L’Istruttoria Pubblica sui Prati di Caprara e la politica urbanistica di Bologna.
di Paola Bonora.
I Prati di Caprara sono una grande area (45,7 ha) a ovest del centro storico di Bologna a poca distanza dalle mura, interclusa tra le espansioni urbane novecentesche, l’Ospedale Maggiore e i fasci di binari che portano alla stazione centrale e all’ex scalo ferroviario Ravone.
Dismessa da decenni dopo aver conosciuto utilizzi diversi e come ultimo quello militare, si presenta rinaturalizzata in un rigoglioso bosco spontaneo scrigno di biodiversità, che può costituire un prezioso polmone ecosistemico per l’intera città, ma che l’Amministrazione comunale, dopo molte promesse di trasformazione in parco pubblico, ha inserito in un piano di valorizzazione immobiliare.
Nell’immagine sottostante (tratta dal Poc – esecutivo dal 6/4/2016 con validità quinquennale) si notano in blu il posizionamento centrale e l’ampiezza dell’insieme di aree che costituiscono i Prati di Caprara e l’ex scalo Ravone. Una porzione importante di territorio a ridosso delle mura, in cui il Comune vuole edificare un nuovo quartiere (1.100 abitazioni ai Prati e circa 800 al Ravone).
L’area dei Prati di Caprara è attualmente di proprietà di INVIMIT, Investimenti Immobiliari Italiani Sgr S.p.A., società a capitale pubblico emanazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze con “ruolo di cerniera tra i soggetti pubblici proprietari di ingenti patrimoni immobiliari e il mercato” (da http://www.invimit.it). L’area Ravone è di proprietà delle Ferrovie dello Stato che la sta proponendo in vendita attraverso Invest in Italy https://www.investinitalyrealestate.com/it/property/bologna-ravone/
Il Comune di Bologna, contro l’opinione di migliaia di cittadini attivi, attraverso il Poc ha posto le basi della cementificazione di un bene straordinario che abbandono e natura hanno donato alla città.
Oltre alla grande quantità di abitativo previsto, ingiustificata in una situazione di esubero di offerta immobiliare, nell’area sono previsti una scuola, anch’essa poco sensata in una fase di rovesciamento delle piramidi di età e che in ogni modo avrebbe potuto essere allocata in un edificio dismesso, attualizzando il mantra del riuso di cui tanto si discorre.
Un’occasione irripetibile che viene piegata alla “densificazione”, a dispetto delle preoccupazioni ambientali e climatiche, che stanno alla base delle esperienze europee e delle raccomandazioni nazionali “per la promozione di foreste urbane e periurbane” (in Strategia nazionale del verde urbano, Ministero dell’ambiente, maggio 2018).
Intanto sono stati realizzati i lavori di sbancamento dell’area destinata alla scuola, un panorama raccapricciante.
I cittadini protestano da lungo tempo in maniera vivace e costruttiva: nel sito https://rigenerazionenospeculazione.wordpress.com/ sono disponibili documenti informativi utili e fondati; nella pagina https://www.facebook.com/Rigenerazionenospeculazione/ gli eventi (spettacoli, performance, passeggiate, ecc.) e immagini.
Il Comitato rigenerazione no speculazione ha raccolto più di 7.000 firme a favore del mantenimento del bosco; ha promosso #parteciPrati, un Forum civico di progettazione partecipata autogestito, supportato da esperti e garanti; resoconti e materiali scientifici qui; tra cui il “Manifesto” un documento di grande spessore scientifico.
Ha raccolto più di 2.500 firme certificate con la richiesta di Istruttoria pubblica che si è svolta tra il 7 e il 10 novembre.
