La monocoltura del Prosecco fra dissesti e disastri, alla ricerca della biodiversità perduta

SBANCAMENTI COLLINARI

Estate 2014. Il territorio del prosecco docg è salito alla ribalta della cronaca nazionale attraverso la triste vicenda di Refrontolo nella quale hanno perso la vita quattro uomini. I giornali hanno riportato per un paio di settimane titoli che includevano i termini tragedia, bomba d’acqua, disastro, alluvione ed eccezion fatta per “bomba d’acqua” che ha un carattere marcatamente sensazionalistico, i titoli colgono i fatti avvenuti. Un dramma nel cuore di un estate segnata dalle precipitazioni che in lungo e in largo hanno attentato territori, economie e umori.

Le riflessioni sui fatti accaduti non sono mancate (si legga il post dedicato su www.geograficamente.wordpress.com che raccoglie  gli articoli più significativi) però spesso, come da tradizione nostrana, lasciano il tempo che trovano.

Diciamo con Daniele Ferrazza (articolo apparso sulla Tribuna di Treviso) che la discussione si è aperta coinvolgendo il prosecco perché “la pressione covava da sotto il tappo da molto tempo”. Le polemiche sono ormai di vecchia data, solo che in una dimensione prettamente locale nella quale domande sugli effetti della monocoltura del prosecco sul fragile territorio collinare se non sulla bocca di tutti, sono nella testa di molti. Sin dalle prime ore della notizia l’opinione era divisa, da un lato chi vede nell’agricoltura meccanizzata e negli sbancamenti collinari i principali colpevoli e dall’altro chi accusa la diffusione dei boschi incontrollata e lasciata all’incuria.

Ogni disastro che si rispetti, utilizzando il gergo delle scienze sociali, incorre in un processo di  blaming perché dare un significato agli eventi è il primo passo per metabolizzarli; passata la tempesta e verificate le prime ipotesi il verdetto è stato “equo”: una concatenazione di fattori che abbracciano l’eccezionalità degli eventi climatici quanto l’inadeguata cura del territorio.

Le testate hanno riportato un ping pong tra voci autorevoli, ora di accusa alla monocoltura del prosecco, ora in difesa dell’attività agricola  ed è innegabile che nelle colline docg ci sia una forte tensione legata ad una gestione territoriale non condivisa da tutta la comunità. In un contesto del genere, i viticoltori come categoria sotto accusa, singoli o chi per loro, si sono dichiarati subito “custodi del territorio”, consapevoli rappresentanti del ruolo multifunzionale prefigurato nelle politiche agricole europee.

Ci sono però agricoltori e agricoltori; ovvero ci sono contadini e imprenditori agricoli e nel mezzo un ampia sfumatura che ha come comune denominatore la viticoltura, ma l’auto-proclamazione a “custodi del territorio” rischia di confondere intenzioni e fatti, in una terra dove l’unica certezza è la crescita esponenziale della superficie vitata a prosecco (deducibile anche nei report pubblicati annualmente dal consorzio Conegliano – Valdobbiadene). I custodi del territorio ci sono sia tra gli agricoltori che nel resto della comunità: nelle colline docg e nell’area prealpina sovrastante numerose associazioni e gruppi cittadini si prodigano a mantenere sentieri e strade sgombri da frane ed esuberi di natura, ma nella pagine stampate trovano poco spazio.

“Custodi del territorio” sembra un’assunzione d’identità che odora di riscatto: la protezione, regolazione, conoscenza della natura e del valore ambientale, scongiurano i ricordi tristi della povertà dei campi e dalla fatica contadina che caratterizzavano quest’area prima del boom economico dei ’60. Non è quello del prosecco l’unico contesto dove i rappresentanti dei viticoltori evocano il loro ruolo strategico; sempre in periodo estivo e sempre sulla stampa ha avuto corso la polemica toscana riguardante l’adozione dell’integrazione del PIT (piano indirizzo territoriale) con valenza di piano paesaggistico che tra gli indirizzi prevede un limite agli impianti non tradizionali a favore di pascoli e altre colture (si veda l’interessante articolo di Claudio Greppi su Eddyburg).

In Toscana alle accuse per il presunto mancato riconoscimento del ruolo di “custodi del territorio” nel piano paesaggistico fa contorno l’evocazione del volano economico rappresentato dall’industria vitivinicola ed i limiti ad un espansione territoriale sono percepiti come limiti allo sviluppo del mercato. Il marasma che mescola imprenditoria e cura del territorio rischia anche qui di favorire alcuni a scapito di altri; chi ne ha fatto uno slogan in stile green washing a chi effettivamente lavora in un’ottica sostenibile.

Tornando alle colline docg, prima dei fatti di Refrontolo nel comune di Miane si è costituito un nuovo comitato dal nome “Basta Vigneti!”: la raccolta firme avviata per stoppare nuovi impianti ha ricevuto in una sola settimana 665 adesioni. Il comitato invita l’amministrazione locale a porre un freno all’espansione monoculturale e ad accelerare l’applicazione del documento di polizia rurale volto a regolamentare l’utilizzo dei pesticidi (che definisce le distanze);  interessante notare che le rivendicazioni cittadine non hanno a che fare solamente con l’utilizzo dei pesticidi e la protezione di ambiente e salute. Riportiamo le parole di Luciano De Biasi per il comitato “Basta Vigneti!”:

