di Ilaria Agostini.
Nella Firenze intramuros decenni di politiche mercantilistiche e di vuoto pianificatorio hanno cambiato la natura antropologica della residenza. Vediamo da vicino, dati alla mano, la residenza mutante e i suoi influssi nefasti sulla questione dell’abitare e del diritto alla casa.
Tra 2001 e 2011 i residenti entro le mura sono aumentati dell’11%. Dei 38.703 residenti entro la cerchia dei viali, censiti nel 2011, molti sono giovani e single (è mononucleare il 56,8% delle famiglie), risiedono in case piccole, il loro tasso di disoccupazione è del 6,5% (fonte: Ancsa-Cresme[1]).
Il calo degli iscritti nelle liste elettorali sta però a dimostrare che, dagli anni ’90, i residenti di cittadinanza italiana sono stati progressivamente sostituiti da cittadini stranieri, non solo a basso reddito, che pur ci sono: nel 2017, gli stranieri costituiscono il 22,3% della popolazione del centro storico[2].
Residenti esteri e city users – “fruitori” o “utenti” – non sempre investono nell’abitare di lungo periodo in città: dotati di mezzi economici, essi determinano mutamenti nell’assetto urbano; tuttavia, privi del diritto di voto, hanno scarsa incidenza politica. È la popolazione ideale per governare senza problemi.
A Firenze, città storicamente afflitta da sottoccupazione[3], la spinta economica proviene dalla “fabbrica del turismo”, monocoltura che estrae profitto da un patrimonio culturale che non è in grado di riprodurre. E che anzi consuma: sono oltre 10 milioni le presenze turistiche in città nel 2017.
Dieci milioni di presenze hanno peso notevole nel mercato immobiliare. L’affitto turistico in civile abitazione è salito vertiginosamente: 1.800.000 le presenze in B&B nell’anno passato; si stima una crescita media annua dell’8,5% dal 2000[4].
Nel ciclo di incontri “La fabbrica del turismo”, Stefano Picascia (Ladest-Università di Siena) ha fornito dati significativi: a febbraio 2016 gli “appartamenti interi” offerti su Airbnb raggiungono il 17,9% del totale delle unità immobiliari del centro città, 4.192 unità sulle 23.434 censite nel 2011. È una percentuale molto – troppo – alta, che fa dubitare dell’effettiva residenzialità registrata dai dati censuari. Il centro di Firenze è infatti, tra i 109 capoluoghi italiani, quello con il minor numero di case “vuote o abitate da non residenti”: il 7,5% del totale (Ancsa-Cresme), molte case in meno del 17,9% posto su Airbnb. Questa incongruenza non preoccupa il Comune che, a corto di liquidità, preferisce introdurre come misura antievasione una tassa di tre euro a notte sulla prenotazione: Airbnb accetta di gestire la riscossione delle imposte, e versarle ogni 15 del mese successivo nelle casse del Comune. 6-7 milioni l’anno, un affare nell’affare.
Da una recente indagine di Tecnocasa[5] sappiamo che a Firenze il 93,8% degli acquisti immobiliari entro le mura ha finalità di investimento: il mercato è orientato nettamente sulle case-vacanza ossia su case sottratte agli abitanti. L’alloggio “mordi e fuggi” divora il diritto alla casa.
L’affitto a breve termine è infatti molto più sicuro dei contratti quadriennali, esposti al rischio di morosità. Persino gli studenti – tradizionale cespite della rendita cittadina – hanno difficoltà a trovar casa in centro.
Sopravvivono nella città storica residuali rioni in cui ancora trovano alloggio le classi a basso reddito, il bracciantato del turismo: il sovraffollamento di via Palazzuolo o via Panicale – marginalizzate e in preda all’incuria – è sicuro prodromo alla nuova riqualificazione speculativa. La depressione che precede l’onda.
La città intramuros cambia velocemente volto, lo abbiamo denunciato molte volte da queste pagine. Se le classi subalterne sono espulse dai quartieri centrali, è l’intera cittadinanza ad essere spossessata dei luoghi rappresentativi. In tempi di austerità, la pratica mercatoria sullo spazio pubblico è il mezzo per appianare i bilanci: piazze, ponti e musei sono ridotti a fondali per eventi pseudo-culturali, o commerciali tout court. Piazza del Duomo e della Signoria sono, oggi, recinti per turisti.
Inoltre, annose politiche di decentramento hanno dislocato funzioni vitali, al di fuori di un progetto organico. I “contenitori storici dismessi” sono passati direttamente nei Piani delle Alienazioni: prelibati bocconi per investitori che trasformano caserme in hotel di lusso o il Teatro Comunale in appartamenti «stile Fifth Avenue».
In nome della “rigenerazione”, infine, i piani urbanistici hanno reso buon servigio all’incalzante mutazione. E sono essi stessi trasmutati in strumenti di degenerazione urbana. Il 16 aprile scorso, il Consiglio Comunale ha adottato una scellerata Variante al Regolamento urbanistico. La Variante, che inserisce la “ristrutturazione edilizia” come categoria di intervento sugli edifici storici, legittimando speculazioni bloccate dal sistema giudiziario, rappresenta l’estrema torsione amministrativa. Un regalo ai parassiti della rendita, e, insieme, un atto di selezione sociale.
Note al testo
[1] Ancsa-Cresme, Centri storici e futuro del paese, 2018.
[2] Fonte: Servizio Statistica del Comune di Firenze.
[3] Cfr. Federico Paolini, Firenze 1946-2005. Una storia urbana e ambientale, Franco Angeli, Milano, 2014.
[4] Fonte: Centro Studi Turistici Firenze.
[5] Tecnocasa Group News, Investire nel mattone? Sì ma dove?
Ilaria Agostini, urbanista, insegna all’Università di Bologna. Fa parte del Gruppo urbanistica perUnaltracittà. Ha curato il libro collettivo Urbanistica resistente nella Firenze neoliberista: perUnaltracittà 2004-2014.
Tratto da: http://www.perunaltracitta.org/2018/04/17/firenze-il-turismo-consuma-il-diritto-alla-casa/