Lo scempio di Cava Sari, e l’accumulo di rifiuti anche pericolosi nella discarica alle falde del vulcano, in pieno Parco Nazionale del Vesuvio ha provocato grave inquinamento delle falde acquifere e atmosferico, oltre quello ovvio del suolo.
Un inquinamento di cui dovrà rispondere chi gestì la realizzazione e il periodo di apertura dello sversatoio: è questa la tesi propugnata da Legambiente Campania, da un nutrito gruppo di cittadini e dai comitati civici del Vesuviano (in primis quello che vede come leader Franco Matrone) che hanno «trascinato» il ministero dell’ambiente davanti al Tribunale Amministrativo Regionale della Campania chiedendo conto «nel merito» del criminale inquinamento ambientale e dei danni provocati alla popolazione.
L’udienza è già stata fissata per il prossimo 20 febbraio davanti alla prima sezione del Tar campano. Ai ricorrenti che «puntano il dito» contro il ministero, accusato di inerzia e varie gravissime inadempienze, si affiancheranno anche i rappresentanti dell’associazione «Slow Food», che in corso di giudizio presenteranno una propria memoria di intervento.
Tutto nasce dalla contestata inadempienza del ministero che, lo scorso anno, fu già condannato per la propria inerzia sul caso: non diede infatti alcuna risposta alle istanze dei cittadini e delle associazioni che avevano avanzato numerose richieste di risarcimento per i danni subìti dal territorio e dalla popolazione a causa dell’inquinamento provocato da Cava Sari. Già dopo quelle prime «denunce» fu proprio il Tribunale amministrativo a dare ragione ai ricorrenti, «condannando» il ministero a rispondere ai quesiti avanzati da cittadini e associazioni ambientaliste. Questi volevano conoscere i risultati di accertamenti, analisi, verifiche e inchieste ministeriali sullo stato del territorio dopo lo scempio. Paradossalmente, però, pur condannato a rispondere in concreto alle legittime richieste dei cittadini e di Legambiente, il ministero dell’ambiente si era trincerato dietro una serie di pretestuose condotte «a scatole cinesi».
In pratica, nello scorso maggio, adempiendo solo formalmente a quanto era stato disposto dal Tar della Campania, da Roma era arrivata una risposta. Ma era una risposta «vuota».
«Ci si disse – commenta l’avvocato Aldo Avvisati, che per Legambiente e alcuni comitati sta seguendo la vicenda – che non era emerso nulla di rilevante, come attestato anche da una apposita relazione stilata dalla Guardia Forestale. Solo che, guarda caso – conclude il civilista – quella relazione non è mai stata depositata agli atti di alcun procedimento che ci riguardi. Quindi in pratica è come se per noi non esistesse, e ci è preclusa ogni sua consultazione».
Dopo la beffa di vedersi consigliare di consultare una relazione non depositata agli atti, dunque, i ricorrenti fecero diretta richiesta al ministero di poter accedere a quegli atti. «Ma anche in quel caso la risposta fu al limite della beffa – commenta incredulo Avvisati – ci fu detto che se volevamo prenderne visione avremmo dovuto andare concretamente a Roma. Inammissibile: sono atti la cui consultazione ci è dovuta».
Di qui la decisione di andare avanti per vie legali e di entrare nel merito della questione: «A questo punto – conclude l’avvocato – abbiamo chiesto concretamente conto dell’inquinamento che esiste ed è evidente. E abbiamo portato di nuovo il ministero davanti al Tar».
(da metropolisweb.it)