Dopo la tempesta Vaia. Riflessioni per il recupero delle foreste nelle Dolomiti

Questo documento rappresenta la sintesi dell’incontro (organizzato da CIPRA Italia, Mountain
Wilderness, LIBERA Nomi e Numeri contro le mafie, Ecoistituto Veneto “Alex Langer”,
WWF O.A. Terre del Piave, Comitato Peraltrestrade Carnia-Cadore, Italia Nostra sezione di
Belluno, Gruppo Promotore Parco del Cadore) tenutosi a Pieve di Cadore, Auditorium CosMo, il 7 dicembre 2018, tavola rotonda “Dopo le devastazioni, il futuro dei nostri boschi”.
I relatori che hanno portato i contributi qui riassunti (e rivisti dagli interessati) sono stati: Luigi Casanova (forestale, vice presidente di CIPRA Italia); Michele Da Pozzo (direttore del Parco delle Dolomiti d’Ampezzo) e Cesare Lasen (geobotanico, membro del Comitato Scientifico Fondazione Dolomiti-Unesco).

Alcune premesse:

a) La tempesta Vaia della notte tra il 28 e il 29 ottobre non è riconducibile a soli limiti della selvicoltura fino a oggi gestita nelle Dolomiti. Le tre regioni interessate, Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige (più marginalmente la Lombardia) ormai da anni attuano una gestione selvicolturale basata sulla naturalità, tanto che alcuni interventi sono certificati (PEFC) e alcune proprietà dispongono della doppia certificazione (FSC).
Certamente molte delle superfici colpite dalla devastazione erano costituite da foreste fragili (impianti artificiali, boschi coetanei e monospecifici, inadeguata cura selvicolturale), ma il fattore principale che ha scatenato il fenomeno sembra ascrivibile ai mutamenti climatici in atto: da tempo sull’arco alpino si assiste a fenomeni “anormali” sempre più intensi e frequenti.

b) La tempesta Vaia ha causato lo schianto di circa 8 milioni di metri cubi di legname: circa 3 milioni in regione Veneto, nelle province di Belluno e Vicenza, altrettanti nel Trentino, circa 1 milione nella provincia di Bolzano, qualche centinaio di migliaia nella regione Friuli Venezia Giulia. Nella provincia di Belluno al danno forestale si è sommato un vero e proprio evento alluvionale.

c) I danni ai boschi nella intera Europa comportano annualmente la distruzione di una media di 38 milioni di metri cubi: ben il 50% di questi danni sono dovuti a schianti da vento, il 16% a incendi, altre cause sono dovute a attacchi parassitari o a popolamenti non idonei. Nel recente passato si sono avute devastazioni forestali che hanno superato anche i 200 milioni di metri cubi di schianti.

d) 80 anni fa la superficie boschiva italiana copriva 5 milioni di ettari, oggi siamo a 11.778.000 ettari. Nonostante un aumento quasi esplosivo dell’estensione forestale meno di un terzo di questo patrimonio viene gestito, l’Italia importa quasi l’85% del legname usato: nel nostro Paese si utilizzano solo 1,5 milioni di mc. di legname nazionale. Non solo.
Va detto che oggi l’aumento deriva dal fatto che oggi la definizione di bosco è diversa dal passato e include anche formazioni arbustive, neoformazioni più rade, ecc. In ogni caso alla quantità non corrisponde la qualità.

e) Tra tutti gli ecosistemi possibili, comprese le praterie alpine e gli ambienti umidi – consapevoli che ciascuno di essi ha il proprio intrinseco valore e il suo fascino – la foresta è quello che ci dà le maggiori e più preziose istruzioni ecologiche. In assoluto, è l’ecosistema più strutturato e resiliente, almeno nelle condizioni prossimo-naturali. In esso possiamo leggere la storia del passato, la realtà del bosco di oggi.

