Lorenza Zambon, attrice e autrice teatrale che sin dall’inizio accompagna con i suoi coinvolgenti spettacoli le attività del Movimento nazionale Stop al Consumo di Territorio e del Forum nazionale Salviamo il Paesaggio, ha in questi giorni dato alle stampe anche un libro che ci pare una custodia sensibile e visionaria per racchiudere parte delle sue tre “Lezioni di giardinaggio planetario“.
Un libro di storie, tratte dal quotidiano e dalla narrazione, che mettono a nudo la sua natura indagante non solo di donna del teatro ma di giardiniera, come ama definirsi, cioè di essere animato e pensante conscio della sua appartenenza alla terra e alla Terra.
Non è la pura trasposizione dei suoi spettacoli in forma di scrittura fluida, ma è qualcosa di più: una sorta di catalogo dei saperi semplici, delle suggestioni, del ciò che possiamo fare o non fare (e disfare …) per essere simbioticamente parte di un mondo naturale che pare sfuggirci in ogni istante.
E la scrittura di Lorenza aiuta a rientrare in quel mondo naturale, in modo concreto e non mediato dal gesto: l’universale e la sua parte aggrediscono il lettore con la gentilezza di un consiglio e qualche monito, con gli esempi, spingendo unghia sottili nella nostra carne assopita e risvegliando il richiamo ancestrale che per l’umano continua ad essere rappresentato dagli elementi vitali che lo circondano: acqua, aria, fuoco/energia e puntualmente terra. E quel sottile suo strato superficiale che è l’humus. La nostra pelle, la pelle della Terra …
Le tre “Lezioni di giardinaggio planetario” le potete sorseggiare cronologicamente, ma le potreste anche scomporre e percorrere a zigzag – dall’ultima alla prima o partendo dalla seconda inanellando un anarchico percorso di autentica fertilità – incontrando segni e semi.
Lorenza parte da un “luogo” dove «si insegnano quattro tecniche per procurarsi le piante e si portano ad esempio, tra gli altri, la mamma, un famoso scrittore, un seminatore di foreste; si racconta di azioni non sempre legali, di dedizioni lunghe una vita e di attacchi estemporanei di giardinaggio anonimo». Per entrare nel suo mondo, ci suggerisce innanzitutto alcune semplicissime tecniche di riproduzione delle piante, iniziando dal come procurarsele, le piante.
La talea, il modo migliore per ottenerne di nuove secondo gli insegnamenti della propria madre («non una madama, ma una sioretta, come si dice in Veneto») abituata ad adocchiare specie interessanti tra le villette e i palazzoni della strada e «… zac: con l’unghia del pollice e quella dell’indice – aveva le unghie belle forti e sempre con lo smalto – Zac! Via un rametto, e poi subito nella borsa».
Il trapianto, per dare spazio o spostare qualcuna delle vostre preferite secondo i dettami di quel signore che abitava da quarant’anni in una casa che si era costruito sull’altipiano di Asiago, dove era nato, ed aveva iniziato a mettere a dimora pini silvestri e betulle là dove la guerra aveva lasciato le sue invadenti tracce e seminato ossa e granate e simboli di morte in una natura che non voleva riprendersi. Quell’uomo era Mario Rigoni Stern e il suo arboreto divenne salvatico: salvifico, portatore di salvezza. Di chi ? …
La semina, la madre di tutte le tecniche di riproduzione delle piante, che significa preoccuparsi di disporre di terra leggera e friabile e di tanto amore, come insegna l’uomo che piantava gli alberi oppure il Gym, un signore schivo e anziano, che da giovane aveva girato il mondo e che di querce ne avrà piantate ventimila, in val Sarmassa, sul Sassello, sull’Appennino ligure. O, ancora, il signor Nandino di Antignano, che non era convinto della bontà di quel moderno mais americano e tornò a coltivare certe «pannocchie lunghe e puntute, con solo otto file di semi, semi belli lustri di colori diversi a seconda del posto: bianchicci intorno a Torino, rossi nell’Astigiano, gialli verso la Langa. E che diceva che dall’America ma smia ca velu ciuleme! na minuta! (dall’America mi sa che vogliono fregarmi! Un minuto!)».
