di Veronica Pujia.
Le famiglie e la casa. Vecchi sogni e nuove realtà è un saggio breve curato da Nomisma (Ed. Agra, 2016), in cui – a partire dall’indagine sulle famiglie italiane che la società di studi economici conduce dal 2008 e sulla base di una ricerca conoscitiva specifica sul rapporto tra redditi, capacità di risparmio delle famiglie e mercato immobiliare – vengono proposte alcune non comuni analisi sui comportamenti delle famiglie italiane in relazione alla casa. Con due domande di fondo: la proprietà della casa è ancora oggi il sogno delle famiglie e dei singoli, per cui sono disposti a investire tutti i risparmi di una vita? E per quante famiglie la proprietà della casa da sogno sta diventando chimera?
Lo studio ha un’impronta pragmatica: proporre riflessioni attuali, che possano orientare subito, mentre le cose accadono, le strategie di intervento delle istituzioni pubbliche e dei diversi operatori del mercato immobiliare in modo da dare risposte coerenti con i cambiamenti strutturali e valoriali della società italiana.
Il testo è tripartito. Il primo capitolo è una sintetica fotografia della società italiana, descritta attraverso quattro “fratture”: giovani/anziani, famiglie benestanti/famiglie “non inserite”, imprese “con un piede fuori”/imprese “domestiche”, territori attrattivi/territori “di fuga”. Una descrizione fosca e preoccupante, da cui emerge come la crescita delle diseguaglianze sociali e l’immobilismo sociale siano i problemi più urgenti della società italiana. Un Paese più povero, invecchiato, senza mobilità sociale, meno competitivo economicamente, disomogeneo, il cui modello di sviluppo è definito “un nuovo feudalesimo sociale“, cioè dove conta sempre più di più il background familiare di appartenenza.
Nel secondo capitolo vengono quindi esplorati i comportamenti delle famiglie rispetto al bene casa in relazione alle trasformazioni economiche e ai modelli di consumo: in una progressiva riduzione delle capacità economiche, e quindi di risparmio, l’acquisto dell’abitazione rientra sempre meno tra le possibilità concrete delle famiglie e, dato più significativo dell’analisi di Nomisma, “si rileva l’imprescindibile ruolo di supporto della rete familiare per colmare i bisogni sociali e finanziari delle nuove generazioni, sempre più vulnerabili a causa del ritardato ingresso nel mondo del lavoro e della crescente flessibilità occupazionale.[…] Si registra, infatti, in controtendenza rispetto agli anni precedenti, un aumento di seconde case per uso del nucleo familiare, rispetto alle scelte per investimento“. Un quadro incerto e frammentato caratterizzato da difficoltà materiali e sfiducia rispetto alle possibilità di miglioramento. L’indagine prosegue soffermandosi sull’interesse delle famiglie italiane ad accedere al credito per riqualificare i propri immobili, riscontrando come nelle valutazioni delle famiglie rispetto al valore riconosciuto alla propria casa, venga considerato prioritario il contesto, cioè posizione, collegamenti, verde, sicurezza, servizi. Dalla casa all’abitare le nuova centralità dei processi di rigenerazione urbana, riconosciuti anche come un’importante opportunità di mercato.
Chiude il capitolo un approfondimento sulla crescita della dipendenza delle famiglie dai mutui e sul progressivo aumento “dello stock di non perfoming loans“, con un aumento dell’8,4% tra il 2015 e 2016 delle famiglie che si dichiarano in difficoltà nel far fronte agli impegni assunti (e infatti cresce anche la quota di surroghe e sostituzioni rispetto ai mutui erogati). “Game over” è la conclusione del saggio: mancanza di lavoro, concentrazione della ricchezza, aumento delle diseguaglianze sociale, crescita del numero di famiglie che “non sono nelle condizioni di esprimere una domanda di investimento reale” e delle famiglie che, pur disponendo di beni patrimoniali, non riescono più a risparmiare e quindi ad investire suggeriscono come la strada del “mito del compro casa” e della “finanza per tutti” non sia più così linearmente percorribile, rimandando a una seconda pubblicazione l’esame delle pratiche alternative che potrebbero essere sviluppate dal mercato e dalle Istituzioni Pubbliche.
