di Dante Schiavon.
C’era una volta un fiumiciattolo, il Bigonzo, lungo 12 chilometri, che nasce a Settecomuni di Preganziol, attraversa Dosson e si getta nel Sile, all’altezza di Casale. Siamo in provincia di Treviso.
Oggi lo chiamano, per me spregiativamente, lo scolo Bigonzo. La terra che attraversa è una terra ricca di “nutrienti” e “argillosa”.
Il “radicchio rosso tardivo” su questa terra era “la morte sua” (oltre a vigneti di ottimo Cabernet). Poi sono nate cave di argilla (La Tegolaia e Fornaci Dosson) e la zona industriale Nord (vicina al centro abitato di Dosson) che non precludeva una potenziale e ricca produzione agricola di “radicchio rosso tardivo” e altre colture a seminativo.
Le amministrazioni che si sono succedute (sempre dello stesso colore e quindi responsabili dello scempio) hanno “sterminato” questa ricchezza naturale, agricola, economica e paesaggistica, ricoprendo l’area con una nuova immensa zona industriale, la zona industriale Sud.
Non paghi di questo sterminio, e su pressione di una grande azienda, hanno ampliato negli ultimi anni la zona industriale Sud.
Per dare un po’ di colore allo scempio, hanno scomodato il povero Bigonzo, battezzando Bigonzo Ovest la zona industriale Sud preesistente e Bigonzo Est l’ampliamento recente.
Sono sopravvissute alcune aziende agricole (alcune ad ortaggi e due allevamenti zootecnici, senza superfici vicine per la fienagione) e qualche anziano che coltiva, a livello poco più che familiare, il “radicchio rosso”.
A Capannon di Casier si svolge anche la festa del “radicchio rosso di Dosson”, ma sarebbe più pertinente con il luogo l’organizzazione della “Sagra del Capannon”.
Non paghi della conquista del secondo posto dei comuni più cementificati nella Marca, con un 35,7% di suolo consumato (la media nazionale è il 7,4%), gli amministratori premono per completare il Terraglio Est: la classica “ciliegina di bitume” sulla “torta di cemento”.
Il primo cittadino, anziché battersi con gli altri comuni per la liberalizzazione della A27, ha pure il coraggio di citare la “Valutazione di Impatto Ambientale” per i problemi di traffico indotto da uno sviluppo vorticoso, devastante e mangiatore di terra.
Questa storia è triste e preoccupante al tempo stesso, perché mostra l’enorme “ignoranza” (nel senso di ignorare …) di tutta la classe politica, locale e nazionale, sul consumo di suolo. Le conseguenze le pagheranno quelli che verranno dopo di noi, che magari non disporranno di una terra che possa produrre i propri servizi ecosistemici (e di cui abbiamo estremo bisogno, oggi più che mai) ed erediteranno dei “capannoni dismessi” (1940 nella provincia di Treviso, dati Confartigianato- Iuav).
Su cui non si potrà piantare e far crescere nulla …
E come si arginano ora questi progetti? A che punto siamo? Cosa possiamo fare noi cittadini sani?