In oltre 150 Paesi del mondo un gran numero di giovanissimi studenti il 15 marzo diserterà le lezioni per protestare contro le deboli scelte dei Governi rispetto al disastro climatico causato dai combustibili fossili e dal modello di sviluppo delle nostre società.
Uno sciopero globale per ricordare che abbiamo solo pochi anni per salvare il Pianeta.
E, quindi, per salvare noi stessi.
Per questo evento dobbiamo ringraziare Greta Thunberg, la sedicenne attivista svedese che da qualche mese, ogni venerdì, sciopera per il clima davanti al Parlamento a Stoccolma. Greta, all’età di 9 anni, è venuta a conoscenza dell’effetto serra e delle sue disastrose conseguenze grazie ai racconti dei suoi insegnanti e ne è rimasta così colpita da cadere nella depressione, fino a perdere 10 chili. Poi si è resa conto che questo suo comportamento non sarebbe servito a nulla e allora ha deciso di reagire e, soprattutto, di AGIRE.
Il suo messaggio si è diffuso rapidamente sui media grazie anche al suo intervento alla COP 24 di Katovice e il suo esempio ha acceso l’entusiasmo di migliaia di giovani che ne hanno seguito l’esempio. In moltissime città ogni venerdì, davanti ai municipi o ai parlamenti, si trovano ragazzi che scioperano per il clima: sono i Fridays for future (venerdì per il futuro).
Ora la chiamata all’appello è per tutti i giovani, di tutto il mondo, per far sì che il prossimo 15 marzo la mobilitazione sia davvero globale e che il messaggio possa finalmente arrivare con forza ai governanti in tutto il mondo.
Gli scienziati l’hanno ribadito più volte: il contrasto al riscaldamento globale, è oggi la più grande sfida della storia dell’umanità.
L’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) nel suo “Rapporto speciale sul Riscaldamento Globale” ha evidenziato come l’impegno debba tendere a contenere l’innalzamento della temperatura entro i + 1,5°C (rispetto al periodo pre-industriale): oltre questo livello, gli eventi meteo estremi (come l’innalzamento dei mari, la diminuzione del ghiaccio marino in Artico, alluvioni, siccità, desertificazione) e già in atto anche in Italia, sarebbero irreversibili; i prossimi 10 anni saranno dunque determinanti, occorre agire subito perché al ritmo attuale raggiungeremo la soglia di +1,5°C nel 2040.
I giovani di tutto il mondo sciopereranno per dire che «non c’è abbastanza tempo per permetterci di crescere e prendere in mano la situazione. Sappiamo che molti politici non vogliono parlare con noi. Bene, nemmeno noi vogliamo parlare con loro. Ma chiediamo loro di parlare con gli scienziati e di ascoltarli, perché noi stiamo solo ripetendo quello che gli scienziati stanno dicendo da decenni. Non abbiamo altri manifesti da difendere, ascoltare la scienza è la nostra richiesta».
Ma molto spesso le cifre e gli appelli rischiano di restare grido inascoltato e, addirittura, gran parte delle persone dichiarano di non comprendere le “dimensioni” del pericolo evidenziato dagli scienziati: numeri troppo teorici, difficili da comprendere nella loro drammaticità.
L’ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, ente di diritto pubblico e dunque non “di parte”) ha recentemente provato a rendere molto tangibili gli effetti che il cambiamento climatico in atto produrrà per l’innalzamento del livello del Mediterraneo. Entro pochi decenni, secondo un rapporto Enea, alcune primarie città italiane saranno invase dal mare; si stima un incremento tra 0,94 e 1,035 metri – prendendo in considerazione un modello cautelativo – e tra 1,31 metri e 1,45 metri, seguendo una base meno prudenziale.
Può apparire come un dato minimo ma, se lo consideriamo su larga scala, le sue conseguenze sono – potenzialmente – catastrofiche.
Le nostre coste risultano dunque a rischio, con enormi ricadute facilmente prevedibili anche per la cosiddetta “blue economy” connessa alla pesca, al turismo, al trasporto marittimo, alla cantieristica.
Il fenomeno, spiega ENEA, riguarda tutte le regioni del nostro Paese bagnate dal mare. A rischio inondazione risultano:
- Trieste, Venezia e Ravenna
- la foce del Pescara, del Sangro e del Tronto in Abruzzo
- l’area di Lesina (Foggia) e di Taranto in Puglia
- La Spezia in Liguria
- tratti della Versilia, Cecina, Follonica, Piombino, Marina di Campo sull’Isola d’Elba e le aree di Grosseto e di Albinia in Toscana
- la piana Pontina, di Fondi e la foce del Tevere nel Lazio
- la piana del Volturno e del Sele in Campania
- l’area di Cagliari, Oristano, Fertilia, Orosei, Colostrai (Muravera) e di Nodigheddu, Pilo, Platamona e Valledoria (Sassari), di Porto Pollo e di Lido del Sole (Olbia) in Sardegna
- Metaponto in Basilicata
- Granelli (Siracusa), Noto (Siracusa), Pantano Logarini (Ragusa) e le aree di Trapani e Marsala in Sicilia
- Gioia Tauro (Reggio Calabria) e Santa Eufemia (Catanzaro) in Calabria.
“Sommando la superficie delle 15 zone costiere già mappate nel dettaglio si arriva a un’estensione totale a rischio inondazione di 5.686,4 km2, pari a una regione come la Liguria” puntualizza ENEA.
L’innalzamento del mare raggiungerà i picchi maggiori a Venezia (+ 1,064 metri), Napoli (+ 1,040 mt), Cagliari (+1,033 mt), Palermo (+1,028 mt) e Brindisi (+1,028 mt).
Forse sarebbe bene che i Governi si preoccupassero di queste previsioni scientifiche, che ci fanno ben comprendere come nei prossimi decenni le scarse risorse finanziarie pubbliche dovranno prevedere ingenti ripartizioni da destinare alla salvezza delle coste.
Nell’attesa, ben vengano le manifestazioni e gli scioperi dei giovani e degli studenti.
Perchè il futuro è il loro – unico – mondo !…