Nel momento in cui anche uno degli argomenti più impopolari quale quello dei vitalizi assegnati agli ex consiglieri regionali sta diventando di pubblico dominio, risulta ancora difficile avere la massima trasparenza e chiarezza sul futuro delle foreste demaniali della Sardegna.
Non c’è alcun intento polemico, né denigrazione o altro, ma l’esigenza fondamentale di conoscere elementi importanti e basilari per la conservazione e l’incremento del patrimonio ambientale isolano, in particolare il patrimonio ambientale pubblico rappresentato dalle foreste demaniali.
Dopo la denuncia pubblica (inizio aprile 2014) dell’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus riguardo i rischi di tagli boschivi e di riconversione del bosco ad alto fusto in ceduo, l’Ente foreste della Sardegna (E.F.S.) ha ritenuto opportuno iniziare a fornire qualche particolare sui propri programmi in merito, con uno specifico comunicato stampa, preannunciando un’opportuna (un po’ tardiva, ma fondamentale) sezione specifica (“pianificazione forestale”) nel proprio sito web istituzionale dedicato ai programmi di utilizzo delle foreste demaniali.
A distanza di un mese è giunta, finora, soltanto una sintetica fotografia dell’area interessata dal primo taglio nella Foresta demaniale del Marganai (loc. Caraviu e su Isteri, Comune di Domusnovas): si tratta di un primo intervento di taglio di 34 ettari di Leccio, Corbezzolo, Fillirea, Macchia alta ed nell’ambito di un progetto pilota che prevede il “ripristino del governo a ceduo e la pianificazione dei futuri tagli” per complessivi 305 ettari (anni 2009-2021), in base al piano di gestione dei tagli boschivi del complesso Marganai approvato dalla Provincia di Carbonia – Iglesias.
Così lo motiva l’E.F.S.: “i boschi oggetto di intervento sono stati sempre – a memoria d’uomo e documentale – governati a ceduo: pertanto il ripristino di tale forma di governo deve essere inteso come ripristino colturale e delle pratiche selvicolturali da parte dell’Ente Foreste (tale attività non era stata praticata nel recente passato ma era una realtà consolidata nei decenni precedenti). Il piano dei tagli ha quindi, sia per la modesta estensione e sia per la ripresa della consueta forma di governo, il carattere sperimentale e di ripristino di tale pratica prima che potesse essere perduta del tutto, in quel territori a ciò vocato”.
Da ciò si potrebbe supporre che tutti i boschi rientranti nella gestione dell’E.F.S. a memoria d’uomo governati a ceduo dovranno/potranno essere ricondotti a tale ripristino colturale e delle pratiche selvicolturali: dalla Foresta demaniale di S’Acqua Callenti (Castiadas), già governata a ceduo dai forzati dell’allora Colonia penale fino al 1956, alla Foresta demaniale di Rosas-Monte Orrì, (Narcao, Siliqua), già massacrata a ceduo per decenni a fini minerari, alle Foreste demaniali di Gutturu Mannu, di Is Cannoneris, di Monte Nieddu e di Pixina Manna, tutte già ampiamente interessate dalla ceduazione fino a 50-60 anni fa, nel cuore della più esteso compendio forestale del Mediterraneo, proprio mentre il nuovo Assessore regionale della difesa dell’ambiente Donatella Spano e i rappresentanti dei Comuni interessati (Pula, Sarroch, Assemini, Capoterra, Siliqua, Santadi, Uta, Villa San Pietro) stanno cercando di realizzarvi il parco naturale del Sulcis, come ben noto allo stesso E.F.S., che si è proposto per la gestione.
Come si vede, è necessaria la massima trasparenza e chiarezza su obiettivi e intenti della nuova politica forestale, in particolare dopo la redazione dei piani forestali particolareggiati di tredici complessi forestali, predisposti dall’ATI DREAM Italia – RDM Progetti, ha avviato un nuovo utilizzo dei boschi sardi.
L’obiettivo dichiarato è quello della gestione forestale sostenibile, ma non si comprende come mai si voglia cambiare rotta dopo decenni di ampiamente pubblicizzata attività di ricostituzione del bosco ad alto fusto dal precedente ceduo.
Non si può giocare con le parole affermando “i boschi oggetto di intervento sono stati sempre – a memoria d’uomo e documentale – governati a ceduo”: come noto, fra il 1820 e il 1883 le foreste della Sardegna vennero abbattute per i quattro quinti, con un picco nel 1847.
