di Mario Cavargna, Presidente di Pro Natura Piemonte.
Chi ha seguito le vicende delle candidature olimpiche degli ultimi 20 anni ricorda certamente che la designazione di Torino per il 2006 fu considerata “ingiustamente sottratta”. Ed è proprio da qui che bisogna partire per verificare la fattibilità della candidatura di oggi, perché bisogna evitare che la proposta si risolva in quello che è: una bolla di sapone con probabilità zero, che illude la gente, monopolizza l’attività amministrativa e sperpera inutilmente 20 milioni di euro solo per le spese di candidatura (che furono 17 miliardi di lire nel 1998-1999). E magari serva a far realizzare qualche grossa speculazione immobiliare che aveva bisogno di una spinta.
Tutto è cominciato con la scelta di Salt Lake City per i giochi del 2002. Qualche anno dopo si scoprì che sette delegati del comitato esecutivo olimpico erano stati comprati dagli americani. Il presidente storico del Comitato Internazionale Olimpico, Samaranch, fu sul punto di essere travolto dall’inchiesta ma in suo soccorso arrivò Gianni Agnelli, tirandosi dietro l’amico Henry Kissinger, che si assunsero il ruolo di garanti.
Samaranch pagò il debito di riconoscenza e si vendicò del delegato svizzero che aveva denunciato lo scandalo, facendo votare la candidatura del 2006 dall’assemblea dei delegati di tutti i comitati olimpici e non solo da quelli del Comitato ristretto, che erano anche quelli in cui si praticavano gli sport invernali ed inducendo i delegati del terzo mondo a votare Torino.
Fin qui nulla di decisivo: il fatto è che, sia per il 2002 che per il 2006, l’alternativa superfavorita era Sion, una sconosciuta cittadina svizzera che però è vicina a Losanna sede del Comitato Olimpico e quindi amatissima da tutti i funzionari del CIO e dai delegati più assidui. In sostanza a Sion, località fortemente sponsorizzata dal CIO, le Olimpiadi invernali furono una volta comprate ed una volta sottratte.
Per il 2026, sin da settembre, Sion si è candidata per la terza volta: e pensare che il CIO lasci bocciare una città a cui i giochi furono prima comprati e poi ingiustamente sottratti è fantascienza, perché ne andrebbe della sua credibilità.
Un altro punto critico per Torino è una delle domande fondamentali a cui deve rispondere la città che presenta il dossier di candidatura: l’assenza di conflitti di ogni tipo. Nel 1998 si riuscì a superare lo scoglio perchè alla presidenza della Provincia c’era Mercedes Bresso che, facendosi forza della sua carica e del suo passato di ambientalista, in pratica garantì che i problemi del TAV in Val di Susa sarebbero stati risolti. Ma dal 2005 in poi il conflitto si è allargato e si è aggravato ed oggi sarebbe impossibile nascondere il passato e le nubi che gravano sul futuro per quando, nel 2026, i cantieri ci saranno e saranno giusto a metà dei problemi loro e di quelli degli altri. In più, ora, all’ingresso delle valli olimpiche ci sarebbe l’enorme cantiere del tunnel di base a Salbertrand, con tutto quel che comporta.
Per quanto riguarda la possibilità di fare i Giochi quasi a costo zero, ad impatto quasi nullo, riutilizzando gli impianti esistenti non c’è bisogno di scomodarsi, basta fotocopiare le dichiarazioni che hanno preceduto la candidatura del 2006: anche allora si prometteva di riutilizzare quanto era stato fatto per i campionati del mondo del 1997.
Ma poi ogni giorno arrivava un progetto nuovo, obbligatorio o no: alla fine la spesa maggiore delle Olimpiadi non furono i 6 (!) villaggi olimpici, ma il raddoppio dell’autostrada del Frejus in Alta Valle di Susa per far circolare sempre più TIR.
Oggi però il problema non è il progetto, ma l’illusione come strumento, senza una analisi di quanto è già successo; noi vorremmo una amministrazione di Torino che dicesse: “Rinunciamo ad incantarvi con la promessa di qualche giorno di euforia: vogliamo darvi tanti anni di buona sanità, di amministrazione senza sacrifici ed una urbanistica torinese non condizionata dalle necessità di far cassa. E non vogliamo che il Consiglio Comunale si debba continuamente occupare di Olimpiadi prima, e poi ancora 20 o 40 anni dopo per gestirne le conseguenze, come ha segnalato la Corte dei Conti qualche giorno fa, a proposito degli ultimi 100 milioni nati dai mutui contratti dalla città dal 2001 al 2005, che scadranno entro il 2025, ricordando che quei soldi bisogna ancora trovarli”.
sappiamo, confermato anche dai numeri del governo,che il TAV non serve … il governo, pur di non dire ho sbagliato (e con esso tutti i partiti che l’hanno sostenuto), continua per la sua strada. Se oggi si parla di nuove Olimpiadi a Torino di parla di Valsusa … e se fosse un modo per porre fine al TAV? Fabio Nobili (Rimini)