Il Consiglio dei Ministri del 4 aprile ha approvato il “Decreto crescita” e all’interno del corposo dispositivo possiamo rilevare, in particolare, tre notizie collegate ai temi dell’edilizia: una positiva e due negative.
Diciamo subito che l’approvazione è avvenuta con la formula “salvo intese“; questo significa che il decreto potrebbe subire ulteriori modifiche nei prossimi giorni/settimane, anche se pare che il “salvo intese” dovrebbe riguardare solo gli articoli riferiti agli Istituti di credito e non alle disposizioni legate al comparto edile….
La notizia positiva è che, all’ultimo momento, il decreto non contiene più la norma sul “silenzio-assenso“ – precedentemente prevista nelle bozze preliminari – per i lavori edili relativi agli immobili di interesse culturale vincolati ai sensi del Codice dei Beni culturali e del Paesaggio.
Su questa norma si erano sollevate, nelle scorse settimane, tutte le voci della cultura e dell’associazionismo italiano, che sollecitavano il Governo a non introdurre una clausola che si sarebbe dimostrata devastante per le sorti delle nostre testimonianze artistiche, rendendo obbligata la risposta delle competenti Soprintendenze entro 60 giorni (o 90 o 120 giorni, a seconda delle bozze presentate). In caso di ritardo nella risposta, la nuova norma avrebbe trasformato il silenzio in assenso. E ben sapendo con quali carenze d’organico operino oggi le nostre Soprintendenze… il risultato era da prevedersi a senso unico a favore di qualunque atto speculativo contrario alla tutela di vestigia e aree vincolate.
Il ministro Bonisoli, nell’annunciare la scomparsa del silenzio-assenso dal decreto ha affermato che “rimane l’importanza di assicurare che i cittadini abbiano risposte in tempi brevi e prevedibili. Per questo lavoriamo per assumere le persone che mancano alle Soprintendenze che non riescono a lavorare le pratiche“.
Una promessa che ci auguriamo non venga disattesa nei fatti…
Nel Decreto crescita approvato restano, invece, due altri punti controversi: in primis, le dismissioni di immobili di proprietà degli enti locali, che vanno così ad aggiungersi al piano monstre di dismissioni già previsto per quelli di proprietà statale.
Le Privatizzazioni restano lo strumento più rapido per fare cassa, insomma. Siamo alle solite…
Ma un altro elemento preoccupante lo troviamo nel comma 2 dell’articolo 26 rubricato “Semplificazioni in materia di edilizia privata”, decisamente “anonimo” e “criptico” nella sua formulazione e relativo ad una drastica riduzione dell’ambito di applicazione delle disposizioni inerenti la distanza tra fabbricati di cui all’art. 9 del Decreto interministeriale 2/4/1968 n. 1444, nella fattispecie il rispetto della distanza tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti (pari all’altezza del fabbricato più alto, con un minimo di 10 metri), ora previsto per tutte le zone omogenee, che verrebbe così limitata esclusivamente alla “zona omogenea C” dall’art. 2 del D.I. 1444/1968, cioè alle parti del territorio non edificate (o nelle quali l’edificazione preesistente è inferiore a 1/8 della superficie fondiaria), cioè alle sole parti destinate allo sviluppo dell’abitato, le cosiddette “zone di espansione”.
In particolare, non vi sarebbe più obbligo nella stragrande maggioranza del territorio dei Comuni, del rispetto delle distanze tra fabbricati di cui alla citata disposizione statale (che ad oggi addirittura ha prevalenza sulle difformi distanze individuate dai vigenti strumenti urbanistici) e per queste zone sarebbe ammessa l’edificazione di nuovi fabbricati nel rispetto dell’art. 873 del Codice Civile, in cui si prescrive una distanza di soli 3 metri!
Quindi, se entrasse in vigore la citata nuova disposizione, per esempio nelle aree parzialmente edificate definite come “zona omogenea B” (nelle quali l’edificazione preesistente non è inferiore di 1/8 della superficie fondiaria), le cosiddette zone di completamento, si potrebbero realizzare delle nuove costruzioni pluripiano a distanza di soli 3 metri l’una dall’altra e da altre costruzioni preesistenti.
Le distanze tra fabbricati, come anche gli standards urbanistici, ed altri parametri come introdotti dal D.I. 1444/1968 (in attuazione dell’art. 17 della L. 765/1967 che ha introdotto l’art. 41 quinquies nella L. 1150/1942), sono una conquista “sociale” della fine degli anni ’60 del secolo scorso al fine di una maggior tutela della qualità della vita degli abitanti esistenti e futuri.
Il Forum Salviamo il Paesaggio ritiene pertanto che anche questa disposizione debba essere eliminata allo scopo di non provocare danni a cui non potrebbe più essere posto rimedio.
A Bari continua la colata di cemento. E’ stata concessa la costruzione di un casermone su un campo di pallone per ragazzi di un quartiere popolare (S.Marcello) e su una piazzetta alberata attigua al campo di pallone. Ora abbiamo una saracinesca! Si chiudono gli storici cinema di quartiere per sostituirli con palazzoni, nei quartieri non ci sono nemmeno piccoli spazi, mancano i vuoti, gli alberi. marisa Comitato contro Sprechi e Privilegi.
Il rispetto dei 10 metri di distanza tra i fabbricati è, a mio parere, la distanza MINIMA da rispettare. Si può facilmente immaginare cosa succederebbe se fosse abrogata: quali ulteriori DISASTRI ALL’AMBIENTE verrebbero apportati! Cesarina Ghelfi.
Purtroppo siamo alle solite:con una mano ci danno illusorie briciole di una pseudo_legalità “ristabilita” e con l’altra ci levano il pane quotidiano!