A cura di Roberta Vigna, Presidente Associazione “Vivere in Valdisieve”.
Con la presente vorremmo sollevare di nuovo il problema della ex Manifattura Ceramiche Brunelleschi (Appello/2017).
A distanza di più di un decennio dalla chiusura della Fabbrica è legittimo porsi l’interrogativo se, la mancata assunzione di responsabilità di chi doveva salvaguardare l’immobile e le sue attrezzature di archeologia industriale, abbia avuto come risultato il totale abbandono di tutta l’area alle incurie del tempo.
Forse la curatela e le amministrazioni competenti (esclusa la Soprintendenza che, nell’ambito delle proprie competenze, ha sempre cercato di salvaguardare il bene), al tempo del fallimento, obnubilati dal defunto boom edilizio, hanno scordato che nel Piano Strutturale del Comune di Pontassieve gli Opifici antichi (il nostro è datato intorno al 1700) siano oggetto esclusivamente di restauro conservativo.
Con la stessa dimenticanza, a suo tempo, sono stati demoliti due importanti testimonianze di Archeologia Industriale: gli Opifici delle Vetrerie del Vivo e la Fornace dei Veroni, con la sua splendida Ciminiera.
La Manifattura ex Brunelleschi è rimasta prigioniera di un complesso sistema di curatele (esisteva un curatore per il Marchio di Ceramiche di Pregio che sembra sia stato svenduto, a pochissimo prezzo, ad una grande ditta di Modena, esiste tutt’ora un curatore per l’immobile e l’area di proprietà) e di una serie di aste fallimentari andate tutte deserte (ad ognuna di queste il prezzo viene ribassato). In questa intricata situazione sembra che qualcuno abbia avuto l’idea originale di assegnare ad una Ditta la raccolta di tutto il ferro esistente nella fabbrica. Così, insieme ad infissi, anche attrezzature, utensili e resti di forni antichi, esempi di archeologia industriale, potrebbero essere stati venduti come ferrovecchio.
La Famiglia degli Albizzi, in particolare Vittorio, contribuì a rendere l’area intorno alla Brunelleschi e alle Gualchiere densamente operosa e collettivamente unita, i due immobili, destinati alla produzione, furono curati in maniera pregevole. L’Arno non era un confine che separava tre Comuni ma un motivo di unione nel lavoro e nelle relazioni.
La Brunelleschi aveva un rapporto diretto con il Fiume, come risulta da una intervista fatta ad un vecchio operaio:
“Le mie informazioni si basano su un vecchio documento e sui racconti dei vecchi operai. Esisteva un collegamento diretto della fabbrica con il fiume, attraverso una galleria che sfociava nel piazzale. Il cosiddetto PORTO ha avuto negli anni funzioni diverse: era sicuramente un punto di arrivo per i Renaioli che trasportavano, secondo le esigenze produttive o la rena oppure la Mota (fango del fiume). I barchetti entravano direttamente in fabbrica. Doveva funzionare anche come punto di ingresso delle piene del fiume, per la successiva sedimentazione del fango. Quell’area enorme non è altro che una gigantesca vasca di raccolta che, adesso si è innalzata di più di tre metri.
Successivamente sono state introdotte delle pompe che rendevano meno casuale l’approvvigionamento della materia prima. I pistoni in cemento e ferro delle pompe sono ancora appoggiati in un angolo del vecchio capannone. Quando sono stato assunto in Brunelleschi la parte finale del “porto” era già stata interrata per far posto ad uno dei capannoni più moderni. Ne rimangono gli ultimi dieci metri, quelli più vicini alla statale. Un arco si apre sotto la statale e la attraversa per una decina di metri, sfociando in Arno. Adesso dovrebbe essere completamente interrato. Come tutto quello che riguarda lo stabilimento Brunelleschi, la sua costruzione è una meraviglia. Non tanto per l’opera ingegneristica, ma per l’uso sapiente dei materiali da costruzione. I muri sono una miscela di pietra e mattoni, che però lascia poco al caso, ma presenta la ricerca dell’ortogonalità e del piano. Le pietre, come quelle delle facciate degli immobili originali, sono sbozzate e squadrate a mano. I mattoni prodotti in loco. È interessante vedere come altre parti, sempre in pietra ma di epoca più recente, siano già molto diverse. Negli originali non c’è mai una “madonna”, che non è altro che una pietra posta in verticale, anziché poggiata sulla parte di maggior superfice, in orizzontale quindi. Un occhio attento lo nota subito riuscendo ad apprezzare il lavoro svolto per la durata nel tempo e non per la rapidità dello sviluppo del lavoro.
È proprio per questa caratteristica che i muri sono ancora in piedi e vedranno, prima di crollare, l’estinguersi di coloro che hanno dato il loro contributo a questo stato di cose.”
L’epoca attuale è ben diversa: la valle dell’Arno è circondata da Comuni che, nelle difficoltà di un economia propria ha puntato tutto negli oneri di urbanizzazione, producendo una crescita insediativa disordinata in cui famiglie di pendolari, che considerano la casa quasi come un dormitorio, si disinteressano alla vita sociale del proprio Comune.
Avevamo, a suo tempo, fatto la proposta di una scannerizzazione digitale, in 3D, che sarebbe servita a ricostruire al computer tutta la fabbrica nei più minimi particolari, e aprire un portale accessibile interattivo in grado di arricchirsi di informazioni ed essere attrattivo anche per il turismo di archeologia industriale. La risposta è stata negativa.
Per questo chiediamo
– Di non cancellare le poche opere rimaste di archeologia industriale, ma riscoprirne la loro memoria storica rendendole fruibili alla collettività, inserendole in un percorso storico-culturale-formativo che si aggiunga ai punti di interesse del centro storico, del Castello e delle Mura;
– che nelle trattative con eventuali compratori venga richiesto, almeno per quanto riguarda la parte più antica della fabbrica, di creare un area museale aperta al pubblico e di realizzare un corridoio ciclopedonale in sicurezza per poter ammirare l’aspetto architettonico degli immobili nel loro complesso che rimanga come itinerario culturale, di svago e di sport per tutti i cittadini e turisti;
– di fare il possibile per ristabilire un contatto con il fiume, riaprendo l’antica galleria in mattoni, prodotti in loco, che collega la fabbrica al fiume stesso;
– che si giunga al più presto ad ottenere i fondi per una bonifica come risulta dal Progetto di Bonifica già presentato a suo tempo alla ASL dopo che furono rilevati molteplici aspetti critici di natura ambientale (rifiuti, rifiuti potenzialmente pericolosi, eternit, ecc.).
Crediamo che rendere di uso collettivo, almeno una piccola parte della Fabbrica, sia un passo importante che faccia crescere la consapevolezza di una matrice in comune e un senso di appartenenza che apre all’idea di inclusione.