Secondo la ricerca di Nomisma, quindi, la crisi economica e lo stato attuale del Paese non solo hanno determinato una strutturale incapacità crescente ad acquistare casa e a risparmiare delle famiglie, ma ne stanno forse condizionando i comportamenti, sia a livello di progettualità di vita, vincolata sempre più al background d’appartenenza, che a livello valoriale e simbolico, delineando una diversa relazione rispetto al passato tra proprietà della casa, investimento e realizzazione sociale. La prospettiva di ricognizione statistica della ricerca, pur limitando l’approfondimento delle connessioni che i fenomeni descritti intrecciano con le politiche abitative, riesce comunque a far emergere alcune contraddizioni strutturali, che meriterebbero maggior attenzione nel dibattito pubblico, più propenso a ridurre il tema dell’abitare solo al binomio casa=bene di investimento. In questo senso può essere utile considerare quanto emerge dall’ultimo rapporto sul mercato immobiliare a cura dell’Osservatorio Mercato Immobiliare e Servizi in collaborazione con Abi (Associazione Banche Italiane), in cui viene delineato uno scenario della questione abitativa ben più tradizionale e ottimista, se paragonato a quanto descritto da Nomisma: l’indagine è incentrata sull’aumento delle compravendite in Italia nel 2016 (+18,9% rispetto all’anno precedente), dato che fa sperare analisti e tecnici del settore nell’inizio di un nuovo ciclo economico. Una congiuntura economica migliore collegata a un clima di fiducia, il più facile accesso al credito (tassi bassi, mutui facili), prezzi degli immobili buoni e riduzione delle performance dell’azionario, sono i fattori individuati per spiegare il trend positivo, che parte già dal 2014. In crescita risultano soprattutto essere le case acquistate tramite mutuo (il 27,3% in più rispetto al 2015), il 50% delle transazioni complessive.
A completare il quadro, nelle conclusioni del rapporto affidate ad ABI, viene prospettato l’allargamento del numero di famiglie che potrebbero accedere al mercato dei mutui ipotecari, in Italia la principale forma di indebitamento. La proiezione è ricondotta alla riduzione dei costi dei finanziamenti e per una minima parte al miglioramento del rapporto tra prezzi delle case e redditi.
Sintomatico è che in tutto il rapporto nessun dato venga fornito relativamente agli indici di insolvenza dei mutui da parte delle famiglie e alle procedure dei pignoramenti. Un’assenza che insospettisce e preoccupa visto che in un solo anno, tra il 2015 e il 2016, sono state approvate due norme relative a questo tema, evidentemente non così marginale. Con due decreti legge sono stati velocizzati i tempi di liberazione degli immobili, affidata direttamente ai Custodi Giudiziari e sono state rese più semplici e veloci le aste giudiziarie. E per rendere la vendita degli immobili all’asta ancora più vantaggiosa l’imposta di registro del 9% è stata sostituita con una tassa fissa di 200 euro per le imprese che rivendono l’immobile entro cinque anni e per i privati che acquistano l’immobile come prima casa. Misure deliberate per favorire le compravendite e il mercato, far rientrare il più possibile dei crediti le banche, ma che nella realtà lasciano per strada più velocemente e senza tutele le famiglie debitrici.
In continuo e inesorabile aumento sono infatti le famiglie per cui la casa da sogno è diventata incubo. Sono le famiglie che non riescono a pagare più le rate del mutuo, a cui la banca ha pignorato la casa, e che, in molti casi, si ritrovano per strada prima ancora che l’immobile sia venduto, ancora teoricamente proprietari; sono le famiglie a cui i condomini staccano riscaldamento e acqua anche in presenza di minori, invalidi e anziani su ordine dei Tribunali; sono le famiglie oppresse dai decreti ingiuntivi ottenuti delle banche per rientrare della quota di mutuo residua non coperta dalla vendita dell’immobile. Sono le famiglie dei senza casa, coloro che stanno subendo uno sfratto o sono già per strada; sono coloro che a fatica riescono ancora a rimanere sul mercato delle locazioni, a costo di grandissimi sacrifici e rinunciando a un vivere dignitoso.
Nel 2016 sono stati eseguiti più di 35 mila sfratti e sono stati emessi 61mila nuovi provvedimenti (il 90% per morosità dell’inquilino), sono state pignorate 13.000 abitazioni di residenza e sono state presentate 647mila richieste di assegnazione di un alloggio popolare, mentre continua a diminuire il numero di alloggi di edilizia popolare disponibili a causa dei piani vendita e a crescere quello degli alloggi sfitti e non assegnati.
Secondo i dati Istat il 72% delle famiglie italiane vive in proprietà e, tra queste, il 18% si sta facendo carico di un mutuo (con una rata media di 586 euro mensile). Contemporaneamente però risulterebbero più di 7 milioni di immobili vuoti, non occupati, il 22,7% del totale. Dagli inizi degli anni duemila risulta diminuito il numero di famiglie proprietarie del proprio alloggio di residenza, mentre risulta in constante aumento la percentuale delle famiglie che dipendono da un mutuo; sono aumentate le persone che vivono in baracche, roulotte, cantine o soluzioni provvisorie e di fortuna (+131,8% dal 2001), così come sono cresciute le coabitazioni (+194,8%); sono in progressiva crescita gli sfratti per morosità, i pignoramenti, così come continua a crescere l’incidenza dell’affitto e della rata del mutuo sui redditi delle famiglie.
Sono dati che da soli restituiscono un quadro drammatico, articolato e complesso, attraversato da dinamiche contradditorie, poco raccontato e studiato, ma che richiede un drastico e radicale cambio di rotta, perché, come rilevato anche dalla ricerca di Nomisma, se proprietà e indebitamento continueranno ad essere i miti che guidano i comportamenti delle famiglie italiane e il modo attraverso cui anche le istituzioni pubbliche ritengono debba essere soddisfatto il primario e fondamentale bisogno di casa dei cittadini, non potremo che assistere a un peggioramento esponenziale della situazione generale, come già accaduto in altri paesi, come per esempio la Spagna.