Quelle aree, poi, vennero governate a ceduo.
E, spiace dirlo, non chiariscono nulla le prese di posizione risentite, quasi porre domande su temi ambientali rilevanti sia lesa maestà, o le difese d’ufficio svolte da stimati docenti universitari quali il prof. Roberto Scotti che, per sua ammissione, è stato “coinvolto dal raggruppamento di imprese che li ha realizzati (i piani forestali particolareggiati, n.d.r.) per offrire supporto”.
Facciamo un piccolo passo indietro.
Sia in epoca romana che durante la dominazione catalano-aragonese e spagnola le foreste, i boschi e le macchie della Sardegna subirono l’attenzione della scure per ragioni sostanzialmente economico-speculative.
Sicuramente, però, è stato l’800 il secolo nel quale la copertura forestale isolana ha subito le peggiori e più pesanti devastazioni: dall’Editto delle chiudende (1820) all’abolizione del feudalesimo (1835-1843), alla creazione della rete ferroviaria (1865), questi sono i momenti storici nei quali il disboscamento della Sardegna creò le condizioni per l’attuale situazione diffusa di rischio idrogeologico.
Come sopra detto, tra il 1820 e il 1883 le foreste della Sardegna vennero abbattute per i quattro quinti, con un picco nel 1847.
Con i primi decenni del ‘900, fra mille difficoltà, prima lo Stato, poi la Regione autonoma della Sardegna, attraverso la gestione del Corpo forestale e dell’Azienda Foreste Demaniali (oggi Corpo forestale e di vigilanza ambientale e Ente foreste della Sardegna), hanno portato avanti una strenua attività per la ricostituzione del patrimonio forestale isolano, in particolar modo nell’ambito delle Foreste demaniali.
Oggi la Sardegna è la prima regione italiana per superficie forestale (1.213.250 ettari, il 50,36% dell’Isola), secondo l’Inventario nazionale foreste e carbonio, anche se in buona parte si tratta di macchia mediterranea evoluta e bosco misto a macchia. Uno straordinario patrimonio ambientale, validissimo a fini ambientali, paesaggistici, turistici. Per non parlare della difesa del suolo in un’Isola che sa solo il Cielo quanto ne abbia bisogno.
La retrocessione a ceduo – o chiamatela come volete – di ampie superfici di bosco e la conseguente ripresa dei tagli boschivi anche di boschi di fatto ormai ad alto fusto è destinata alla produzione di banale legna da ardere e biomassa, come sembra?
Oltre alla pulizia di bosco e sottobosco, sempre necessari e un po’ caduta in disuso, perché per non incentivare a questi fini la forestazione produttiva sulle estese aree di proprietà pubblica o privata oggi inutilizzate anche con il sostegno di fondi comunitari?
In attesa di saperne di più, c’è da chiedersi comunque come mai l’E.F.S., i cui organici (ben 7.000 dipendenti) sono forniti di ogni professionalità per la gestione forestale, sia dovuto ricorrere all’esterno per la redazione delle proposte di piano (importo pari a euro 1.121.250,00 + I.V.A.) e perché debba essere un Consiglio di amministrazione in scadenza di mandato e in assenza di Direttore generale a prendere decisioni così rilevanti per il futuro delle foreste demaniali sarde.
E’ necessaria la massima trasparenza e le più ampie informazioni, perché un ritorno al passato, anche parziale, sarebbe una follìa della quale la Sardegna non ha minimamente bisogno: auspichiamo ancora una volta una rapida presa di posizione da parte della nuova Giunta Pigliaru per la salvaguardia e l’incremento delle foreste demaniali e di tutto il patrimonio forestale isolano.
GRIG – Gruppo di Intervento Giuridico
http://gruppodinterventogiuridicoweb.wordpress.com
E’ un concetto ormai scientificamente acquisito ed affermato che la produzione di biomassa forestale per scopi energetici (legna da ardere e cippato di legno) sarà fondamentale per rispondere alla crescente domanda di fonti energetiche rinnovabili. Questa produzione è promossa e favorita dalle politiche europee, nazionali e regionali sulle fonti energetiche rinnovabili e garantisce gli impegni internazionali dell’Italia per ridurre le emissioni di CO2 e contrastare il cambiamento climatico.