La messa a dimora dei bulbi, un fatto di terra e di manipolazione …
E poi le storie apparentemente un po’ “strane”. Quella di Joyce, donna inglese che girava sempre con bulbi o semi in tasca e quando incontrava luoghi depressi spargeva i suoi semi con noncuranza perchè «anche il posto più brutto con un fiore è meglio, chiunque passi di là vede il fiore e sta un po’ meglio». Invece con i bulbi si possono comporre scritte: quando li metti in terra non sembra, ma quando le piante crescono e vanno in fiore, ecco le parole più eteree apparire. Pace, Abbasso, Viva !
Quella dello scrittore Capek di Praga che odorava la terra, per riconoscerla e rispettarla perchè «in un solo cucchiaino di terra si possono contare cinque miliardi di batteri semoventi, venti milioni di batteri filiformi, un milione di protozoi e duecentomila tra alghe e funghi…».
Quella del “terzo paesaggio” di Gilles Clément, che sosteneva che «i giardini non stanno fermi ma si muovono … e i giardinieri non devono impedire questo movimento ma andargli dietro».
Quella di Gino (Scarsi), Domenico (Finiguerra) e Alessandro (Mortarino), che è la storia della nascita del Movimento nazionale Stop al Consumo di Territorio e di una apparente utopia che inizia con un «basta costruire, recuperiamo ciò che c’è e che nessuno utilizza» e poi diventa un’azione di massa, una consapevolezza, un nuovo modello di società.
Quella di una coppia conosciuta a Brugherio, pieno hinterland milanese, che per fare un vero regalo ai propri figli decide di abbattere una decina di redditizi garage e sostituirli con nuova terra che diventa un giardino perchè «bisogna pur dimostrare che mica tutto è denaro!».
Quella di Franco (Correggia), vero esperto della flora del Piemonte, che osserva il perimetro delle chiese Romaniche e scopre come tutto attorno, in quella sottile striscia di terra mai intaccata dall’uomo, si trovino erbe antiche come la chiesa, fiori che fioriscono lì da mille anni, anche alcuni diventati rarissimi o che proprio non si trovano più: il Tulipano silvestre, quello piccolo e giallo, rarissimo; i serpenti intrecciati e l’Elleborina bianca, la Vulneraria, la Garofanina …
E poi Berlino, Sarajevo, L’Aquila, Detroit: città morte che rinascono. E gli orti da passeggio e di città, le storie di Guerrilla Gardening, il giardinaggio d’assalto, il suono dei tulipani, Vandana Shiva e noi.
Noi ? Intanto cosa possiamo fare noi ? Vandana dice: «un seme libero in ogni casa, su ogni balcone … e occhi aperti sul pianeta».
Questo possiamo farlo anche noi.
Come dice Lorenza Zambon: «Non è difficile trovare i semi giusti: guardatevi in giro, scoprirete che si scambiano liberi semi in mille insospettabili posti molto vicini a voi. Sì certo, possiamo fare la nostra parte, possiamo seminare: piantarne uno, raccoglierne venti, regalarne quindici … e vai e vai …».
Lezioni di giardinaggio planetario di Lorenza Zambon, Ponte alle Grazie editore, primo titolo della nuova collana “Le rose selvatiche”, 110 pagine, euro 10.
Oltre al libro, ricordiamo le tre rappresentazioni teatrali delle lezioni di Lorenza: chi finora le ha perse ha la possibilità di recuperare andando sul sito http://www.teatroenatura.net/ dove compare il programma delle prossime rappresentazioni.
Recensione di Alessandro Mortarino
Molto interessante!! Il verde nelle città è un vero disastro, lavori di potatura dati in appalto, mancanza di manutenzione, mancanza dei giardinieri professionisti che seguivano zona per zona la crescita e lo stato di salute delle piante per intervenire e prevenire eventuali malattie.