di Dante Schiavon, un angelo del suolo.
“Mai come nei nostri tempi l’uomo è diventato un consumatore di natura, ma l’uomo senza natura non può vivere”. (Mario Rigoni Stern)
La “comunicazione politica e mediatica” della bufera che ha colpito il Veneto e delle sue “implicazioni meteorologiche planetarie” sono state irritanti: tutto è stato ridotto quasi a un fatto di cronaca. La “rappresentazione anestetizzante” della tragedia ambientale in atto, e in cui siamo già immersi fino al collo, mi toglie il fiato. Come dice Luca Mercalli: anche in questa occasione si è assistito alla “rimozione collettiva” dell’emergenza climatica planetaria in atto. In Veneto è andata in scena l’ennesima spettacolarizzazione propagandistica di un evento allarmante con Zaia, il moderno pifferaio di Hamelin, che, con indosso un mezzo sorriso e il giubbetto della Protezione Civile, comunica, attraverso FB, le due giornate di chiusura delle scuole.
Zaia continua, anche in questa occasione, a dare una lettura miope della portata epocale del recente cataclisma nella nostra Regione e degli avvenimenti catastrofici che sempre più si verificano nel paese intero. A più riprese fa passare un rassegnato messaggio consolatorio: dobbiamo prepararci a convivere con queste tragedie e il “governo del territorio” non ha alcuna “connessione” con queste tremende fatalità.
Il “fatalismo” con cui spiega l’ennesimo stato di “calamità (in)naturale”, alla luce dei disastri ambientali sempre più frequenti e ravvicinati e, soprattutto, alla luce delle “conoscenze scientifiche” sui “cambiamenti climatici” e sui loro effetti, ha un che di “doloso”: è una forma di “cecità”, “volontaria” e “arrogante”. E si assume una “responsabilità morale e politica immane”.
Zaia è riuscito a trasformare l’ennesimo “fenomeno atmosferico violento” in un’occasione di propaganda politica, parlando solo ed esclusivamente: di come gestire l’ennesima emergenza (sempre con indosso un mezzo sorriso, il giubbetto della Protezione ed elargendo chiusure di scuole), dell’ennesima prova di generosità e solidarietà del mondo del volontariato veneto, dell’ennesima dichiarazione dello stato di calamità (in)naturale.
Che il problema sia di dimensione planetaria non solleva il Veneto dalle proprie responsabilità e dal proprio copioso contributo al degrado dell’ambiente del proprio territorio. In Veneto la situazione è particolarmente drammatica, sia sul fronte dell’inquinamento, sia sul fronte delle conseguenze del surriscaldamento del pianeta.
Secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente il Nord-Est è fra le regioni più inquinate d’Europa: la nostra Regione sta dando il suo contributo nefasto agli “effetti calamitosi dei cambiamenti climatici”, alla quantità di CO2 emessa nell’atmosfera e al numero elevatissimo di “decessi” e “malattie” dovuto
all’inalazione di biossido di azoto(diesel), ozono e polveri sottili.
L’Italia è al primo posto per vittime da biossido di azoto e al secondo posto per vittime da PM 2,5, mentre è nelle ultime posizioni nella lotta all’inquinamento e ai conseguenti cambiamenti climatici (oltre ad essere, dal 2005, a rischio infrazione dalla UE perché non adotta misure drastiche e rigorose per la riduzione delle emissioni).
Contrastare i cambiamenti climatici per contenere nei prossimi anni entro 1 grado e mezzo l’aumento della temperatura sulla terra significa, oltre che cercare di attenuarne gli effetti disastrosi sulle vite e gli ambienti delle persone, impedire che il 93% dei bambini nel mondo respiri “polveri sottili”. Affrontare seriamente la drammaticità climatica planetaria e le sue ripercussioni sullo stato di salute dell’ambiente veneto e della sua popolazione si può tradurre solamente facendo contestualmente e coraggiosamente due scelte: da un lato, fermare e contrastare quelle attività che producono emissioni nell’atmosfera, dall’altro aumentare e proteggere quelle attività “umane” e “naturali” che combattono tali emissioni.
