Cause vinte: Protest and survive

di Giorgio Nebbia.

La contestazione ecologica, la protesta in difesa dei diritti fondamentali, quelli di essere circondati dalla natura incontaminata, da acque pulite, di respirare aria senza veleni, di acquistare cibi sani e sicuri …

La contestazione ecologica, la protesta in difesa dei diritti fondamentali, quelli di essere circondati dalla natura incontaminata, da acque pulite, di respirare aria senza veleni, di acquistare cibi sani e sicuri, vede contrapposti vari soggetti che chiamerei, schematizzando come segue.

Ci sono gli inquinatori (soggetti che privano altre persone di tali diritti nel nome, come dice Papa Francesco, del “dio denaro”, della “logica del profitto”); gli inquinati, coloro che sono privati dei loro diritti; lo “stato”, nelle sue forme di amministratori e autorità locali o nazionali, che dovrebbe, se gli stesse a cuore il “bonum publicum”, difendere gli inquinati ma che spesso strizza un occhio agli inquinatori; e infine chi protesta per difendere i diritti, propri o quelli di altri, alcuni dei quali non sanno neanche di esserne privati — e spesso riesce nel suo intento.

Negli anni settanta i fabbricanti di preparati per lavare (gli inquinatori) hanno scoperto che, addizionando ai loro prodotti dei fosfati, il lavaggio riusciva meglio e loro riuscivano a vendere più prodotti e a guadagnare di più. I fosfati finivano con le acque di lavaggio nelle fogne e poi nel mare; dopo alcuni anni la concentrazione nell’Alto Adriatico dei fosfati provenienti dalle fogne delle città della Valle Padana era così elevata da nutrire e far moltiplicare le alghe che privavano di ossigeno l’acqua marina e facevano morire i pesci. I turisti venivano così privati del diritto di fare il bagno in acque trasparenti e abbandonavano la Romagna, i pescatori venivano privati del diritto di trarre un salario dalla pesca perché non c’erano più pesci. Lo stato è rimasto silenzioso e distratto fino a che non sono intervenuti coloro che hanno protestato, persone che non erano né turisti né pescatori e che parlavano “nel nome del mare” e del diritto di tutti ad averlo pulito.

Come spesso capita, alcuni volonterosi “scienziati” cercavano di dimostrare che il fosforo non “faceva male” al mare, ma alla fine la difesa dei diritti è prevalsa. I contestatori ottennero, nelle piazze e in Parlamento, delle leggi che imponevano ai fabbricanti di aggiungere meno fosfati ai loro preparati per lavare: le fabbriche hanno cambiato la composizione dei loro prodotti, le massaie hanno potuto lavare ugualmente bene, l’invasione di alghe nel mare è scomparsa, i pesci sono tornati e i pescatori hanno ripreso a pescare.

Questa è una delle battaglie, vinte, ricordate in un recente libro di Michele Boato, Quelli delle cause vinte, Mestre, Libri di Gaia, 2017. Un’altra delle battaglie aveva lo scopo di fermare la diffusione della plastica inquinante in una delle sue forme più invadenti, quella dei molti miliardi di sacchetti per la spesa che ogni anno finiscono nell’ambiente in Italia. Comodissimi per trasportare la spesa dal negozio alla casa, dopo meno di un’ora di vita vengono buttati via e sono fonti di fumi inquinanti se bruciati negli inceneritori, restano indistruttibili se finiscono nei fiumi, sul terreno o nel mare. Già trenta anni fa è nato un movimento di protesta di ambientalisti e di cittadini che hanno chiesto la loro eliminazione o almeno delle azioni per scoraggiarne e diminuirne l’uso. Vincendo la dura opposizione dei venditori di plastica e di sacchetti, finalmente la protesta ha ottenuto dal Parlamento una legge che imponeva una imposta che ne faceva aumentare il prezzo nei negozi; così i consumatori sarebbero stati indotti ad usarne di meno o a riutilizzare quelli già acquistati o ad usare sacchetti duraturi.

La legge prevedeva che fossero esentati dall’imposta gli shoppers “biodegradabili”, un termine già allora tutt’altro che chiaro. Subito alcuni furbastri fabbricanti inquinatori riuscirono a far certificare, da compiacenti laboratori, come biodegradabili sacchetti che non lo erano affatto. Finalmente la protesta è almeno riuscita ad ottenere che gli shoppers in commercio siano più leggeri e “contengano” meno plastica, almeno un po’ decomponibile col tempo, pur auspicando ancora la diminuzione del loro uso e l’uso di sacchetti di tela a vita lunga o almeno che i sacchetti usati siano impiegati per la raccolta dei rifiuti.

