Pubblichiamo una riflessione pungente di Aldo Vecchi sulle intenzioni del XVIII Congresso INU che si terrà dal 24 al 26 ottobre dal titolo: “Città come motore dello sviluppo del Paese”.
Va comunque ricordato, senza polemica, che il blog “Salviamo il paesaggio – Difendiamo i territori”, ha sempre trattato temi che, direttamente o indirettamente, hanno riguardato aspetti descritti dall’INU (dal consumo di suolo alle infrastrutture, dal Governo del territorio alle politiche urbanistiche, dall’agricoltura all’edilizia).
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Per una distrazione dovuta a disguidi del mio abbonamento alle riviste dell’Istituto Nazionale di Urbanistica (ed anche perché delle attività dell’INU nessuno parla fuori dell’INU, né i principali quotidiani, né – ad esempio – il mondo di “Salviamo il paesaggio”), stava sfuggendomi l’imminente XXVIII Congresso Nazionale dello stesso INU, che si terrà a Salerno nei giorni 24-26 ottobre p.v. Rischiavo quindi di sprecare energie attorno al congresso del PD, il cui esito sarà di certo rilevante, ma dove si fatica a discutere di questioni importanti (per privilegiare il confronto sulla telegenia dei candidati), trascurando il congresso dell’INU, che invece alcune importanti questioni le affronta, ma che sarà probabilmente irrilevante, sia perché pochi saranno in ascolto, sia perché in questa fase storica mi sembra limitata l’influenza dell’INU sul comportamento effettivo delle amministrazioni che gestiscono le città e i territori.
La questione più importante che pone l’INU, nel documento introduttivo al 28° Congresso “La città come motore dello sviluppo del Paese”, è la configurazione disorganica raggiunta nel disordinato sviluppo dei territori “metropolizzati” (post-metropolitani?), urbani e peri-urbani, a fronte della consapevolezza che il bisogno e la stessa domanda effettiva di aree da trasformare sia oggi inferiore all’offerta potenziale data dall’insieme delle “porosità” infra-urbane (aree dismesse e aree rurali intercluse).
Da qui la necessità di una prospettiva di consolidamento e valorizzazione dei vuoti, da affiancare ad una virtuosa “rigenerazione” (oltre la “riqualificazione”) di ogni brano della città/non-città esistente, da rendere quanto più possibile “resiliente” ovvero tendenzialmente equilibrato in termini di consumi ed approvvigionamento energetico (ed alimentare?), e di inquinamento/disinquinamento (aria, acqua, suolo, rifiuti), con processi di densificazione mirati e puntuali (non generalizzati), attraverso i luoghi pubblici/sociali e lungo le reti ecologiche ed infrastrutturali, e con selezione delle aree da riutilizzare, che non ne esclude la riconversione a verde, pubblico od agricolo.
Il tutto condito da una adeguata politica dei trasporti, con priorità ai mezzi pubblici; e da una attenzione al fabbisogno abitativo per le fasce deboli e debolissime (che però attribuisce al solo Campos Venuti l’idea di incentivare la suddivisione degli alloggi troppo grandi per famiglie rimpicciolite). L’insieme mi sembra che suggerisca una visione processuale della pianificazione per “flussi di uso di territori”, rinunciando invece ad una compiutezza formale del disegno urbano complessivo; tale visione ben si collega allo slogan “no al consumo di suolo” e mi pare ne superi la pura negatività vincolistica.
A questi contenuti si affianca la riproposizione della strumentazione del congresso di Bologna (“La nuova Legge urbanistica. I principi e le regole”. Bologna, 1995), e cioè:
- la co-pianificazione tra i comuni e tutti gli altri Enti da coinvolgere
- lo sdoppiamento tra piano strutturale (invarianti e linee strategiche, non conformative dei diritti edificatori) e piano operativo di breve durata (con decadenza congiunta di edificabilità privata e vincoli di uso pubblico), che l’INU giudica poco o mal attuata dalle Regioni in questi 18 anni (con una visibile insofferenza verso il “federalismo reale”) e che perciò rivendica da una legge quadro statale, che affronti anche il nodo del regime giuridico e fiscale dei suoli (con segnalazione della nuova legge Svizzera sul prelievo fiscale delle rendite urbane).
I punti deboli della lungimirante e ambiziosa piattaforma mi sembra siano soprattutto:
- la rinnovata apertura di fiducia verso Governo e Parlamento (che francamente – se non sorretta almeno da un qualche sciopero della fame dell’intero gruppo dirigente dell’INU – mi ricorda Charlie Brown al calcio della palla che gli sarà inesorabilmente sottratta da Lucy van Pelt); nel contempo l’INU sembra acquiescente con la soppressione delle Provincie, che cancellerà quasi del tutto quel poco di buono che si è fatto e si potrà fare a scala sovracomunale, al di fuori della speranza nelle aree metropolitane”;
- la visione congiunturale della crisi, o almeno del suo aspetto specifico che in Italia colpisce la finanza delle amministrazioni locali, come se si potesse facilmente intravvedere un dopo-crisi migliore e simile al prima, mentre a mio avviso bisogna comunque ragionare in termini nuovi, di piena consapevolezza della conflittuale conclusione del ciclo affluente del welfare europeo del secondo Novecento (vedi anche Luciano Gallino “L’attacco allo stato sociale” – Einaudi 2013) e quindi di ricerca degli strumenti (per l’appunto nelle città, che raccolgono popolazioni, produzioni e redditi), per ricostruire dal basso il welfare e la buona occupazione, sia con una adeguata fiscalità immobiliare (e superamento della più generale evasione fiscale), sia con la valorizzazione di tutte le risorse anche non-finanziarie (lavoro, ricerca, volontariato, cooperazione): dare quindi concretezza al titolo del congresso (“la città come motore dello sviluppo del Paese”), che sennò sembra un po’ uno slogan alla Matteo Renzi (CORAGGIO versus Paura/Aruap, ecc.).
A margine rilevo con disagio la scelta dell’INU di trasformare la raccolta di contributi teorici (“call for paper”) in vista del Congresso in una sorta di operazione editoriale per Autori-A-Proprie-Spese (vedi Umberto Eco “Il pendolo di Foucault” – Bompiani 1988), sottoponendo i testi ad un versamento di 50 o 100 € (come già per il precedente Premio di Letteratura Urbanistica): si specula sul bisogno di pubblicare dei dottorandi e docenti precari?
Aldo Vecchi
(Blog “Relativamente Si“)