Per realizzare questo obiettivo ci vogliono risorse, idee, “slanci utopistici”, leggi e una scaletta di “priorità”. Ed è qui che la narrazione di Zaia mostra tutta la sua “disconnessione dalla realtà ambientale, politica, amministrativa” del (suo) Veneto. Media locali, nonché tutta la “consorteria partitica veneta” (escluso il solo Andrea Zanoni) sembra stiano dentro questa narrazione di Zaia: c’e una sorta di “pensiero unico”. Manca il coraggio, da parte di chi, a parole, si dichiara contrario (a volte ambiguamente, vedi SPV) a tale rappresentazione, di opporsi con modalità che vadano oltre il “rituale politico ciarliero”.
Manca in chi, a parole, si dichiara contrario alle leggi che perpetuano un modello di sviluppo urbanistico ed economico che distrugge e consuma natura, suolo e risorse, il coraggio di mobilitarsi e mobilitare cittadini e associazioni, spesso lasciati soli nella lotta contro la potenza mediatica e affaristica di chi ha scambiato la terra e il suolo veneto come una “enorme miniera a cielo aperto” da saccheggiare. Manca, in chi, a parole, si dichiara estraneo al racconto populista, soporifero e spregiudicatamente superficiale di Zaia, il coraggio di immaginare un Veneto all’altezza delle emergenze ambientali in cui cui ci ha infilato il malgoverno leghista del territorio. Nel Veneto il tipo di sviluppo “cementocentrico” ha prodotto il famoso miracolo del Nord-Est: una urbanizzazione caotica e disordinata al servizio della produzione industriale ed oggi è più esposto di altri territori alle conseguenze dell’inquinamento e degli effetti dei cambiamenti climatici.
È il risultato di uno studio dell’Università di Padova, pubblicato sulla Tribuna di Treviso nel giugno 2017, a ricordarci che la piena in Veneto sarà più aggressiva per effetto di una cementificazione diffusa che la ridicola legge di Zaia sul “contenimento del consumo di suolo” incrementa (e passata sotto una opposizione timida e formale) e “raccontata” dai media compiacenti con toni celebrativi degni delle peggiori “fake news”.
“Veneto in ginocchio per maltempo”: ecco la trovata populista, consolatoria, rassegnata, fatta propria in modo acritico da forze politiche, giornali, media, cittadini, organizzazioni, consumatori. Grande Zaia: anche stavolta ha portato i riflettori su uno spicchietto deformato della realtà, senza illuminare tutti gli spicchi di cui si compone la realtà stessa, lasciando nell’oscurità il “nesso causale” tra inquinamento, catastrofi climatiche e il modello di sviluppo cementocentrico, infrastrutturale, monocolturale in agricoltura e a tutto il loro indotto inquinante (uso di energie non rinnovabili, trasporto su gomma, perdita irreversibile di servizi ecosistemici del suolo e della vegetazione, riduzione di biodiversità, ecc.). E oggi, che siamo avviati in un lento e, per i più distratti, impercettibile viaggio verso “l’apocalisse ambientale”, stiamo pagando “tutti” la portata grave e colpevole di una politica di governo del territorio regionale che ha consumato in modo vandalico e massiccio una risorsa non rinnovabile come il suolo, in grado di fronteggiare l’assorbimento della CO2 e di immagazzinare parte delle acque meteoriche.
Tali doverose considerazioni autocritiche non trovano spazio nell’arena mediatica e giornalistica, così abilmente orchestrata da più di un decennio da Zaia, sovrastate da un “messaggio/slogan” chiarissimo: il “Veneto è in ginocchio per il maltempo”, brutto e cattivo, noi umani non ci abbiamo messo niente del nostro. Invece il Veneto è in ginocchio per il “Mal-Antropos”, altro che per “Mal-tempo”. Ma il Governatore ci tranquillizza sui social e sui “media”: è tutto sotto controllo, una situazione straordinaria, una emergenza. Non si pone la domanda: “che sarà mai questo ennesimo segnale che il cielo ci manda?”. Di ritirare la candidatura di Cortina per le Olimpiadi con tutto il seguito di infrastrutturazioni grandi e piccole, di cementificazioni, di tagli di alberi: non se ne parla, avanti tutta! Dopo il disastro che ha colpito il Cadore rinunciare a organizzare i mondiali di sci a Cortina del 2021 perché infieriscono sulla montagna con tangenziali, ponti, varianti, bretelle, invasi artificiali, stazioni di monitoraggio, gallerie, rotonde, strade, tagli di alberi e piste “vertiginose”, tombotti e griglie di filtrazione per bloccare frane e smottamenti: non se ne parla, avanti tutta!
