E’ di questi giorni l’ennesima segnalazione riguardante gli alberi. In Sardegna le associazioni si rivolgono agli enti preposti: “non si potano gli alberi in questo periodo, proteggiamo i nidi!” Oltre a questo, quali errori si compiono nella cura del patrimonio arboreo? Ne parliamo con Andrea Bucci, agronomo milanese esperto di potature ed alberi in ambiente urbano.
Potatura senza attenzione all’avifauna nidificante
Non è un caso isolato – dicono le associazioni ecologiste Gruppo d’Intervento Giuridico e Lega per l’Abolizione della Caccia che hanno segnalato lo scorso 6 giugno al Corpo Forestale e di Vigilanza Ambientale della Sardegna e alla Polizia Municipale di Villasimius la potatura effettuata a Villasimius (CA).
Una potatura effettuata senza le opportune attenzioni e cure nei confronti dell’avifauna nidificante negli alberi oggetto dell’intervento, tanto che avrebbe determinato un abbandono dei nidi da parte delle specie coinvolte. Non rispettando quindi la direttiva n. 2009/147/CE sulla tutela dell’avifauna selvatica, esecutiva in Italia con la legge n. 157/1992 e s.m.i.
Qualsiasi intervento di potatura della vegetazione, seppure necessario per la salute degli alberi, andrebbe effettuato con le cautele idonee alla salvaguardia delle specie nidificanti eventualmente presenti, in modo tale da evitare di arrecare loro disturbo nel periodo di riproduzione – concludono le associazioni che chiedono maggior vigilanza.
Gravi errori nella cura del patrimonio arboreo
Nell’articolo dello scorso aprile Alberi sotto attacco in tutta Italia prendendo spunto dalle numerose segnalazioni ricevute avevamo affrontato questi temi. Analizziamo dal punto di vista tecnico con l’aiuto dell’Agronomo Andrea Bucci.
Dalla provincia ovest di Padova si segnalava la scarsa cura del patrimonio arboreo già in difficoltà a causa dell’urbanizzazione e la scelta di effettuare potature “discutibili” perché troppo intense, spesso ritardate e effettuate poco prima della ripresa vegetativa causando indebolimento, disseccamento e abbrutimento della pianta.
Perché le amministrazioni sono “ossessionate dalle potature”? Quanto è importante la potatura di formazione e come si deve intervenire su piante già sviluppate? Perché non si riesce a fare una corretta cura e scelta delle piante? Perché non ci sono piani di tutela del verde pubblico?
Alla base c’è un errato approccio culturale – ci dice Andrea Bucci. Si pensa che più materiale legnoso si asporta dagli alberi più gli operatori hanno fatto un buon lavoro che va proporzionalmente remunerato. È vero esattamente il contrario! La corretta potatura degli alberi in città è quella che quasi non si vede, la cosiddetta rimonda. Si tratta dell’asportazione dei rami secchi e malati che non servono più all’albero (in larga parte collocati all’interno della chioma) oltre che risultare pericolosi per persone e cose soprattutto in occasione di nevicate e forti temporali.
In alcuni casi quando gli alberi sono eccessivamente vicini a edifici oppure intralciano il transito di pedoni e autoveicoli la rimonda può essere accompagnata da una leggera potatura di contenimento. Ma è bene ricordare come potature drastiche e ancor di più le capitozzature sono operazioni assurde che non sono supportate da alcun criterio tecnico-scientifico. Simili azioni causano un danno alla piante che traggono l’energia proprio dalle foglie, compromettono l’estetica di parchi, giardini e viali e cosa non affatto secondaria fanno spendere inutilmente denaro alle amministrazioni pubbliche o ai proprietari dei giardini privati. Chi commissiona capitozzature e potature estreme spende dei soldi per fare un danno. Questa è la follia! Alcune piante come i pioppi o i tigli possono avere anche una buona capacità di recupero dopo la capitozzatura (dove comunque bisognerà intervenire con potature di correzione spendendo altri soldi), ma soprattutto per le conifere si corre il rischio di condurre le piante a morte entro pochi anni. Le potature estreme non solo sono dannose perché obbligano le piante a utilizzare tutte le risorse energetiche a disposizione (in quanto non dispongono più di una chioma capace tramite le foglie di produrre gli zuccheri necessari al metabolismo vegetale) ma rappresentano anche una via di accesso ai parassiti tanto più la potatura viene condotta con temperature medio-alte e ambiente umido.