In cui l’Amministrazione, pur davanti a una partecipazione civica straordinaria, rimane ostinatamente ancorata a un’idea di crescita superata e contraddittoria. Un’idea sconfitta da una crisi dilaniante che ha mostrato la fatalità di un ciclo economico che, ribaltato il rapporto tra domanda e offerta in un’euforica quanto esiziale bolla speculativa, ha seminato nel territorio urbano inutili costruzioni ora abbandonate. Ma la dura lezione della crisi, l’esubero di costruzioni, l’abbattimento dei valori immobiliari, la rovina di lavoratori, famiglie e imprese, non sono bastati ai nostri amministratori, che rimangono pervicacemente convinti che la via allo sviluppo debba passare attraverso nuove edificazioni.
Le dichiarazioni ridondanti sulla limitazione del consumo di suolo smentite da scelte che vanno in direzione opposta (ma ben conoscendo il valore fondiario di un’area strategica a ridosso del centro città), in una paradossale comparazione tra suolo agricolo, che in questo modo verrebbe protetto, e suolo dismesso che, benché ricoperto da un bosco lussureggiante, viene trattato al pari di una discarica, con speciosi allarmi su inquinanti ed eventuali residuati bellici; bonificabili in tutt’altro modo che sbancando, come hanno chiarito con competenza specialistica i consulenti scientifici del Comitato nel corso dell’Istruttoria.
Una schizofrenia che i cittadini non intendono più sopportare, ne va del benessere e della qualità della vita.
Una città che spreca le proprie risorse, quelle naturali come quelle economiche. Mentre ben artate campagne comunicative urlano la carenza di alloggi per studenti, additano gli affitti turistici – colpevoli per ora solo dell’arte di arrangiarsi – e giustificano la costruzione di mastodontici “studentati” che in realtà sono alberghi, nessuno si preoccupa del reale disagio abitativo, risolto poliziescamente con sfratti e sgomberi, uniche politiche dell’abitare praticate.
Non si parla invece delle migliaia di abitazioni che risultano vuote, 28.091 all’ultimo censimento nel solo comune di Bologna, una media di 1,3 abitazioni per famiglia su base regionale.
E delle centinaia di interi edifici, privati e pubblici – tra questi molte scuole – abbandonati al degrado, che un’inchiesta ha localizzato e fotografato – una campionatura realizzata, in modo volontario senza alcun finanziamento o sostegno, dall’Arch. Piergiorgio Rocchi, che l’ha tradotta in una mappa georeferenziata consultabile in http://www.coalizionecivica.it/mappare-territorio-vuoti-urbani-bologna/.
Non si discute neppure dei grandi contenitori superiori ai 1.500 mq abbandonati o incompiuti che Nomisma ha segnalato e che potrebbero essere rifunzionalizzati anziché aggiungere ulteriori scheletri al panorama degli sprechi.
Non dovremmo essere paladini del riuso, come la retorica politica non fa che ripeterci?
Cifre e situazioni impensabili a fronte dell’irrefrenabile voglia di costruire nei Prati dell’amministrazione comunale. Che preferisce spendere le proprie energie nel diniego sussiegoso delle volontà civili con vertiginose arrampicate sugli specchi dei dati del fabbisogno scolastico e della bonifica, anziché cercare soluzioni, modi e strumenti di incentivazione/disincentivazione per reimmettere nel circuito vitale edifici abbandonati e residenze disabitate, far emergere l’evasione degli affitti in nero, calmierare il mercato e così offrire una casa a chi ne ha realmente bisogno.
Questa sarebbe una giusta politica dell’abitare e una lungimirante visione urbanistica: censire edifici e residenze inutilizzati, ristrutturare, risanare, riconvertire, riqualificare, salvare l’ambiente, rispettare i cittadini.
E le legislazioni regionali come quella del Veneto esentano dall’arresto del consumo di suolo. Le densificazioni dentro il Tessuto Urbano Consolidato, ovvero gli spazi liberi interclusi dentro e a ridosso delle nostre città non vengono considerati consumo di suolo. È una vergogna. Altro che art. 9 della Costituzione. E altro che art. 117 della costituzione: ormai il governo del territorio non può più rimanere materia che esula dalla tutela dell’ambiente (Statale). Bisogna credere e portare avanti questa prospettiva giuridica e ambientale.
Grazie per queste importanti notizie!