I danni provocati da questa speculazione effimera si riverseranno pesantemente sempre più su ciascuno di noi in termini di danni alla salute, saccheggio dei terreni fertili, distruzione di biodiversità, rovine del paesaggio, perdita del patrimonio culturale, della identità e della memoria storica. Siamo passati dai vigneti “eroici” dove era fondamentale l’opera dell’uomo, fatta di fatica e di antichi saperi, ai vigneti “scempi” costruiti dagli escavatori di ogni dimensione e tipo, con viti omologate allineate con il laser. Da una grande eredità pluricentenaria che ci ha lasciato in eredità un patrimonio da valorizzare stiamo riuscendo nell’opera insulsa della sua distruzione completa  (…)

 Le comunità locali riconoscono il valore della cura del territorio, di un patrimonio culturale da difendere e sanno distinguere tra gli effetti di diversi tipi di agricoltura. Continuiamo riportando dalla petizione del comitato:

… Contro l’invasione di “imprenditori” che, provenienti da fuori Comune, non rispettano il territorio e cambiano l’ identità del nostro paesaggio sull’altare della nuova speculazione basata unicamente sul momentaneo successo commerciale del vino “prosecco”. Il nostro Comune ha per simbolo una montagna, una mucca ed un castagno. Non c’è la vite che rappresentava una coltivazione marginale con lo scopo principale di produrre il vino per l’autoconsumo familiare. La mono-coltura industriale della vite non ci appartiene né vogliamo appiattirci alla mono-cultura speculativa dove il solo valore che muove ogni cosa è il “dio denaro”. Ci teniamo alla nostra identità sociale e culturale e vorremmo mantenere integro il nostro paesaggio che rappresenta un patrimonio storico e culturale da valorizzare. Desideriamo anche salvaguardare la nostra salute e la ricchezza di una biodiversità che non vogliamo compromettere ma tramandare integra alle generazioni future.

La raccolta firme volta a proteggere il territorio di Miane è rappresentativa del coinvolgimento cittadino anche nella questione paesaggistica e culturale; non si teme solamente per la propria salute, ma anche per la perdita di un identità condivisa riflessa nel paesaggio come racconto in itere della storia di chi vi abita. Biodiversità e patrimonio culturale sono un bene da difendere.

Nel caso specifico del comitato “Basta Vigneti!” si è voluto impedire un nuovo impianto in una località denominata “Fontanazze”, qui le parole ancora una volta di De Biasi:

Il nuovo vigneto verrebbe piantato in una località chiamata “Fontanazze”, toponimo che parla da sé. Ovvero un terreno in cui sgorgano fontanazzi che ad ogni precipitazione abbondante fanno fuoriuscire veri e propri torrenti d’acqua. Non solo in questa località si trova anche un pozzo di acqua potabile.

Il comitato prosegue citando il decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152 “norme in materia ambientale” che all’articolo 94 disciplina le aree di salvaguardia delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano e definisce zona di tutela assoluta le aree immediatamente circostanzi aree di captazione o derivazione da difendere anche dall’accumulo di concimi chimici, fertilizzanti e pesticidi.

Risale al 2002 il lavoro di ricerca etnografico di Maria Sanson “La vite in collina. Valdobbiadene fra tradizione e innovazione” volto a documentare sapere e tecniche tradizionali in diluzione all’interno della viticoltura industriale. L’introduzione del libro esplicita l’intenzione di descrivere la scomparsa della coltura promiscua a favore delle cantine di moderna concezione e attraverso le parole degli intervistati viene descritto lo scenario collinare: la diffusione delle coltivazioni in pianura e la loro meccanizzazione, attentano il lavoro tradizionale in collina che ha costi maggiori. A distanza di dieci anni abbiamo assistito alla scomparsa dell’agricoltura promiscua, ma non all’abbandono delle colline nelle quali però alla fatica del lavoro manuale si è ovviato con nuove tecniche di meccanizzazione ed elicotteri fumiganti.

Le comunità che rivendicano biodiversità, paesaggi, patrimoni culturali non lo fanno solo per migliorare la qualità della propria vita; la cura del territorio è anche gestione consapevole delle risorse dalle quali dipendiamo ed è un processo al quale tutti dovrebbero poter prender parte. Cura del territorio significa anche ri-conoscere i toponimi che raccontano il carattere dei luoghi. Temere una monocoltura che sottende monocultura è temere la scomparsa della diversità culturale, un progetto in divenire che accoglie le novità ma ha salde le radici.

Per informazioni sulla petizione del comitato “Basta Vigneti!” contattare: andavatorind@gmail.com 

Sol Carolina Buffoni

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RIFERIMENTI

17 luglio 2014, “Basta Vigneti: 665 firme contro il nuovo impianto a Fontanazze”, Luciano De Biasi per il comitato “Basta Vigneti!”, www.qdpnews.it

5 agosto 2014, “La strada per salvare le colline” di Daniele Ferrazza, Tribuna di Treviso, www.tribunatreviso.geolocal.it

9 agosto 2014, “Il nubifragio di Refrontolo e le concause della tragedia”di Sebastiano Malamocco, www.geograficamente.wordpress.com

6 settembre 2014, “Vigneti e piano paesaggistico. Cronaca di una cronaca” di Claudio Greppi, www.eddyburg.it

19 settembre 2014, “Il paesaggio è la risorsa delle risorse” di Giuseppe Pandolfi e Rossano Pazzagli (Società dei Territorialisti), www.eddyburg.it

Sol Carolina Buffoni, “Vino e Paesaggio. La Valsana ai tempi della glera”, Università Cà Foscari, tesi di laurea in antropologia culturale, 2011-2012

Laura Sanson, “La vite in collina. Valdobbiadene fra tradizione e innovazione”, Sommacampagna (VR), Cierre, 2002

Un commento

  1. Interessante vorrei contattare Carolina Buffoni x chiederle come vedrebbe conciliabili coltura specializzata e tutela della biodiversità in una ottica antropologica, giorgio osti osti.giorgio@gmail.com

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