di Fabio Grasso.
Il vantaggio dell’intensa disputa combattuta su social e giornali relativa all’ampliamento del cosiddetto Palazzo dei Diamanti a Ferrara ha avuto di certo un effetto positivo: quell’edificio, capolavoro dell’architettura rinascimentale e attualmente sede della comunale galleria d’arte moderna e contemporanea, ha una notorietà maggiore oggi che non ieri. Per i cento occhi e bocche della Fama, però, la notorietà può avere una connotazione sia negativa che positiva. Per il caso di cui ci occupiamo è stata la prima componente a prevalere.
La questione è molto semplice: la direzione di quel museo ha deciso un ampliamento consistente in un nuovo edificio da collocarsi addossato alla parete posteriore del cortile palaziale verso quello che era un giardino stretto e lungo fino alla fine del lotto urbano. Uno spazio verde, oggi parzialmente compromesso secondo alcuni e quindi trascurabile, il quale però storicamente faceva parte di un sistema articolato lungo un asse longitudinale composto anche dal palazzo, dal cortile e da un diaframma costituito da un semplice muro tra giardino e cortile.
Il progetto, bloccato dal ministro MiBACT Bonisoli, sta però lasciando uno strascico talmente velenoso da meritare qualche riflessione in più. Non interessa qui, a dire il vero, la storia delle fazioni perché riteniamo più utile soffermarci sull’analisi degli eventi per capire se è possibile anche una soluzione diversa da quella auspicata da molti e cioè il non intervento.
Sul progetto, vincitore di un concorso regolare (non si hanno notizie in senso contrario al momento), nulla diremo e si capirà presto il motivo.
Ciò che colpisce della richiesta elaborata dalla committenza, è l’ingenuità perché, infatti, una soluzione progettuale di quel tipo e in quel contesto storico sarebbe andata “naturalmente” verso la sua bocciatura da parte di una qualsiasi soprintendenza. Anziché inserire un soprintendente nella commissione di valutazione del concorso (una sorta di ammiccamento alla soprintendenza competente per Ferrara che quel progetto avrebbe dovuto approvare?), lo stesso andava consultato in fase di definizione delle specifiche del progetto.
Preliminare a tutta questa fase concorsuale era comprendere se nelle vicinanze più o meno immediate del Palazzo dei Diamanti vi fossero edifici più o meno storici da coinvolgere nel progetto anche, eventualmente, modificando il piano d’uso dello stesso museo. Abbiamo il timore che dietro l’ingenuità cui si accennava, così reiterata, possa esserci in realtà una straordinaria faciloneria (?) della committenza.
L’aspetto ancora più ingenuo o, a questo punto, facilone (?) si estende anche alle varie fazioni che si sono espresse pro o contro una soluzione progettuale fondata su presupposti se non addirittura sbagliati, almeno, non esplorati con la necessaria onestà intellettuale che casi come questo richiedono.
E allora, ammesso che l’alternativa di edifici da recuperare ad integrazione del Palazzo dei Diamanti si sia dimostrata impraticabile, e nel rispetto di una vicinanza eventualmente inderogabile di quell’ampliamento così come voluto dalla committenza, esiste una soluzione terza? La storia dell’architettura, se opportunamente interrogata, sembra rispondere affermativamente (basterebbe pensare, infatti, all’ampliamento del Louvre e così via).
Quanto strettamente necessario (circa 600 mq) si potrebbe recuperare nell’area del giardino immediatamente a ridosso dell’edificio storico realizzando uno spazio scavato sottoposto alla quota del giardino stesso. Così facendo l’evocazione di divinità ctonie, la sola idea di uno spazio anche ipostilo, convincerebbe il più ritroso dei soprintendenti tanto più se avessimo la fortuna di trovare reperti archeologici; in questa soluzione i lucernai diventerebbero elementi di arredo del giardino soprastante.
È questa proposta il classico uovo di Colombo, talmente semplice, talmente alla portata di tutti che il non averci prima pensato è solo indicativo del fatto che i contrasti, le offese interessano più del voler trovare una soluzione e lasciar nascere l’architettura fra l’antico e il contemporaneo.
Un commento di Vittorio Emiliani
Ho frequentato il liceo classico a Ferrara, a pochi passi da Palazzo dei Diamanti, ho continuato a frequentare Ferrara per ragioni professionali e famigliari, e devo dire che neanche il discorso di Fabio Grasso mi convince del tutto. Io credo che nell’Addizione Erculea non vada inserito alcunché di moderno. Il nuovo liceo classico è stato edificato da Carlo Melograni in una zona molto ampia fra il Parco Massari, se ben ricordo, e la Mura degli Angeli e ci può stare, ci sta. Ma vicino al Palazzo dei Diamanti, nulla. A vantaggio poi del “mostrificio”? Ma per carità. Non so se sopravviva il progetto di spostare in Castello la Pinacoteca di Palazzo dei Diamanti (certe pale non passerebbero nemmeno dalla porta delle stanze del Castello). Tutto per avere altri spazi per mostre, mostre e ancora mostre. Adesso ci rifanno con Boldini perché mostre di ricerca sul Medio Evo o sul Rinascimento ferrarese richiedono anni di studio, di riconsiderazione… e poi non “tirano” come il pittore della Belle Époque, e così di mostra in mostra “di consumo”, la ricerca se ne va in cantina. Parlo in generale, ovviamente, e non della sola Ferrara.