con il cemento..le banche dovrebbero finanziare l’agricoltura, le imprese verdi, eco sostenibili e i costruttori farebbero bene a cambiare lavoro!
Passera simpatici e persino spiritoso. Può scegliere: fare il comico insieme a Crozza, oppure fare il muratore, se ci tiene tanto a costruire
Carla
Bisogna batterci affinchè si faccia presto con una legge. Sono stato sempre convinto che il governo Monti poteva avere solo 2 o 3 ministri in gamba; sulla scelta di Passera è meglio non commentare perchè la risposta sarebbe scontata. Solo in Italia si poteva scegliere un banchiere come ministro!
Credo che sarebbe fondamentale avviare subito una mobilitazione attiva con iniziative di sostegno che abbiano forte visibilità.
Dobbiamo rendere percepibile l’interesse dei numerosi cittadini
che non sono più disposti a tollerare uno sfascio da cui purtroppo non sarà possibile tornare indietro.