Talvolta alcune potature drastiche sono motivate dal fatto che alcuni alberi di elevate dimensioni (abeti, cedri, ecc) sono collocati a ridosso di edifici e strade con un forte conflitto con il costruito. In questi casi l’errore è stato fatto al momento dell’impianto con scelte sbagliate. In questi casi capitozzature e potature estreme non sono la soluzione, meglio procedere all’abbattimento con sostituzione con alberi o arbusti di dimensioni più contenute.
La soluzione più efficiente per far fronte al problema delle potature selvagge è la stesura a livello comunale di piani del verdi redatti da professionisti competenti che mettano al centro la rimonda quale operazione da privilegiare capace di andare nella direzione del benessere delle piante, della tutela dell’estetica urbana e del risparmio economico da parte degli amministratori.
I piani dovrebbero programmare la manutenzione ordinaria del verde urbano in un orizzonte temporale di 5-10 anni. Naturalmente i piani dovrebbero prevedere anche una parte di manutenzione straordinaria rappresentata soprattutto dalla sostituzione degli alberi che hanno concluso la propria carriera (mediamente 20-25 anni) con piante adatte ai vari contesti così da prevenire qualsiasi operazione correttiva in futuro.
L’ossessione per le potature estreme e le capitozzature deriva da tre ragioni fondamentali:
1. Improvvisazione e poca professionalità di alcuni operatori del verde che spesso non hanno nessuna conoscenza e competenza nella materia e che per questo trattano gli alberi come fossero degli elementi di arredo urbano non vivi. A questo problema si aggiunge l’assenza di competenze specifiche all’interno degli enti pubblici che non riescono a controllare e suggerire il lavoro corretto.
2. Poca sensibilizzazione e informazione dell’opinione pubblica che spesso sollecita le amministrazioni a compiere operazioni costose e scorrette per ragioni del tutto irrazionali del tipo “questi alberi tolgono la visuale” “portano allergia” “tolgono la luce” “danno fastidio alle macchine”.
3. C’è un falso mito abbastanza diffuso tra operatori, opinione pubblica e amministratori che con la capitozzatura e la potatura drastica la pianta si rigeneri: nulla di più falso!
Interventi sbagliati aumentano i pericoli: questo si segnalava, sempre dalla Provincia di Padova, per il caso delle potature dei platani lungo la Strada Provinciale 89 da Vò Euganeo ad Este.
Quali sono i problemi generati della capitozzatura? Perché si crede erroneamente di rinforzare la pianta? Perché non si evitano tali interventi controproducenti e dannosi?
La capitozzatura azzera la possibilità degli alberi di procurarsi l’energia attraverso la fotosintesi – spiega l’agronomo. Inoltre le ferite di grandi dimensioni di queste operazioni costituiscono una via d’accesso preferenziale per funghi, batteri e insetti. Gli alberi entrano in una sofferenza notevole: non sono più in grado di procurarsi gli zuccheri necessari al metabolismo, devono al tempo stesso impiegare tutte le energie di riserva necessarie alla formazione delle gemme avventizie e al tempo stesso far fronte agli attacchi dei patogeni.
Insomma i nostri alberi dopo una capitozzatura sono come dei prigionieri a digiuno, obbligati ai lavori forzati e per di più torturati dai nemici! Il fatto che dopo una capitozzatura la pianta risponde con la produzione di numerosi nuovi germogli da l’impressione di rigenerazione. In realtà in questo modo l’albero perde la propria naturale forma producendo in modo disordinato tanti e fragili nuovi rami che avranno il compito di rimpiazzare quanto asportato con la capitozzatura.