A fronte di questa premessa va rilevato che la Regione Sardegna consuma annualmente 967.000 ton di legna da ardere all’anno (nota 1) e nonostante sia la regione italiana con la più ampia superficie forestale (1.213.250 ettari) (nota 2) produce meno del 6% del suo fabbisogno di legna combustibile. Infatti, nonostante presenti un numero di addetti del settore forestale tra i più alti in Italia, a fronte di una produzione potenziale di biomassa legnosa per usi energetici stimata in 1.235.000 ton (nota 3), il prelievo legnoso è di sole 50.000 ton (nota 4) e di conseguenza il 95% dei suoi consumi viene coperto dall’importazione.
La Regione Sardegna, purtroppo, anziché promuovere la produzione legnosa interna, con i conseguenti benefici economici e sociali (innanzitutto per l’occupazione nelle aree rurali più bisognose di nuove opportunità lavorative), importa le legna da ardere pagandola un 40% in più del costo medio del mercato italiano (riferimento dati della Camera di Commercio di Sassari), costo che va a gravare sul costo della vita dei cittadini sardi.
La recente costruzione in Sardegna di un grande impianto di cogenerazione a biomasse finanziato con i fondi per il contrasto al cambiamento climatico, (biomasse che dovrebbero essere prodotte a chilometro zero o per lo meno totalmente sull’Isola), ha portato a situazioni paradossali come quella segnalata perfino da un quotidiano straniero come “El Pais” dove si informa che la Sardegna compra la legna dai boschi bruciati della Catalogna per produrre energia elettrica
http://ccaa.elpais.com/ccaa/2014/03/08/catalunya/1394300525_153610.html,
e, così, i cittadini Sardi e Italiani finanziano con le loro bollette elettriche carissime la ricostituzione dei boschi bruciati spagnoli.
In merito al governo a ceduo, va ricordato, infine – last but not least – che si tratta di una pratica selvicolturale antichissima, praticata da secoli dalle popolazioni rurali in Italia e negli altri Paesi del Mediterraneo per la produzione di legna da ardere, la quale pratica , correttamente eseguita, garantisce una produzione ecologicamente ed economicamente sostenibile.
A commento dell’editoriale “Foreste demaniali in Sardegna: non vogliamo polemiche, vogliamo trasparenza” non sono necessarie altre considerazioni, che avrebbero solo l’effetto di alimentare una sterile polemica.
(1) RUDI DRIGO (*) – GHERARDO CHIRICI (*) – BRUNO LASSERRE (*) MARCO MARCHETTI (*) – ANALISI SU BASE GEOGRAFICA DELLA DOMANDA E DELL’OFFERTA DI COMBUSTIBILI LEGNOSI IN ITALIA -L’ITALIA FORESTALE E MONTANA, Vol 62, No 5-6 (2007)
(2) Inventario Nazionale delle Foreste e dei Serbatoi di Carbonio – Corpo Forestale dello Stato – http://www.sian.it/inventarioforestale/
(3) Vedi nota 1
(4) Vedi nota 2
E’ impensabile che il programma di gestione di questo bene così necessario per la salvaguardia del nostro territorio sia in mano al dirigente di turno. la gente deve sapere, bisogna informarla, è urgente difondere la notizia utilizzando tutti i mezzi possibili e immaginabili. Parlare con le persone che ci stanno vicine, con le nostre amministrazioni locali.Il governo regionale deve capire quanto stia a cuore a noi isolani il nostro territorio e le politiche di gestione che lo riguardano. Non permettiamo che succeda.
E’ una follia pensare di tornare al ceduo. Il fatto che in passato sia stato praticato non giustifica in alcun modo, dal punto di vista tecnico, la necessità di tornare a questa forma di governo. Trattandosi di una foresta demaniale, e quindi di un bene pubblico, la sua gestione dovrebbe essere finalizzata a massimizzare la biodiversità, il valore ambientale e anche turistico del bosco in modo da garantire appunto la conservazione nel tempo di un bene per la collettività. Per attuare tutto occorre incentivare la conversione a fustaia del ceduo e non viceversa.
Quindi tenete duro!
tutti abbiamo bisogno di rinnovamento, compreso il bosco. se vuoi ti porto a visitare il bosco ad alto fusto, ti renderai conto da sola che così facendo, non ci sarà mai un rinnivamento naturale. un albero se lo tagli ricresce se muore da loso non ricresce, e prima o poi muore.