di Luca Teolato | 22 settembre 2012 | da Il Fatto Quotidiano
Il Comune (socio di maggioranza dell’azienda) conferì alla Acque Albule un terreno per “potenziare la ricettività turistico termale”. In realtà ha realizzato un fabbricato destinato a uso residenziale privato non rispettando né le delibere comunali né lo statuto. E la Procura indaga.
Palazzine costruite dalla Acque Albule Spa, società termale alle porte di Roma, che, per statuto della stessa società, non potevano essere edificate. Una storia nata nel 2006, quando il comune di Tivoli conferì a titolo gratuito alla società termale, della quale è azionista al 60% (il restante 40% appartiene al gruppo che fa capo a Bartolomeo Terranova), un terreno “allo scopo – si legge nell’atto – di potenziare l’offerta di ricettività turistico termale”. La società però su quel terreno ha realizzato un fabbricato che ha destinato ad uso residenziale privato, non rispettando né la delibera comunale né lo statuto stesso della Spa che non consente di svolgere attività edilizia con finalità private. Un illecito nell’illecito al quale se ne aggiunge un terzo: l’area infatti risulta elencata fra i beni demaniali non disponibili.
L’Idv locale ha denunciato pubblicamente la cosa con dei manifesti ed anche altri esponenti politici hanno alzato la voce. “Ho presentato una lettera al Sindaco e al presidente del collegio dei revisori del Comune – dichiara Carlo Centani, consigliere di lungo corso al Comune di Tivoli – per segnalare il tutto, anche perché queste attività sono avvenute senza che il Consiglio comunale fosse stato mai messo a conoscenza di questi fatti. Le terme al 60% sono di proprietà comunale, quindi si deve agire con procedure di evidenza pubblica. Invece il socio privato ha realizzato tutte queste attività con società di sua proprietà e senza gara pubblica”. Intanto uno dei due lotti in questione è già stato realizzato (40 appartamenti) e sono già stati fatti una ventina di compromessi per l’acquisto da parte degli ignari acquirenti.
Nel tentativo di sanare la situazione, il precedente sindaco di Tivoli, Giuseppe Baisi (Pd) aveva autorizzato il Consiglio di amministrazione della società a vendere gli appartamenti, nonostante il divieto derivante dallo statuto societario, senza però il preventivo ed indispensabile consenso del consiglio comunale. In tal senso voleva attivarsi pure l’attuale amministrazione cittadina di centrodestra, proponendo la modifica dello statuto stesso, che però è stata bloccata dal parere del consulente legale, l’avvocato Gianluca Piccinni. Il consulente innanzitutto ha ribadito che è unicamente il Consiglio comunale che può modificare lo statuto della Acque Albule ed inoltre ha escluso la possibilità della modifica, nel senso indicato dal Comune, perché i fini della società debbono mantenersi “strumentali al perseguimento dell’interesse pubblico – si legge nel parere – e non certamente attività edilizie per fini speculativi di natura privata”. Tra l’altro, una modifica retroattiva delle statuto non avrebbe alcun senso.
A supportare il parere del consulente legale ci sono anche due relazioni, del 3 giugno e del 1 luglio 2011, del dirigente comunale Ercole Lupi del VI settore urbanistico del Comune di Tivoli, che rileva (per il primo lotto) una “evidente erronea rappresentazione della situazione di fatto, al fine di conseguire un titolo edilizio per un’attività non prevista nello statuto societario”.
Al momento c’è anche un’indagine in corso sulla vicenda e più di un anno fa è stato sentito dalla Procura il dirigente comunale Lupi, ma al momento non ci sono risultati. Terranova invece ha fatto ricorso al Tar, tuttora pendente, con richiesta di danni al Comune di Tivoli per la mancata autorizzazione per la costruzione del secondo lotto, anch’esso, per statuto, non edificabile.