18 proposte nel breve, medio e lungo periodo

1. Nella gestione dell’evento, in tutte le sue implicazioni, sarebbe stata auspicabile un’unica regia, autorevole: recupero del legname e individuazione delle priorità, assistenza ai proprietari pubblici e privati per evitare che soccombano a fenomeni speculativi nella compravendita del legname, sostegno anche economico ai proprietari, recupero e laddove necessario potenziamento, della viabilità forestale, dei piazzali di stoccaggio, l’avvio di una pianificazione naturalistica nella ricostruzione delle superfici. Questo auspicio non è divenuto realtà. Siamo nel cuore di Dolomiti patrimonio naturale dell’umanità, probabilmente non abbiamo ancora costruito la consapevolezza delle Dolomiti patrimonio delle comunità.

2. Una misura da prendere subito in esame sarebbe stata la sospensione delle utilizzazioni forestali in atto nei comuni interessati, nella logica di una rinegoziazione delle quantità da prelevare.

3. E’ necessario recuperare e laddove presente potenziare una gestione forestale che offra al bosco lo sviluppo dell’insieme delle funzioni ecosistemiche che esplica: sicurezza e tutela idrogeologica, sicurezza dai fenomeni valanghivi, funzione paesaggistica, funzione ricreativa, funzione produttiva, qualità ambientale (acque, sorgenti, aria), accrescimento della biodiversità, assorbimento CO2.

4. E’ necessario riprendere e approfondire un rapporto stretto con la cura della montagna, delle foreste e degli alpeggi. Tale lavoro andrà consolidato nel lungo periodo consapevoli che le ricadute non saranno limitate al solo aspetto produttivo, ma anche alla qualità del paesaggio un aspetto funzionale all’economia turistica.

5. L’evento ci porterà a riconsiderare tutti gli aspetti legati alla sicurezza: idrogeologica, frane, valanghe e a costruire nella futura pianificazioni delle invarianti nella gestione del territorio che dovranno avere la certezza della inderogabilità. La foresta va intesa come fattore di resilienza strategico nella gestione della montagna.

6. L’immediata nuova pianificazione della gestione delle foreste presterà cura alla attenzione rivolta ai cambiamenti climatici in atto. Si rende necessaria una nuova fase di pianificazione poiché la gestione delle foreste non dovrà ignorare gli effetti dei cambiamenti climatici.

7. L’evento ci offre una occasione unica nel potenziare la ricerca scientifica, attraverso attenti monitoraggi del recupero forestale, una occasione storica, imperdibile, che ci è stata offerta.
Anche grazie a un coinvolgimento emotivo, forse inatteso, delle nostre popolazioni si dovrà strutturare una gestione dell’informazione su quanto accaduto, sul recupero dei suoli, sul sostegno sempre più convinto a processi formativi che non coinvolgano solo gli operatori del settore, ma tutti gli attori della vita in montagna, dai residenti, agli operatori turistici, agli ospiti. La foresta, nel suo insieme, va recuperata come bene comune. Perché questa avvenga sarà necessario far comprendere il valore del lavoro e del tempo necessario per una buona ricostituzione: la Natura ha i suoi tempi, e il “bello” a cui siamo abituati (tutto in ordine, pulito, ordinato) non sempre corrisponde al bello reale di una foresta naturaliforme che è, al contrario, quella disetanea e irregolare.

8. L’evento ha aperto una serie di opportunità lavorative che andranno consolidate: la ricerca scientifica, la formazione, la ripresa della cura del bosco a partire dalle nuove semine, anche artificiali, che andranno gestiti nel lungo periodo fino al recupero degli spazi aperti, degli alpeggi in quota, dei prati aridi.

9. Le azioni di rimboschimento dovranno essere studiate con attenzione e, per favorire la biodiversità, differenziate versante per versante. Ovunque possibile si dovrà agevolare la rinnovazione naturale delle superfici.

10. Va recuperata una attenzione particolare nella gestione della viabilità forestale, nella regimazione anche di piccoli e minimi corsi d’acqua facendo attenzione a salvaguardare (salvo alcuni interventi necessari per motivi di sicurezza), le zone umide.

