Cosa accadrebbe a una città abbandonata dai suoi abitanti dopo dieci anni ? Sarebbe un altro luogo, trasformato dalla vegetazione che, lentamente, andrebbe a colonizzare ogni spazio urbano lasciato dall’uomo …
Chi vive in città condivide la sua esistenza con innumerevoli forme di vita, eppure pare avere perduto la sua capacità di riconoscere la natura che, imbrigliata e sovrastata dal predominio apparente dell’uomo, eppure esiste.
Abbiamo abbandonato lo sguardo, la ricerca dell’osservazione: siamo diventati dei viandanti ciechi incapaci di riconoscere i segni della natura. Soprattutto di quella natura che si appropria dei nostri manufatti. Cosa accadrebbe a una città abbandonata dai suoi abitanti dopo dieci anni ? Sarebbe un altro luogo, trasformato dalla vegetazione che, lentamente, andrebbe a colonizzare ogni spazio urbano lasciato dall’uomo …
E’ questo il leit motiv di “Verde Clandestino“, libro ideato da Fabio Balocco e scritto e illustrato da lui stesso e da cinque altri co-autori: Anna Balbiano, Piero Belletti, Carlo Gubetti, Alberto Selvaggi e Davide Suppo (Neos Edizioni, 104 pagine, 13 euro).
Non si tratta di un “The day after”, dunque non un romanzo ma un saggio che racchiude un preciso monito, uno stimolo per guidare il cittadino a trasformarsi da semplice passante in osservatore “convivente”.
Il libro trae spunto da Alan Weisman e dal suo “Il mondo senza di noi”, opera che esamina cosa sarebbe del mondo se un giorno (o il giorno in cui) l’uomo non lo abiterà più e trae conforto da “Luoghi selvaggi” di Robert Macfarlane (che firma anche l’originale prefazione), in cui si scandaglia minuziosamente la wilderness (selvaggità) presente nei luoghi più appartati e dispersi della Gran Bretagna. Partendo da un esempio, citato da Laura Spinney: «se Londra domani venisse abbandonata, sappiamo che ci vorrebbero duecentocinquanta anni perchè la città torni a essere la palude che era un tempo: il Tamigi, senza argini, scorrerebbe libero tra le fondamenta degli edifici crollati, mentre i ponti cederebbero sotto il peso dell’edera cresciuta a dismisura».
Ma il verde clandestino (cioè la natura spontanea) è assoluta parte integrante delle nostre esistenze, anche in una metropoli. E il libro cerca di ricordarlo a tutti gli ignari o distratti lettori. Basterebbe un po’ di attenzione e, appunto, di capacità di osservazione per accorgersi della colonizzazione spontanea delle piante: negli interstizi tra i mattoni, nelle fessure tra le pietre del selciato, nei bordi dei marciapiedi, nelle rotaie dei tram, nei cornicioni, nei vasti spazi delle aree industriali dismesse. Questo è il verde clandestino che costantemente si rigenera, irriducibile al tentativo dell’uomo di costruire un ambiente artificiale (l’urbe) sorto con l’obiettivo di relegare la natura incontrollata (e quindi potenzialmente ostile) al di fuori delle mura.
Una natura che dobbiamo osservare. E che questo libro ci invita a fare, raccontandoci le “storie” di piante autoctone e di essenze importate che in alcuni casi hanno egemonizzato tutti gli spazi possibili, in altri dimostrano la propria capacità di resistenza e di adattamento.
Il libro è corredato da un notevole contributo di immagini fotografiche che, addirittura più delle parole, riescono a mostrare un quadro e una cornice di cui non avevamo più memoria.
Il tutto “condito” da un excursus storico e letterario che tocca il Trascendentalismo, Platone, Waldo Emerson, Thoreau, Leopold, Clèment, Pavese e Calvino, gli esempi di riqualificazione della “natura industriale” del bacino della Ruhr, la biologia delle piante. Mentre le fotografie (molte in suggestivo bianco e nero) raccontano fabbriche abbandonate, campi di football, cabine telefoniche dimenticate dall’uomo ma non dalla Natura.
La Natura. Anche nelle nostre pulsanti città. Anche nelle (diversamente pulsanti) città disabitate dagli uomini …
(Recensione di Alessandro Mortarino, da AltriTasti)