di Marco Bersani, Attac Italia.
“Si farà solo dopo un’analisi costi-benefici” è diventato il mantra del ministro Toninelli, ogni volta che si parla di una grande opera. Andrebbe innanzitutto ricordato al ministro come una vera analisi costi-benefici vada fatta prima di avviare un’opera, altrimenti viene falsata dai costi già sostenuti, permettendo al governo, come difatti accade, di continuare ad opporsi a parole, dando il via libera nei fatti.
In secondo luogo, l’analisi costi-benefici non dovrebbe essere limitata alla singola opera, ma inserita nel contesto più ampio della situazione dell’intero Paese.
Su questo, di grande aiuto al ministro può essere il “Rapporto sul Dissesto idrogeologico 2018”, redatto dall’Istituto Superiore per la Protezione Ambientale (Ispra), che così conclude: “L’Italia è un paese ad alto rischio di dissesto idrogeologico. Frane e alluvioni dovrebbero essere la nostra prima preoccupazione: la sicurezza del territorio dovrebbe essere la priorità, per l’economia e per la salvaguardia delle stesse popolazioni e dell’ambiente”.
Secondo il rapporto, il 91% dei comuni italiani, con oltre 3 milioni di famiglie, sono collocati in zone a rischio idrogeologico. Complessivamente sono 7 milioni le persone che vivono in territori vulnerabili e oltre un milione in territori a pericolosità di frane elevate e molte elevate, soprattutto concentrate in Emilia-Romagna, Toscana, Campania, Lombardia, Veneto.
In ben nove regioni, il rischio idrogeologico è presente nel 100% dei comuni. Sono Valle D’Aosta, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Molise, Basilicata e Calabria. Mentre Abruzzo, Lazio, Piemonte, Campania, Sicilia e Provincia di Trento hanno percentuali di comuni a rischio tra il 90% e il 100%.
Situazione altrettanto allarmante per il tessuto produttivo: le industrie e i servizi posizionati in aree a pericolosità di frana elevata e molto elevata sono 83mila con oltre 217mila addetti esposti a rischio, in regioni come Campania, Toscana, Emilia-Romagna e Lazio.
Al pericolo inondazione, si trovano invece esposte ben 600mila unità locali di impresa (12,4% del totale) con oltre 2 milioni di addetti ai lavori, in particolare nelle regioni Emilia-Romagna, Toscana, Veneto, Lombardia e Liguria.
I dati dell’ISPRA individuano inoltre nelle aree franabili quasi 38mila beni culturali, dei quali oltre 11mila ubicati in zone a pericolosità da frana elevata e molto elevata, mentre sfiorano i 40mila i monumenti a rischio inondazione nello scenario a scarsa probabilità di accadimento o relativo a eventi estremi. Di questi più di 31mila si trovano in zone potenzialmente allagabili anche nello scenario a media probabilità.
Infine, i dati del Rapporto dicono che delle oltre 900mila frane censite nelle banche dati degli Stati europei, quasi due terzi sono italiane. 620.808 episodi che hanno coinvolto il 7,9% del territorio della Penisola.
I ricercatori di Ispra sottolineano come, tra i fattori più importanti per l’innesco dei fenomeni franosi, oltre le precipitazioni brevi e intense, quelle persistenti e i terremoti, siano stati, negli ultimi decenni, i fattori antropici, in particolare tagli stradali, scavi, l’eccessiva costruzione di edifici, spesso sorti abusivamente.
Da ultimo, ecco i costi: dal primo maggio al 30 novembre 2017, solo gli stati di emergenza per rispondere ai più gravi eventi di dissesto idrogeologico ci sono costati oltre 11,2 miliardi di euro. Con danni accertati, dai commissari delegati alla ricostruzione e al ripristino, di quasi 8 miliardi di euro (7.992.626.808).
Ecco un quadro esaustivo della situazione del Paese, molto utile per l’analisi costi-benefici tanto cara all’entusiasta ministro.
Siamo un Paese sull’orlo di un precipizio.