Da: Internazionale N. 1018 (20/26 settembre 2013)
Visti dagli altri – Daniel Trilling , New Statesman, Regno Unito.
Costruito nel 1727 e affacciato su un vicolo a metà strada tra il Foro e il Pantheon, il Valle è il teatro più antico di Roma. E’ sempre stato famoso per il suo spirito innovativo, ma oggi ospita un esperimento sociale ancora più coraggioso. A giugno del 2011, quando l’amministrazione comunale minacciò di chiuderlo, attori e dipendenti lo occuparano per protesta.
Non era una decisione insolita in sé: con il prolungarsi della crisiin tutta la zona euro, i beni culturali – che qualcuno definisce il “petrolio italiano”, vista la loro importanza economica – sono al centro del malcontento generale. Da quando i finanziamenti statali sono diminuiti, i dipendenti dei musei sono preoccupati e il Colosseo è diventato il simbolo delle proteste.
Ma quella che al Valle era nata come una protesta simbolica, in breve tempo si è trasformata in qualcosa di più. L’occupazione ha avuto il sostegno di alcune delle figure più importanti della cultura italianae e ha ricevuto migliaia di messaggi di incoraggiamento dal pubblico.
Invece di andare via dopo tre giorni, come avevano progettato, gli occupanti hanno deciso di tenere aperto il teatro.
Valeria mi spiega che hanno cercato di rendere l’ambiente più accogliente possibile. “Anziane signore vengono a portarci il pranzo o i giornali”, dice. “Arrivano persone che non si sarebbero mai sognate di entrare in un edificio occupato. E’ diventato una comunità al centro di Roma, qualcosa che prima non c’era”.
Le decisioni vengono prese collettivamente. Una volta alla settimana si tiene un’assemblea aperta al caffè del teatro, una stanza con grandi finestre che guardano sulla strada, così i passanti possono vedere quello che sta succedendo e, se vogliono, possono anche entrare.
“Quello che stiamo cercando di far capire”, dice Valeria, “è che ci sono cose che non possono essere gestite dai privati. Certe istituzioni, come le scuole e gli ospedali, non possono essere privatizzate. E quando lo stato non riesce a gestirle come si deve, dovrebbero poterlo fare i cittadini”.
Durante il mandato di Alemanno molti beni pubblici sono stati venduti a privati o abbandonati a loro stessi. Quando nel 2011 il governo Berlusconi ha chiuso il fondo per la gestione dei più importanti teatri italiani e ne ha ceduto il controllo alle amministrazioni locali, il teatro Valle ha vauto buoni motivi per temere per il proprio futuro. Del resto l’austerità imperversa e i finanziamenti statali per i progetti culturali continuano a diminuire.
Qualche km più a nord del teatro Valle, in un quartiere popolare di Roma, ho visitato un altro edificio occupato. Quello che ora si chiama Officine Zero: una ex officina ferroviaria, venduta ai privati e poi occupata dai suoi operai con un piccolo aiuto da parte degli studenti.
Appena arrivato, mi è apparso subito chiaro che quell’occupazione aveva colmato il divario tra due generazioni della sinistra italiana. Gli ex tecnici ferroviari hanno trasformato un angolo della fabbrica in un impianto di riciclaggio e gli uffici sono stati convertiti in uno spazio comune da studenti, artisti e scrittori. Come mi ha spiegato Camilla, una insegnante d’italiano che partecipa al progetto, la crisi ha costretto un numero sempre maggiore di persone ad accettare lavori freelance e stare insieme è un modo per superare l’isolamento.
Roma ha una lunga storia di occupazioni e centri sociali, ma la crisi economica ma la crisi economica ha intensificato questo fenomeno.
A San Lorenzo , il quartiere universitario della capitale , esiste tutta una serie di piccoli centri comunitari. Shendi Veli, un attivista del vecchio centro sociale Esc Atelier, mi ha spiegato che “per molte persone, l’unica alternativa alla crisi è stata l’autorganizzazione”.
Gli attivisti del teatro Valle hanno cercato di fare qualcosa di più. Qualche settimana dopo l’inizio dell’occupazione hanno chiesto al giurista Ugo Mattei di aiutarli a stilare i documenti che avrebbero garantito una protezione legale al lavoro che stavano facendo, permettendogli di gestire il teatro collettivamente.
Nel 2007 Mattei aveva fatto parte della commissione di giuristi nominata dal governo per modificare la legge italiana sul diritto di proprietà , che aveva suggerito un cambiamento importante: l’introduzione di un terzo tipo di bene, né pubblico, né privato, ma comune.
La sua proposta consente a gruppi di cittadini di assumere la gestione di servizi pubblici e di istituzioni culturali per impedire che cadano in mano ai privati. Con l’aiuto del teatro Valle questo movimento è cresciuto.
I promotori hanno organizzato incontri in diverse città italiane invitando i partecipanti a discutere dei problemi locali che potrebbero essere risolti con un’azione collettiva. A Pisa un dibattito ha affrontato la chiusura delle fabbriche. All’Aquila gli abitanti della città colpita dal terremoto del 2009 hanno espresso la loro frustrazione per la lentezza della ricostruzione e per le leggi che gli impediscono di occuparsene da soli.
Dopo aver ignorato per anni i suggerimenti della commissione, il senato italiano ha appena cominciato a discutere se adottare il principio di bene comune.
“Non abbiamo bisogno dello stato”, mi ha detto Mattei. “Abbiamo bisogno di gente che si organizza. Per questo il potere ha tanto paura di noi”.
Per Valeria, l’esperimento del teatro Valle indica un nuovo modo di fare politica. “Molti pensano che partecipare significhi solo ‘esprimere la propria opinione'”, mi ha detto. “Ma noi siamo profondamente convinti che la politica si fa con il corpo”. Valeria prosegue: “Quando quelli delle altre città ci chiedono: ‘Come possiamo aiutarvi?, noi rispondiamo: ‘Occupate uno dei vostri teatri'”. (bt)