La necessità di capitozzare potrebbe essere suscitata nelle persone non competenti da chiome trascurate molto fitte oppure da alberi di grandi dimensioni collocati troppo vicini a edifici o manufatti. Una manutenzione ordinaria dove la rimonda viene effettuata ogni 3 anni garantisce sicuramente chiome vigorose e gradevoli, mentre scelte sbagliate condotte nel passato che hanno posto alberi di grandi dimensioni a ridosso degli edifici è opportuno procedere alla sostituzione con arbusti o alberi più piccoli. La capitozzatura non è mai la soluzione.
Un grido d’allarme veniva invece da Torino per la decisione di ridurre del 60% le risorse destinate alla manutenzione del Verde pubblico urbano. Questo nonostante casi gravi di incedenti causati dallo schianto di rami.
Come aiutare gli alberi in città dato difendendoli, oltre che dai mutamenti climatici, anche cantieri, scavi e impermeabilizzazione? Perché tali condizioni favoriscono il deperimento e l’insorgere di malattie? Perché non viene data la giusta importanza alla cura del Verde in città? Come programmare un efficace piano di ricostituzione del patrimonio garantendo un giusto bilancio?
I danni che gli strumenti di lavoro provocano alle radici possono compromettere la vitalità e la stabilità degli alberi – sottolinea Andrea Bucci. Durante i lavori le radici possono essere tranciate e sfilacciate rendendole più suscettibili all’attacco dei patogeni. Quando le radici più spesse adibite alla stabilità vengono danneggiate si possono verificare ribaltamenti improvvisi anche a distanza di parecchi anni. Così come malattie e danni possono manifestarsi anche a distanza di alcuni anni dai lavori. Spesso gli strumenti di lavoro sono sporchi e facilitano le infezioni delle radici per mezzo delle ferite. La maggiorparte delle radici degli alberi si trovano nei primi 50 cm di terreno, quindi anche lavori superficiali possono arrecare grandi danni se fatti nelle vicinanze del colletto e anche ben oltre le proiezioni ortogonali della chioma.
Gli alberi in città sono sottoposti a numerose avversità che si discostano notevolmente dalle condizioni naturali (temperatura, radiazione solare, umidità, inquinamento, interazione con le attività umane). Condizioni rese ancora più difficili dal cambiamento climatico. Per questo per far si che gli alberi in città vivono almeno 25 anni è bene prendere alcuni accorgimenti. Ogni albero dovrebbe avere almeno 1,5-2 metri quadri di superficie libera a disposizione per consentire alle radici di effettuare gli scambi gassosi con l’aria. Perché anche le radici respirano!
Durante i lavori alcuni accorgimenti possono limitare i danni come per esempio il taglio netto delle radici con attrezzature speciali accuratamente pulite oppure privilegiando il lavoro manuale. In tutti quei contesti dove le radici degli alberi alzano le pavimentazioni è importante procedere all’aumento della superficie libera da impermeabilizzazione.
Questi accorgimenti devono essere contenuti tanto nei regolamenti comunali (del verde, ma anche edilizio) quanto essere patrimonio culturale e professionale dei funzionari che lavorano all’interno degli enti.
Scarsa attenzione anche in fase progettuale: nonostante la legge nazionale, da Nociglia (Lecce) è arrivata la segnalazione di preziosi Pini Italici minacciati dal progetto di una pista ciclabile. Questo nonostante ci sia la possibilità di un progetto alternativo con un diverso livello con adeguante aiuole in prossimità dei tronchi per evitare l’innalzamento delle mattonelle e al tempo stesso per far respirare le radici.
Quali criteri considerare in fase di progettazione? Quali accorgimenti vanno tenuti? Il progetto in questione prevedeva poi la sostituzione delle piante con 40 alberi di canfora. Ma tale pianta alloctona non è ancor più aggressiva verso strade e marciapiedi rispetto ai pini?