11. Si dovrà recuperare una maggiore attenzione alla gestione degli alpeggi di alta quota ottimizzando gli obiettivi della tutela della biodiversità, del paesaggio, della qualità del foraggio.

12. Specialmente nei primi anni seguenti la ricostituzione del patrimonio forestale va rivolta specifica attenzione alla gestione faunistica, in particolare agli ungulati. Ci viene anche offerta una nuova opportunità nella gestione di specie particolarmente a rischio quali sono tutti i tetraonidi.

13. Nella pianificazione forestale sarà opportuno dare la massima importanza alla conservazione delle foreste vetuste, alle piante monumentali. E’ necessario riprogrammare, in valore estensivo, le foreste destinate unicamente alla protezione.

14. Grazie al sostegno di un potenziamento della ricerca scientifica e al coinvolgimento degli ambiti universitari nazionali e alpini, si dovrà ritornare a dare importanza alla fertilità dei suoli e al loro recupero. Necessita valutare l’importanza dei processi di decomposizione più ancora di quelli di rinnovazione.

15. E’ necessario ridefinire le carte dei rischi geologici, idrogeologici e valanghivi.

16. E’ anche necessario un piano di azione che recuperi tutta la filiera del legno, dalla selvicoltura, alle utilizzazioni, alle prime e seconde lavorazioni, coinvolgendo in questo anche l’artigianato e facendo in modo che sui territori rimanga il massimo possibile del valore aggiunto proveniente dal patrimonio forestale.

17. Si dovranno recuperare alcuni orti e vivai forestali recentemente abbandonati e fare in modo di gestire i ripopolamenti artificiali con le sementi provenienti dai boschi storici.

18. Sono emerse perplessità sulla diffusione dei bruciatori a biomasse. Non tanto verso gli impianti di piccole dimensioni, ma verso un potenziamento di impianti a teleriscaldamento incompatibili con la reale disponibilità di biomassa nel lungo periodo e disarticolati dalla presenza di grandi segherie nelle vallate. In alcune realtà alpine tale diffusione di impianti è ormai da tempo insostenibile e si rende necessaria una notevole importazione di materia prima con costi energetici e di qualità del combustibile inaccettabili.

 

3 commenti

  1. Riguardo alle biomasse come a tutte le altre fonti rinnovabili, urge definirne i criteri di insediamento e la sostenibilità ambientale e paesaggistica, altrimenti rischiamo di trovarci impantanati in altre enormi criticità ambientali (importazione di legname per grossi impiani di biomasse, monocoltura per biogas, campagne coperte di pannelli solari, fiumi imbrigliati da decine di centrali idroelettriche, ecc.). Non prima, però, di chiedere un grande piano di risparmio e di efficientamento energetico.

  2. E’ tutto molto condivisibile. Va posta grande attenzione anche al problema della salvaguardia dei suoli dopo la rimozione degli alberi schiantati. Qui in Val di Fassa ci sono vaste aree che rimarranno scoperte in zone dalle quali si potranno originare eventi franosi e valanghivi capaci di mettere in pericolo strade anche importanti e centri abitati.

  3. Nell’immediato e anche nel medio termine tutti gli interventi che avete elencato vanno sicuramente bene, detto da una profana, comunque.
    Manca sempre, non solo in questo caso, una VERA E SERIA POLITICA CHE CERCHI DAVVERO DI ARRESTARE QUESTI CAMBIAMENTI CLIMATICI, la vera causa dei disastri che stanno avvenendo un po’ ovunque.
    Sembriamo rassegnati. Ergiamo dighe, difese di ogni genere ma sono cure sintomatiche, non curano la vera causa.
    Ci stiamo andando a schiantare a tutta velocità e stiamo ancora a discutere sui particolari, su quali alberi mettere, sui corsi d’acqua da deviare…abbiamo stravolto tutto.
    Arriveranno altri disastri e saremo amcora li a parlare, bla, bla ,bla

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