Fermare la “Superpedemontana Veneta”, una strada in trincea su un sottosuolo che contiene un acquifero fra i più grandi d’Europa: non se ne parla, avanti tutta!
Il Veneto è in ginocchio perché i veneti eleggono una classe politica “ignorante“, spregiudicata, egoista. Una classe politica di devastatori dell’ambiente mette in ginocchio il Veneto, altro che il maltempo: quello c’è sempre stato, solo che ora la natura, che abbiamo ignorato, distrutto, consumato, ci presenta il conto. È sorprendente come le opposizioni non abbiano il coraggio di smarcarsi da questa “narrazione fatalista” di Zaia.
Il rapido precipitare verso il baratro ecologico (che per noi veneti significa “tropicalizzazione del clima”, ondate di calore per 80/100 giorni all’anno, alluvioni e bufere di vento più frequenti) richiede un aggiornamento della definizione di “reato ambientale”, includendovi non solo l’inquinamento del suolo, dell’aria, dell’acqua, ma anche il consumo di suolo (per i servizi ecosistemici “gratuiti” di cui ci priviamo). E di conseguenza, come per il terrorismo degli anni 70, va introdotto il reato di “favoreggiamento dei cambiamenti climatici”. Al di là di quella che può sembrare una provocazione, il favoreggiamento dei cambiamenti climatici è declinato in vari modi nell’azione amministrativa e politica della maggioranza che governa il Veneto da decenni (anche grazie a delle opposizioni dormienti). Una forma di favoreggiamento dei cambiamenti climatici si palesa in una politica che non ha come priorità, nell’uso delle risorse finanziarie, nella propria azione legislativa, nella programmazione degli interventi, la salvaguardia e la tutela dei beni comuni, prescindendo (infischiandosene) dalle conoscenze scientifiche sui cambiamenti climatici in atto e prescindendo anche dalla manifestazione violenta dei fenomeni atmosferici che si susseguono con sempre maggiore frequenza. È stridente il contrasto fra le scelte urgenti e coraggiose che richiede il periodo che stiamo attraversando e la narrazione che fa Zaia del suo Veneto. Le priorità di Zaia le possiamo vedere anche osservando solo alcune voci del bilancio regionale.
Il Veneto ha stanziato trecento milioni di euro per la Superpedemontana Veneta (con il corollario di incentivazione al trasporto su gomma, di inquinamento, di impermeabilizzazione del suolo, di dissesto idrogeologico, di perdita di servizi ecosistemici), quattordici milioni di euro per un referendum farlocco, ottantatre milioni di euro (dal 2011 a oggi) per incentivi alla monocoltura del Prosecco, quasi un milione di euro per la candidatura Unesco della zona Prosecco Docg, trecentomila euro per le associazioni dei cacciatori, cinquantamila euro per i presepi. Nel bilancio regionale le voci di spesa prioritarie per la salvaguardia dell’ambiente occupano un posto residuale o sono del tutto assenti, in sintonia con la narrazione del pifferaio di Palazzo Balbi. Per la “rottamazione” delle auto inquinanti sono stati stanziati solo ottocentomila euro nel 2017 e cinquecentomila euro per quest’anno, per le “riqualificazioni edilizie” (quelle che fanno risparmiare consumo di suolo) sono stati stanziati solo duecentomila euro. Non vengono stanziate risorse per la ferrovia Calalzo-Cortina, per la manutenzione dell’esistente, del già costruito, del già asfaltato, delle strade, dei sentieri, dei muretti a secco, delle strade forestali, dei ponti, del già infrastrutturato. Risorse per il risparmio energetico civile, industriale e della mobilità, per il traffico merci su rotaia, per la bonifica dei territori inquinati, per la sovranità alimentare e la biodiversità (messe a dura prova dagli effetti dei cambiamenti climatici e dall’imperialismo della monocoltura del Dio Prosecco ) non vengono stanziate nella misura adeguata a vantaggio di capitoli spesa che accentuano gli effetti dei cambiamenti climatici: una spesa completamente “decontestualizzata” dall’emergenza planetaria e dall’emergenza ambientale del territorio veneto. Lo stridente contrasto fra le scelte urgenti e coraggiose che richiede il periodo che stiamo attraversando, oltre che nelle voci che compongono la spesa regionale, lo possiamo constatare nella legislazione regionale. La ridicola legge regionale nr. 14 del 6 giugno 2017 sul “contenimento del consumo” di suolo sforna una quindicina di deroghe “all’arresto immediato del consumo di suolo” e sancisce (una specie di “abusivismo edilizio istituzionale”), ancora ulteriore consumo di suolo, perfino in comuni con oltre il 40% di suolo consumato.