Rimane radicata e profonda nel nostro Paese l’ideologia della casa in proprietà: investimento sicuro, status symbol, rito di entrata nel mondo degli adulti per i giovani, fondamento del progetto familiare. Le posizioni dei vari schieramenti politici sulla casa hanno contribuito a determinare in questi anni vittorie o sconfitte elettorali e la cancellazione della tassa sulla prima casa è ciclicamente uno dei modi attraverso cui viene ricompattato il consenso. Da ultimo, nel 2013 la cancellazione dell’IMU, un provvedimento che a fronte di un risparmio di poche centinaia di euro annue a famiglia, ha comportato una consistente riduzione delle risorse da destinare alla spesa per le politiche sociali. Con la legge di stabilità nel 2016 l’esenzione è stata poi estesa anche agli immobili di nuova costruzione rimasti invenduti – in questo caso più pragmaticamente con l’obiettivo evidente di evitare l’abbassamento dei prezzi.
Le politiche per la casa hanno in Italia da sempre consolidato questo “mito” e, anche a seguito dello scoppio della crisi economica, i Governi che si sono succeduti hanno continuato a orientare le risorse e le politiche pubbliche a favore della rendita immobiliare e del sostegno degli istituti di credito, attraverso gli investimenti per la ripresa del ciclo delle costruzioni, promossa anche con strumenti fiscali e urbanistici, la spinta all’acquisto grazie ad agevolazioni fiscali, finanziamenti a fondo perduto come il Fondo di garanzia per l’acquisto e la ristrutturazione della prima casa, le norme relative al recupero del credito nei casi di insolvenza dei mutui e alla velocizzazione delle procedure di rilascio degli immobili, come la sospensione della proroga degli sfratti per finita locazione e la riforma dei procedimenti di pignoramento. In un contesto già di mercato libero dei canoni di locazione non è stato predisposto alcun vincolo capace di avvicinare i prezzi degli affitti alle reali capacità economiche delle famiglie, chiudendo gli occhi di fronte all’immane patrimonio immobiliare vuoto e inutilizzato presente su tutto il territorio e alla sofferenza di migliaia di famiglie. In questo modo in Italia l’affitto continua a non rappresentare un’alternativa più vantaggiosa all’acquisto, come accade in altri paesi europei, dove le percentuali di famiglie residenti in alloggi di proprietà sono considerevolmente più basse. Residuali sono ad oggi le agevolazioni fiscali per i conduttori, azzerati i finanziamenti per il Fondo Sostegno Affitto e in continua diminuzione l’offerta dell’edilizia pubblica e cioè quel segmento di intervento destinato alle classi sociali più povere escluse dal mercato, lasciate così al loro destino. Gli incentivi fiscali per i locatori (es. cedolare secca) e il tentativo di promuovere il canone concordato attraverso regimi fiscali più favorevoli per la proprietà e la revisione degli accordi locali dei canoni al rialzo non porteranno maggiori tutele, garanzie e possibilità alle famiglie che si devono rivolgere al mercato degli affitti per trovare una casa dove vivere, visto che in questo modo continuerà ad essere troppo onerosa l’incidenza dell’affitto sul reddito.
Il superamento definitivo del modello dell’intervento pubblico diretto, sancito attraverso l’introduzione del sistema dell’housing sociale e dei fondi immobiliari con il piano casa Berlusconi e portato a un maggiore compimento negli obiettivi da quello Renzi-Lupi nel 2014, anche a causa di una mancanza di visione strategica chiara, completa il quadro dell’inefficacia delle politiche abitative pubbliche, incapaci di rispondere ai bisogni abitativi delle famiglie.
Il processo di ristrutturazione del sistema in corso sembra quindi essere diretto a ridurre le politiche pubbliche per il diritto alla casa a interventi volti a favorire l’accesso al credito delle famiglie, contribuendo alla diffusione dell’indebitamento, sempre più condizione irriducibile e quindi “normale” per la soddisfazione anche dei bisogni primari (casa, salute, istruzione), secondo una logica di finanziarizzazione del welfare. E a riconoscere il mercato come l’unico ambito di soddisfazione del bisogno di casa, lasciando al pubblico il solo compito di facilitatore dell’investimento privato.
Da diritto e bene comune la casa è diventa merce, soggetta alle fluttuazioni e alle regole del mercato. E a subire gli effetti di tale impostazione sono le famiglie più povere e vulnerabili che, in numero sempre maggiore, rimangono escluse, prive di ogni forma di tutela, ai margini della società italiana.
Veronica Pujia è laureata in filosofia sul pensiero di Antonio Gramsci. Lavora per il Sindacato Inquilini Casa e Territorio (SICeT) di Milano nei quartieri Giambellino-Lorenteggio e Stadera. Ha partecipato per diversi anni all’esperienza del Comitato Inquilini Molise-Calvairate-Ponti dove ha compreso che l’ingiustizia è il problema più grande della nostra società e si è impegnata a combatterla.