Nella progettazione è importante valutare sia la scelta della specie, sia le condizioni del contorno – ci ricorda l’esperto. Gli alberi scelti devono essere valutati per le dimensioni che raggiungeranno nei decenni successivi, prevenendo gli eventuali conflitti con i manufatti e le condizioni a cui sono più adatti. In questo senso mi sento di non demonizzare le specie alloctone in quanto ultimamente proprio le specie alloctone garantiscono i migliori risultati soprattutto alla luce dei cambiamenti climatici e delle condizioni avverse delle città. I viali e i parchi assolati nella stagione estiva delle nostre città sono molto più simili agli ecosistemi aridi e mediterranei rispetto ai boschi di pianura dove le specie autoctone sono abituate a crescere. Per quanto riguarda le condizioni del contorno è importante partire da un substrato fertile privo di materiali di risulta e capace di fornire sostanze nutritive e di assorbire acqua.
Nello specifico, mi sembra un progetto abbastanza discutibile. Se davvero i pini in questione sono sani e stabili potrebbero essere considerati alberi monumentali o comunque dall’enorme valore paesaggistico. Dalla foto emerge la quasi assenza di superficie libera da impermeabilizzazione. Forse più che la realizzazione di una pista ciclabile potrebbe essere utile assicurare un migliore benessere ai pini attraverso la rimozione di parte della pavimentazione attraverso cui riqualificare l’intera passeggiata. In ambito mediterraneo dove gli spazi lo consentono i pini restano una valida soluzione. Importante però garantire per ogni soggetto almeno 2 metri quadri di spazio libero da pavimentazione.
In conclusione Andrea Bucci sottolinea che: Le potature dovrebbero essere condotte solo nei mesi più freddi e asciutti così da sfavorire gli attacchi di parassiti che invece prediligono condizioni caldo-umide e approfittano delle ferite per penetrare all’interno degli alberi. Inoltre le potature più drastiche (che sono sempre da evitare) condotte a ridosso o addirittura durante la stagione vegetativa impediscono agli alberi di sviluppare in ritardo le gemme avventizie che hanno il compito di sostituire i rami tagliati.
Anche la cura degli strumenti con cui si potano gli alberi è determinante nella prevenzione dell’insorgenza di malattie. È bene che tutti gli strumenti utilizzati siano disinfettati in modo adeguati così da impedire il passaggio delle infezioni. Tuttavia gli errori più gravi che si osservano in tutta Italia sono le capitozzature e le potature radicali che non vanno mai nell’interesse della pianta e della cittadinanza che usufruisce delle proprietà benefiche del verde.
Per approfondimenti: www.andreabucci-agronomo.net
Problemi di cultura, problemi di disponibilità economica, problemi di professionalità. la mancanza di cura del patrimonio verde pubblico è il risultato di tanti fattori anche nella mia città. Cosa si può fare? Per sensibilizzare l’amministrazione e i giovani, ho cercato la collaborazione dell’ITIS locale e in particolare della classe di indirizzo ex geometri per il Censimento del Patrimonio Verde Pubblico con un progetto pilota (rilievo del Parco Pubblico di via dei Mille)ottenendo un doppio risultato: un necessario data base per il Comune a costo accessibile e lezioni alternative per gli studenti.
Offrire il caffè agli addetti al verde in modo da limitare le potature (per il prossimo anno spero di non avviarle affatto), offrendo capacità, sensibilità e competenze nella scelta delle specie arboree da piantumare, attivarsi per far rispettare il Regolamento comunale del Verde e la legge del febbraio 2013.
progetto molto interessante, e che potrebbe essere “copiato” da altri istituti in altre città…
se vuole mandarci può mandarci un articolo sul progetto alla mail redazione@salviamoilpaesaggio.it
grazie!
