Cemento, burocrazia e costi alle stelle allontanano i giovani dalla terra. Mentre aumenta la nostra dipendenza alimentare da Cina ed Est Europa
Nel mainstream mediatico sono molti i casi raccontati di operai lasciati in cassa integrazione, lavoratori licenziati da aziende in crisi, di suicidi fra imprenditori ma c’è un aspetto di questo impasse economico che viene poco trattato: la strage silenziosa delle aziende agricole di cui non si hanno stime numeriche affidabili. Nonostante Confagricoltura sostenga che l’occupazione nel comparto agricolo sia aumentata del 6,2%, la produttività delle imprese è troppo bassa rispetto ai nostro concorrenti europei. L’abbandono dei campi, la cementificazione dei suoli fertili rimasti, la mancanza di cambio generazionale, le difficoltà di accesso da parte dei giovani e di avvio di nuove imprese sono solo alcuni dei freni che l’agricoltura italiana sopporta.
La moria delle imprese agricole
Alcuni dati dimostrano come l’Italia sia un paese sempre meno agricolo.
Secondo le ricerche di Paola Migliorini, agronoma e docente dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (Cn) siamo passati da avere 4 milioni di aziende agricole negli anni ‘60 a 1,5 milioni nel 2012. Un fenomeno che si è intensificato negli ultimi decenni: dal 1990 al 2000 si sono perse oltre 400mila aziende e nel decennio successivo 775mila.
«Sono numeri esorbitanti» spiega Migliorini «che passano nel più assoluto silenzio: se la stessa perdita si fosse verificata nel settore dell’automobile se ne sarebbe parlato continuamente su tutti i media». «Dobbiamo tenere presente – continua Migliorini – che le aziende agricole gestiscono il 40% delle terre in Europa benché gli agricoltori rappresentino solo il 3% del comparto lavorativo. Attraverso questo dato si capisce come dagli agricoltori dipendano molte cose tra cui il mantenimento del paesaggio e del territorio oltre che la sostenibilità alimentare».
Altro che made in Italy
Sostenibilità che fa rima con sovranità alimentare, cioè il controllo delle proprie risorse. Pare incredibile che un Paese come il nostro, che fa del cibo il proprio prodotto di punta, debba dipendere dall’Est Europa per il grano o importare ingenti quantità di pomodori dalla Cina (come più volte denunciato da Legambiente).
Eppure fare l’agricoltore in Italia non è facile. E nemmeno sostenuto dalle istituzioni.
Secondo Migliorini lo sviluppo agricolo italiano è frenato in primis dal sistema burocratico, troppo pressante nei confronti degli imprenditori, e dall’accesso al credito. «Inoltre fare il contadino non è in generale un lavoro molto retributivo» riprende la docente «e in più ci sono tutta una serie di barriere economiche, dal costo altissimo della terra ai costi iniziali di avviamento che possono essere sì coperti fino al 50% grazie ai fondi europei per lo sviluppo rurale ma che comunque devono poi essere restituiti aumentando il rischio di stritolamento da parte delle banche. Un sistema che soffoca la creazione di risposte innovative sul mercato».
In questo frangente può essere utile uno sguardo all’estero: «Ad esempio le scuole agricole in Francia sono collegate direttamente al mondo del lavoro. Noi invece abbiamo dismesso il sistema scolastico in campo agricolo. Tutto ciò è stato accompagnato dalla mancanza di innovazione: mentre in Francia è possibile richiedere un’autorizzazione o un documento per via telefonica o via internet, in Italia facciamo ancora le code agli sportelli e produciamo tonnellate di carta.
Un’arretratezza che si riflette sull’intero modello: mentre all’estero è conveniente lavorare nell’agricoltura rurale, da noi si è imposto un modello agricolo “di rapina” per il quale spendo il meno possibile e faccio un prodotto a basso costo. Ma tutto ciò sciupa il territorio, non crea valore all’interno dell’azienda e schiaccia i prezzi verso il basso». «A seconda del modello economico perseguito dal settore agricolo» conclude Migliorini «possiamo creare o distruggere territorio, a seconda che si scelga la biodiversità o la monocoltura».
Il cemento prende terreno
E intanto che i terreni non vengono coltivati, si cementifica.
I dati del Consiglio dei Ministri parlano di 100 ettari agricoli consumati al giorno, o dell’Ispra, secondo cui gli ettari sono invece 70. Paolo Pileri, docente di Ingegneria del territorio presso il Politecnico di Milano, in Italia si consuma terreno agricolo a ritmi impressionanti: dagli 8 ai 10 mq al secondo. Per questo ha deciso di misura, con un team di ricercatori, la perdita della corrispettiva capacità alimentare dei suoli agricoli. Partendo dal presupposto che l’80% delle superfici agricole cementificate sono perse per sempre e contando che per scavare 50 cm di terreno occorre il tempo (brevissimo) di una bennata di ruspa mentre per rigenerarne 10 cm occorrono 2000 anni, gli studi di Pileri si sono soffermati sulla capacità di provvista alimentare persa consumando terreno fertile nelle regioni italiane del Nord.
Se un ettaro è in grado di fornire cibo per 6 abitanti in un anno, la Lombardia, che ha consumato 218mila ettari negli ultimi trent’anni, ha rinunciato a provvedere alla fornitura di cibo tramite risorse locali per 1.313.022 abitanti (il Veneto per 910mila). Ciò significa che la Lombardia ha dovuto soddisfare la sua domanda alimentare rifornendosi fuori dai propri confini dando meno occupazione, in termini agricoli, ai cittadini lombardi.
