Un’area agricola, circa 12 ettari di proprietà dell’Università Agraria in località Colle Passero, a ridosso di un sito in procinto di diventare monumento naturale, è da anni al centro di progetti urbanistici controversi: l’Archeopark (riproduzione di 5 villaggi neolitici, bocciato dalla Regione) e un impianto di trasformazione di biomasse legnose.
Il tutto in un’area vincolata, ricca di riscontri archeologici e considerata bene culturale.
La storia finta al posto di quella vera. Una sorta di “luna park archeologico” all’ingresso del quale dovrebbe sorgere anche un impianto industriale privato di trasformazione di biomasse legnose spacciato per opera di interesse pubblico. Progetti da realizzare in un’area, in località “La Selva” nei pressi di Colle Passero, alle porte di Castel Madama, “di rilevante interesse naturalistico, paesaggistico e culturale, con limitato grado di antropizzazione, rispondente alle caratteristiche descritte dalla legge regionale 29/1997 riguardo alle aree da tutelare; uno dei luoghi più integri dal punto di vista naturalistico del territorio comunale”. Una descrizione offerta, curiosamente, nella delibera di Consiglio Comunale n°5/2008, dalla stessa amministrazione che intende realizzare quelle opere gravemente impattanti.
Il “parco a tema didattico”, quindi, con attrezzature turistiche, ricreative e di servizio, verrebbe realizzato su appezzamenti agricoli e boscati del demanio civico soggetti, come detto, a molteplici vincoli e caratterizzati da significativi ritrovamenti archeologici, come descritto accuratamente nel libro bianco del Forum Salviamo il Paesaggio Roma e Provincia, a pagina 5. Un progetto denominato ‘Archeopark’ che prevede “la ricostruzione di cinque villaggi sorti nell’Italia centrale in epoca neolitica”, riferisce Italo Carrarini, portavoce di quella fetta di cittadinanza che si oppone a questi progetti ed egli stesso residente nell’area interessata, “la realizzazione di circa 1.000 mq di tettoie in legno distribuite nell’area del parco per ospitare le attività didattiche e ricreative con le classi e le famiglie; un laghetto artificiale di circa 1.000 mq per riprodurre l’ambiente palafitticolo; strutture in muratura per ristorante bar di 350 mq con portico di 150 mq e centro visita con reception, biglietteria, infermeria, servizi igienici, bookshop, sala guide e appartamento del custode su due piani per ulteriori 280 mq”.
Per la costruzione dell’archeopark era stato inoltre presentato un Programma Integrato di Intervento, approvato dal Consiglio Comunale di Castel Madama il 10/03/2011, che avrebbe dovuto permettere la riqualificazione dell’intera area di Colle Passero e che, invece, si è rivelato, oltreché una maschera che nascondeva la volontà di realizzare opere di dubbia utilità per la collettività, anche pieno di lacune tecniche: “Di fatto”, aggiunge Carrarini, “lo stesso piano non prevedeva standard a servizi in quanto la località è priva di fognature, di illuminazione e di adeguata rete di servizi. Gli unici standard previsti erano: un marciapiede per la fermata degli autobus e un ampio parcheggio ad esclusivo servizio della struttura privata, distante dai primi caseggiati che tra l’altro non necessitano di parcheggi poiché, trattandosi di insediamenti rurali, sono tutti dotati di parcheggio autonomo”.
Insomma, un gigante urbanistico con piedi legislativi d’argilla i cui limiti palesi non potevano sfuggire alla Regione: “In seguito a ricorso al TAR dei cittadini notificato alla Regione Lazio”, sottolinea il portavoce dei cittadini assai perplessi sulla realizzazione dell’opera, “la stessa Regione, con provvedimento n. 3942 del 18/04/2012 lo ha respinto, evidenziando in particolare l’assenza delle necessarie procedure di VAS, Valutazione Ambientale Strategica, e dall’altro, nel merito, che: ‘Il Programma in oggetto non prevede interventi di interesse pubblico, sufficienti ad assicurare un’adeguata riqualificazione urbanistica’, non essendo possibile ‘ravvisare interventi necessari a soddisfare la mancanza di opere di urbanizzazione all’interno del nucleo abitato di Colle Passero sorto a suo tempo attraverso attività edilizia spontanea’. In conclusione, quindi, la Regione Lazio considerava il suddetto Programma Integrato del tutto ‘carente di elementi utili a qualificarlo quale strumento urbanistico finalizzato alla riorganizzazione del territorio, in cui siano presenti una pluralità di funzioni, ed in cui sia evidente la valenza dell’interesse pubblico’.
Non contenti della sonora bocciatura l’amministrazione comunale di Castel Madama, “al fine di contrarre i tempi di attuazione dell’intervento e della relativa variante urbanistica”, prosegue Carrarini, “con deliberazione di Consiglio Comunale n. 5 del 19/02/2013, ha introdotto il procedimento S.U.A.P. , Sportello Unico Attività Produttive, uno strumento di semplificazione amministrativa che utilizza a sua volta altri strumenti di semplificazione, come accordi tra amministrazioni e privati, silenzi-assensi, conferenze di servizi, allo scopo di snellire i rapporti tra Pubblica Amministrazione e utenza. Con la stessa delibera è stata contestualmente approvata una relazione di riesame delle effettive dotazioni boscate al fine di riperimetrarle, ridurne le estensioni ed ottenere così la piena disponibilità delle superfici e i relativi Nulla Osta”.
Tradotto, si piega la legge per cancellare definitivamente la tutela del bosco e altri vincoli su aree di pregio utilizzando impropriamente vari strumenti urbanistici ad uso e consumo di progetti inutili e dannosi, sotto le mentite spoglie di interventi di riqualificazione urbanistica, che nulla hanno a che vedere con la pubblica utilità ma perseguono interessi di altro genere. Tra l’altro Castel Madama dispone di ben 79 ettari di aree adibite ad attività produttive non considerate per tale intervento.
Le proposte alternative non mancano di certo, una in particolare, di semplice buon senso, prima ancora che all’insegna della legalità. “In questi luoghi, tra tante vere testimonianze del passato in abbandono, la proposta di costruirne di false sembra surreale”, scriveva sul Corriere della Sera il 30/09/2012 il prof. Giuseppe Strappa, ordinario di progettazione architettonica e urbana e scrittore. “Gli acquedotti e le ville romane sono tra le immagini di maggiore attrazione nella divulgazione globale dell’antico. Non potrebbe il loro restauro essere la nuova risorsa economica dell’area? Un grande parco archeologico vero, unico ed irripetibile, con percorsi tematici, strutture museali, ricettive, di accoglienza, che creino nuovi posti di lavoro e forniscano un’alternativa al turismo della Capitale, quello rapido che in tre giorni riempie i visitatori di troppe immagini per la memoria e le strade di un fiume di torpedoni”.
Un turismo rispettoso dei tesori che l’Italia può orgogliosamente presentare al mondo. A patto che questi sopravvivano all’ignoranza e alla violenza perpetrata spesso per perseguire l’interesse illegittimo di pochi.
Marco Bombagi
Salviamo il Paesaggio Coordinamento di Roma e Provincia
www.salviamoilpaesaggio.roma.it
Epistemologicamente è la grottesca, coerente conseguenza della spettacolarizzazione integrale del mondo, dell’estasi della non comunicazione spettacolare, della sua falsificazione virtuale – ferma restando la solita valenza di mangiatoia
del potere costituito inciuciante. . .
E’ovvio che è meglio un vero parco archeologico, ma come fanno i politici locali a fare la solita “pappata”, unica cosa che sanno fare per bene, da veri maestri? Vergogna!