Improvvisazione e poca professionalità di alcuni operatori del verde sono purtroppo ormai la norma in molte realtà, soprattutto in provincia e nei piccoli centri. Le potature drastiche e scriteriate sono uno spettacolo sempre più diffuso e troppo spesso alberi ed arbusti ornamentali dei giardini pubblici, ma anche delle aree private sono sottoposti a potature alla stregua delle viti e di alcuni alberi da frutto. In questo modo essenze ornamentali di pregio, ereditate da un periodo di maggiore cultura e sensibilità verso i giardini, vengono sottoposte a pesanti potature, assolutamente inadeguate, che finiscono per causare danni irrimediabili, le piante sono quindi sbrigativamente eliminate e sostituite con specie banali ed ubiquitarie, senza alcuna remora. Anche le conifere, come i pini domestici e di Aleppo, a differenza di quanto avveniva in passato, negli ultimi tempi di frequente vengono sottoposte a potature distruttive ed irrazionali che ne alterano profondamente la fisionomia e la vitalità. Tragico è poi il caso delle palme delle Canarie, che in molti piccoli centri, anche costieri, sono abbandonate irrimediabilmente agli attacchi del punteruolo rosso, in assenza di qualsiasi trattamento fitoterapico. In questo modo le palme dei giardini pubblici muoiono a decine e vengono eliminate, ma rappresentano anche una fonte costante di infestazione per le palme ospitate nei giardini privati. La scarsa sensibilizzazione, informazione e preparazione dell’opinione pubblica rappresenta la vera causa di questo stato di cose. Si tratta purtroppo di una motivazione profonda le cui origini risiedono nella sensibilità, cultura e formazione, spesso assolutamente deficitarie, delle nuove generazioni, delle quali molti amministatori pubblici sono parte.
Per ovviare occorrerebbero certamente norme più sagge e stringenti di valore generale, ma soprattutto occorrerebbe lavorare di più sul piano della formazione scolastica, dell’educazione e dei messaggi veicolati dai mezzi di comunicazioni di massa, che negli ultimi spesso sono stati spesso vaghi se non fuorvianti. La riscoperta dell’amore per la conoscenza degli esseri viventi che ci circondano, sviluppata attraverso una corretta formazione ed educazione, costituisce infatti la “conditio sine qua non” può maturare una corretta sensibilità verso e la naturalità ed il paesaggio anche nei contesti urbani.
Un altro problema è la cosiddetta “potatura verde o vegetativa” delle siepi arbustive in ambito extraurbano durante i mesi estivi. Riguarda particolarmente grandi siepi di confine di aree produttive e di delimitazione di aree publiche e private, un tempo oggetto di periodiche e mirate potature manuali ed ora sottoposte alle “cure” del trinciasarmenti che, grazie ai lunghi bracci meccanici a cui può essere accoppiato, può raggiungere con il suo apparato triturante finanche la chioma di piante di alcuni metri di altezza. Il risultato è la pressochè totale perdita dell’apparato fogliare sui lati interessati dall’operazione con gravissimi danni all’intero apparato aereo che risulta letteralmente maciullato e sfrangiato.
Oltre all’inevitabile danno estetico e funzionale (le siepi, si sa, all’interno sono vuote e ospitano un’avifauna molto variegata) queste “malcapitate”, in tempi brevi, vanno incontro a numerose e spesso letali malattie fungine che ne compromettono la stabilità e la sopravvivenza.
Sarebbe ora di cominciare a concepire che le siepi rustiche e spontanee cresciute in ambito extraurbano NON SONO PIANTE AGRARIE A CICLO ANNUALE che possono essere trattate con gli apparati meccanici ideati per un’agricoltura di tipo industriale. Càpita frequentemente che contoterzisti si vedano assegnare, da parte delle amministrazioni pubbliche, questo genere di “cura” a carico di grandi siepi lasciate crescere a fianco di piste cislabili, sentieri natura ecc. pur non avendo alcuna competenza e preparazione professionale al riguardo. I risultati, ahimè, sono sotto gli occhi di tutti ma, evidentemente per questi “illuminati garanti della tutela del paesaggio” quello che conta è risparmiare.
Un risparmio che ha un solo nome: degrado.
FORBICI! NO TRINCIA!