Ma non sempre coloro che, nel nome del profitto e dei propri affari, impediscono ad altri soggetti di godere dei loro diritti, sono veri e propri inquinatori. Talvolta sono privati, come quelli che si propongono, per soldi, di permettere ai turisti di raggiungere le vette delle montagne o di sciare, cose di per se lodevoli, con mezzi e strutture che comportano il taglio dei boschi, la modificazione dei versanti, l’alterazione di delicati ecosistemi. O quelli che costruiscono strutture turistiche lungo le coste, beni collettivi per eccellenza, o alterando delicate zone naturalistiche con il compiacente silenzio delle autorità locali.

Il libro di Boato racconta, anche con testimonianze dirette, le molte imprese dannose o abusive che sono state fermate grazie alla mobilitazione di associazioni ambientaliste e naturalistiche e della parte responsabile della popolazione locale. Talvolta, infine, sono le stesse amministrazioni pubbliche che, facendo credere di risolvere problemi di pubblica utilità – smaltimento dei rifiuti, approvvigionamento di energia – lo fanno con soluzioni sbagliate e inquinanti, quelle più profittevoli per potenti interessi finanziari privati. Così sono proprio alcuni amministratori pubblici che sostengono la necessità di smaltire, nei loro territori, i rifiuti mediante inceneritori, studiati per far guadagnare i gestori degli inceneritori stessi, operazioni ecologicamente e economicamente dannose perché comportano la distruzione di materiali che potrebbero essere riciclati, anzi con la creazione di nuovi posti di lavoro.

La protesta ha messo in evidenza che gli inceneritori producono fumi e ceneri nocivi per le persone, l’agricoltura e l’ambiente naturale ed è riuscita a fermare alcune sconsiderate imprese. Gli inquinatori speculano anche con le fonti di energia rinnovabili, di per se auspicabili se ottenute nel rispetto dell’ambiente. Invece si è assistito alla diffusione di centrali eoliche o solari che deturpano il paesaggio, collocate dove astuti proprietari hanno affittato i loro terreni per godere degli incentivi statali; alla fabbricazione di biocarburanti ottenuti consumando prodotti agricoli sottratti all’alimentazione umana e con processi inquinanti.

Un capitolo del libro è dedicato alle lotte contro quegli “inquinatori” che, alterando e manipolando gli alimenti con le frodi, compromettono il diritto dei cittadini al cibo sicuro e nutriente. Un tema al quale Michele Boato aveva già dedicato un prezioso libro: Dalla parte dei consumatori. Anche qui abili frodatori sono riusciti, nel corso di oltre mezzo secolo, a sfuggire alle leggi italiane ed europee che stabiliscono norme perché gli alimenti siano sicuri e genuini. Il controllo della sicurezza è affidato a laboratori di analisi che sono costretti a elaborare sempre nuovi metodi di analisi per svelare frodi sempre più raffinate che approfittano dei commerci, resi possibili dalla globalizzazione, per importare prodotti agricoli o alimenti poco genuini.

Ma c’è un altro diritto umano fondamentale che è sempre in pericolo, compromesso adesso in maniera sempre più grave dalla diffusione degli strumenti resi possibili dalla scoperta della fissione del nucleo atomico: il diritto alla pace e ad un futuro meno radioattivo. Anche la protesta contro le armi nucleari e le centrali nucleari ha visto impegnati i protagonisti del libro di Boato, che sono riusciti a far cancellare gli assurdi programmi nucleari governativi degli anni settanta e ottanta, e a ostacolare l’invadenza di armi nucleari americane nel nostro territorio. Bombe e strutture militari nucleari americane che sventuratamente fanno dell’Italia, insieme a Germania, Belgio, Olanda, Turchia, un paese semi-nucleare al fianco dei nove paesi dotati di bombe nucleari.

Purtroppo per questa fedeltà alla NATO il governo italiano si è rifiutato di aderire al recente Trattato per il Bando totale delle Armi Nucleari, firmato di recente da molti paesi membri delle Nazioni Unite e addirittura già ratificato per prima dalla Santa Sede. Una iniziativa per cui i promotori hanno ricevuto quest’anno il premio Nobel per la Pace.

Il libro Quelli delle cause vinte offre una ventata di speranza nel futuro, necessaria in un paese spesso pigro e disincantato nel rivendicare i propri diritti. Con impegno e fatica è possibile correggere molte storture della nostra società, ma per vincere non servono le chiacchiere o i salotti televisivi. Occorre, lo ricorda l’autore, l’umiltà di andare in mezzo alla gente, ascoltare le persone, aprirgli gli occhi, spiegargli in quale modo sono violati i loro diritti, aiutarle a riconoscere “chi è il nemico”. Il libro invita a mettere in pratica, con coraggio, il messaggio lanciato anni fa da Edward Thompson: “Protest and survive”, ”Protestate se volete sopravvivere”.

E alla fine (spesso) si vince.

 

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