Anna Marson sulle Alpi Apuane: “Col Piano abbiamo fatto tutto quello che potevamo fare”

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L’ex assessora della giunta di Enrico Rossi replica alle critiche di Franca Levorotti.

L’articolo di Franca Levorotti sulla salvaguardia delle Apuane richiede da parte mia alcune precisazioni.

Oltre a essere chiamata direttamente in causa dal testo, credo infatti di avere qualcosa da dire in merito ai contenuti del Piano paesaggistico della Toscana, approvato nella scorsa primavera dopo una concitata fase di emendamenti e controemendamenti, e oggetto di numerosi e opposti ricorsi con riferimento alla disciplina delle attività di escavazione nelle Apuane. Diverse imprese concessionarie di attività di cava hanno infatti presentato ricorsi al TAR contro i dispositivi previsti dal Piano per garantire la tutela paesaggistica delle aree interessate da attività estrattiva, mentre alcune associazioni ambientaliste prevalentemente locali hanno presentato un ricorso al Presidente della Repubblica per la supposta mancata tutela.

Nessun piano è perfetto, come noto, anche perché le garanzie previste a tutela dei diversi interessi nelle procedure di approvazione danno modo di apportare successive modifiche rispetto alle ipotesi iniziali, in questo caso le proposte approvate dalla giunta regionale. E io stessa, con grave scandalo dei più, non mi sono tirata indietro nell’esprimere le mie valutazioni in merito alle vicende che hanno interessato il Piano, intervenendo in Consiglio Regionale in sede di approvazione dello stesso (cfr., oltre a eddyburg che ringrazio per avere a suo tempo prontamente pubblicato il mio intervento, Anche A.Marson, “Il percorso di approvazione del Piano paesaggistico della Regione Toscana”, Il Ponte, LXXI n.7, luglio 2015, pp.63-73). Nello specifico, con riferimento alle Apuane, sarei stata felice se si fosse riusciti a far approvare norme di maggior tutela, ma ritengo che il Piano approvato segni comunque un avanzamento rispetto alla precedente indeterminatezza.

Anche gli scempi paesaggistici richiamati, ad esempio quello già avvenuto al picco di Falcovaia, hanno infatti avuto luogo non soltanto a tutele di legge già vigenti, ma anche a Parco regionale delle Apuane già istituito (allora come ora privo di un piano del parco, e il cui Presidente, di cui Legambiente aveva chiesto pubblicamente le dimissioni, non ha esitato ad attaccarmi pubblicamente perché intendevo tutelare le Apuane).

E’ questa la ragione per cui, quando a suo tempo Franca Leverotti mi annunciò l’intenzione di promuovere un ricorso contro il Piano, le scrissi che non condividevo, poiché rischiava di passare il messaggio politico che è meglio non provare nemmeno a “sporcarsi le mani” per regolare interessi contrapposti con un piano. Meglio accontentarsi di: un Parco (cui spetta esercitare le tutele ambientali) che non pianifica; funzionari delle Soprintendenze che non sono in grado di conoscere approfonditamente, tanto meno di fare sopralluoghi alle cave oggetto di autorizzazione paesaggistica; autorizzazioni all’escavazione concesse da singoli dirigenti comunali.

Il Piano paesaggistico, in uno spirito riformista (giacché le rivoluzioni non si fanno con i piani, meno che meno con quelli approvati dalle assemblee elette con i metodi della democrazia rappresentativa) finalizzato a conciliare tutela del paesaggio e dei lavoratori, ha introdotto a questo riguardo un combinato disposto di requisiti più avanzati: l’obbligo di approvare in Consiglio comunale appositi piani attuativi di bacino per le attività di escavazione (ammettendo soltanto, in assenza di questi, limitate possibilità di ampliamento all’interno dei perimetri già autorizzati); un quadro conoscitivo di riferimento comune a tutti gli enti che intervengono nel procedimento; l’obbligo di valutazione paesaggistica per tutte le nuove attività; la chiusura di alcune cave e il divieto di aprirne di nuove sopra ai 1200 metri, per non citare che alcuni dei dispositivi introdotti ex novo.

Gran parte degli emendamenti passati in commissione, tendenti a scardinare le regole di tutela introdotte dal Piano a questo riguardo, sono stati oggetto di una revisione condivisa fra Regione e Ministero dei beni culturali poco prima del voto finale, per mantenerne la valenza originaria.

Si poteva fare di più? Nel momento dato, con le forze presenti in campo nei diversi schieramenti politici e istituzionali, dubito assai, dal momento che l’obiettivo politico dei numerosi oppositori era quello di far saltare non solo le norme per le Apuane, ma l’intero piano. I numerosi ricorsi presentati dalle imprese di cava dimostrano come il Piano contenga comunque, nel suo insieme, norme finalizzate a garantire anche per le Apuane una maggior tutela di quella finora garantita in assenza del Piano stesso.

Quanto alla presunta “latitanza” delle associazioni ambientaliste più importanti (Italia Nostra, Legambiente, WWF e Fai), pur non potendo rispondere in vece loro mi limito a ricordare che non di latitanza si tratta, ma della mancata condivisione dell’azione di ricorso contro il Piano. Mi risulta per di più che queste stesse associazioni abbiano di recente costituito un “Coordinamento apuano”, con l’obiettivo di seguire attentamente tutte le procedure di autorizzazione in corso, anche al fine di verificare se e come le nuove norme introdotte dal Piano vengano applicate da chi di dovere. Personalmente non posso che ringraziare il coordinamento delle associazioni per questo impegno quotidiano, assai più faticoso di un ricorso al Presidente della Repubblica, che mi dà il senso di non aver lavorato e sofferto invano.

Anna Marson

Un commento

  1. w la Marson anzi super w Ha fatto un lavoro unico e straordinario e a lei deve andare la riconoscenza di chi lotta contro il peggiore degli inquinamenti: l'”inquinamento affaristico edilizio e di cava”. Non a caso non fa più l’assessore.

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