di Manlio Lilli.
“E’ un museo a cielo aperto, molti siti sono gratuiti. Il nostro sogno sarebbe che lo fossero tutti, perché tra gli obiettivi dell’istituto che dirigo ci sono la tutela e la valorizzazione. E recuperare monumenti al nostro patrimonio è l’espressione massima della valorizzazione”.
Sembra un pensiero di Antonio Cederna, l’ “appiomane”. Insomma il giornalista, ambientalista, politico e intellettuale italiano che ha dedicato tutto il suo impegno alla salvezza e rivatilazzazione dell’Appia antica. Molto più che una semplice strada romana. La strada per eccellenza dell’antichità.
Invece a parlare in una intervista al Corriere della Sera è Rita Paris, direttrice del Parco Archeologico dell’Appia antica, da febbraio 2017. Uno dei parchi autonomi istituiti dal ministro Franceschini a gennaio 2016. Un parco quasi senza mezzi però per l’ispettrice che si occupa di monumenti ed aree archeologiche dell’Appia antica, dal 1996. Un parco con risorse più che esigue, considerato lo stanziamento di 1.330mila euro previsto per quest’anno dal Mibac. Soldi che dovrebbero assicurare soluzioni ad una serie di criticità infinite. Soldi però che a ben vedere non contemplano voci tutt’altro che trascurabili, come la manutenzione, per un comprensorio così “sensibile” e ancora bisognoso di interventi. C’è da provvedere alla Villa dei Quintili, dove gli archeologi guidati da Rita Paris hanno ormai interrotto le indagini di scavo, perché i fondi sono terminati. Ci sarebbe da provvedere ai tanti monumenti disseminati ai lati della via da Via di Porta San Sebastiano in poi, almeno nel tratto da via di Fioranello fino ai Castelli Romani. Già, perché qui la strada non solo è abbandonata, ma è quasi in ostaggio di prostitute e clienti. Il basolato, sconnesso. Le strutture sui lati, rese informi dall’incuria prolungata. Un pezzo di storia lasciata alla mercè del degrado umano. Una fotografia che regala desolazione piuttosto che ammirata contemplazione.
Mancanza di risorse, quindi. Una autovettura di lusso che rimane ferma perché non c’è il carburante per consentirle di muoversi.
Ma anche assenza di una sede. Di spazi nei quali il personale addetto possa lavorare. Finora la struttura si divide tra Palazzo Massimo, sede del Museo Nazionale Romano, l’edificio attiguo all’antiquarium, all’ingresso della Villa dei Quintili e il complesso di Santa Maria Nova.
Obiettivamente, non molto, a distanza di più di due anni e mezzo dalla sua istituzione.
Forse anche per questo la strada continua ad attirare l’interesse. A suggerire progetti. Come quello denominato “Appia Regina viarum”, ideato e gestito dal Mibact dopo che Paolo Rumiz aveva percorso per intero la via e poi pubblicato un libro su quel viaggio. Progetto che ha tra le sue finalità la conoscenza del cammino, ma non il recupero di tratti della strada e le testimonianze antiche.
La verità è che l’Appia continua ad essere solo “un attrattore culturale”. Un luogo strumentale “ad un’azione di rafforzamento dell’offerta culturale del nostro Paese e di potenziamento della fruizione turistica”. Una lunga striscia distesa tra Roma e Brindisi, sulla quale far confluire il nuovo turismo. Operazione corretta, se non fosse per una idea di fondo, distorta, pensare che il consumo dell’Appia non debba contemplare contestualmente la sua manutenzione. Insomma la sua prioritaria e ineludibile tutela. Altrimenti il futuro dell’Appia potrebbe non essere roseo.
“Prendemmo la via Appia e c’inoltrammo per miglia e miglia tra dirupati sepolcri e mura infrante”, scriveva Charles Dickens nel 1846. Possibile che anche per la strada romana per antonomasia non sia possibile scegliere se non fra i due estremi? Il sito in rovina oppure l’area archeologica lineare trasformata in un parco delle meraviglie?
Che Cederna protegga ancora l’Appia e Paris non si stanchi di combattere per la sua tutela.