Ma, oltre a “voci di bilancio” e a “leggi regionali” in completa “dissonanza” con gli obiettivi e le priorità che il degrado ambientale e i cambiamenti climatici in atto ci impongono, è la mancanza di “coscienza delle conoscenze” sullo stato del pianeta, in generale, e sullo “stato dell’ambiente veneto” in particolare. Ne è un esempio eclatante il proposito di intaccare, nonostante l’evidenza e la concretezza delle macerie, il fragile equilibrio del Cadore e della montagna veneta per organizzare eventi sportivi con il loro indotto infrastrutturale, energivoro, inquinante e foriero di future calamità (in)naturali. E questo fatalismo, questa indifferenza cosa sono, se non una forma di favoreggiamento dei cambiamenti climatici che si realizza attraverso l’azione “amministrativa” e una “narrazione anestetizzante” di quello che sta accadendo alla nostra regione, ai nostri alberi, ai nostri animali. Non riesco a scacciare il pensiero e l’immagine di quelle migliaia di animali rimasti schiacciati sotto la caduta “biblica” di centinaia di migliaia di alberi: alberi e animali, esseri viventi, che ci mettono in contatto “vivo” con la natura e la sua “sacralità”. Dovremmo ringraziare alberi e animali perché ci danno l’occasione di connetterci con la natura, di elevarci al di sopra di un antropocentrismo malato e nichilista.
Invece, per effetto dei cambiamenti climatici, siamo costretti a subire lo spettacolo di una strage di caprioli, cervi, camosci e tanti altri animali già abbondantemente stressati dalla perversione omicida della caccia e dalla sparizione di suolo, di natura e dei suoi spazi.
La “narrazione di Zaia”, “l’inconsistenza progettuale” di larga parte della politica partitica veneta e l’assenza di un “giornalismo d’inchiesta” nei media locali, spesso ridotti a portavoce del potere economico e politico, hanno marginalizzato e sterilizzato la voce dal basso di comitati, associazioni e cittadini che da anni lanciano s.o.s. sulle conseguenze catastrofiche di un modello di sviluppo basato sul consumo di territorio e delle sue risorse. E’ così che lo spazio della “progettualità politica ambientale”, lasciato vuoto da una partitocrazia da salotto, sazia, pigra e che di fatto vive all’ombra del moderno pifferaio di Palazzo Balbi, viene occupato dai movimenti “anti-sistema”, gli unici che si battono per una mobilitazione di massa, per chiedere subito una inversione di rotta a trecentosessanta gradi rispetto ad una miope politica legata alle grandi opere, al consumo di suolo, all’inquinamento di aria, acqua,
suolo. La situazione è gravissima e i fenomeni atmosferici estremi, come il Mediterraneo con due gradi in più del normale e un vento a 150/200 km/h che ha colpito le nostre montagne (segnali di un nostro colpevole superamento dei “limiti ecologici”) non vengono raccolti da nessuno e non ispirano azioni, scelte immediate e coraggiose. Quelle scelte immediate e coraggiose chieste con intelligente purezza da Greta Thunberg, la quindicenne svedese nel suo accorato intervento al Cop24 in Polonia. E mentre la legge “ridicola” sul “contenimento del consumo di suolo” della Regione Veneto consentirà (extra-deroghe) di consumare 400 ettari di suolo all’anno da qui al 2050, la scienza ci ricorda che nei primi 30 cm. di un suolo agricolo si accumulano 60 tonnellate di carbonio per ettaro o che un ettaro non impermeabilizzato trattiene fino a 3,8 milioni di litri d’acqua e a quel punto a me non resta che “urlare contro il cielo” tutta la mia rabbia.