Acqua e CO2 fuori controllo
Non solo: perché il consumo di suolo agricolo si porta dietro anche altri costi ambientali tra cui la gestione dell’acqua e la compensazione della CO2.
Secondo i numeri di Pileri, se un ettaro di terreno agricolo è in grado di assorbire – e poi rilasciare gradualmente – 3700 tonnellate di acqua, cementificare significa ritrovarsi anche a dover spendere in reti per drenare l’acqua in eccesso. Così è stato calcolato che la Regione Lombardia dovrà gestire fino a 16 miliardi di litri d’acqua in più all’anno.
Così la CO2: «il primo strato sottilissimo del terreno è capace di contenere tre volte la quantità di carbonio presente in atmosfera» spiega Pileri. «Se dovessimo applicare lo stesso meccanismo di Kyoto al consumo di suolo, cioè pagare per compensare le emissioni di CO2, ogni anno in Lombardia bisognerebbe spendere quasi 8 milioni di euro».
di Maurizio Bongioanni
da www.lanotiziagiornale.it
Prima in Italia c’erano grandi foreste poi sono arrivati i contadini e piano piano hanno disboscato le foreste italiane..Poi non ci sono ” quasi” più contadini ma le foreste NON sono state rimesse come natura le ha create.. ma BELIN le pianure,colline prima disboscate e poi coltivate e OGGI non più coltivate…ma in questi ultimi decenni sia le pianure che le colline sono passate alla CEMENTIFICAZIONE immensi capannoni (anche fuori norma antisismica e..) hanno coperto tutti codesti spazi verdi e questi capannoni sono pure abbandonati !!! Nulla viene prodotto e NON danno del lavoro ma fanno DANNI alla natura stessa e al paesaggio italiano.Capannoni di cemento abbandonati sono ben visibili da più anni in più Comuni Italiani l’Italia è allo sfacelo e si vede!E non si rispetta neppure la natura e il paesaggio.
Morando Sergio
Purtroppo in quest ultimi decenni il mattone ha reso molto più della terra coltivata. All’edilizia si sono poi legati gli interessi della politica e della criminalità. Sulla Riviera romagnola un lembo di terra edificabile rende somme spropositate. Se non si ha una vecchia casa di famiglia, abitare in città significa indebitarsi per generazioni. Ecco allora che in 10 anni l’edilizia ha attaccato l’entroterra cementificando anche le nostre bellissime colline
Non solo questo è il solito sfacelo della nostra politica. Noi abbiamo un immenso tesoro culturale, storico, archeologico e la nostra CASTA, lo butta alle ortiche. Solo di questo (agricoltura, paesaggio, territorio e beni colturali) potremmo vivere da nababbi e qui, in Italia, lo buttano dalla finestra. Questa cosa fa orribilmente arrabbiare ed INCA………
Cara Redazione di Salviamo il Paesaggio,
l’esperienza ci insegna che non basta ottenere una buoina legge per salvare capre e fagioli.
Bisogna incidere anche sulle politiche esui meccanismi econo0mici e finanziari che favoriscono dismissioni di attività agricole e allontanamento dei giovani dalla terra.
La politica che questo Governo, fagocitato da BCE e dalla CDP, sta portando avanti, si sta rivelando sempre di più deleteria e criminosa. E’ tempo che tutte le realtà che si battono per una decrescita felice eper una riconversione ecologica dell’economia mettano da parte ogni velleità egocentristica e si uniscano in un progetto serio di cambiamento deòòa società. Il piccolo è bello non regge più contro gli attacchi attuali dell’Alta Finanza e le politiche di rientro dal debito che la Comunità Europea cerca insistentemente di imporre.
Onofrio Infantile
Lun.8 luglio 2013
Quando gli operai di una fabbrica vedono minacciati i loro posti di lavoro perchè la fabbrica sta per chiudere o essere trasferita all’ estero, gli operai entrano in lotta con scioperi, occupazioni, cortei, manifestazioni.
Quando i contadini di un territorio vedono minacciata la loro fabbrica, cioè la terra coltivabile, da un progetto di cementificazione, non fanno altrettanto degli operai. Eppure i terreni dovrebbero essere più facilmente difendibili, non possono essere trasferiti in Cina o in Polonia. Perché i contadini non occupano i terreni per difenderli dalla cementificazione, perché? perché.
Purtroppo non è la stessa cosa:
– Spesso dietro la reazione degli operai c’è la forza dei sindacati e, almeno fino a poco tempo fa, contratti più o meno solidi di lavoro;
– gli operai di una fabbrica sono molti e possono farsi sentire…
– Le aziende agricole molto spesso sono a conduzione familiare e( grazie alle politiche degli ultimi anni ed alla concorrenza sfrenata in un mondo globalizzato e senza regole)indebitate… Spesso i contadini vengono espropriati delle proprie terre o costretti a venderle per sopravvivere e se per caso volessero resistere si troverebbero in 5-10 o 15 persone a difendere ettari di territorio o migliaia di capi di bestiame…
La speranza si avrà con la presa di coscienza di tutta la cittadinanza in grado di resistere al fianco sia degli operai, sia dei contadini….(vedi Taranto).
Scusatemi, ma come posso mettermi in contatto con voi???? Ho tentato con mail personale e con mail tramite fb .. c’è qualcuno che segue la corrispondenza??
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