Qualche anno fa, durante un intervento in uno dei tanti convegni dedicati alla tutela del paesaggio e al consumo di suolo, mi scappò una frase ardita per rendere chiara la mia granitica certezza che l’ideologia, da sola, non è sufficiente per cambiare gli orientamenti della pianificazione urbanistica. Dissi che l’ideologia resta un gran bello strumento umano, ma necessita di dati, numeri, riferimenti “tattili” certificati per mettere a nudo la realtà e sospingere a scelte e cambiamenti. E il miglior dato, continuai, è conoscere la quantità numerica di edifici costruiti in ciascun Comune e, di questi, conoscere anche l’ammontare di quelli sfitti, vuoti, inutilizzati. Basilare.
Ma non mi fermai qui (le sinapsi sono sempre meno rapide della lingua, almeno nel mio caso) e aggiunsi che senza dati restiamo in balia della soggettività più pura, ma se a me piacciono i calzini verdi e mia moglie preferisce quelli gialli, mai e poi mai ci metteremo d’accordo nel decidere come vestire nostra figlia per la sua cresima.
Quando la parola fu data al pubblico, una mano si alzò repentina e un giovane (che capii essere un laureando in estetica), con tono grave e sguardo torvo, mi apostrofò con una frase in stile epitaffio: «dunque lei considera l’estetica come una scienza da ciarlatani…».
«Assolutamente no e non mi pare di averlo affermato – (replicai rapido: le sinapsi talvolta reagiscono…) – intendo solo dire che l’estetica è una dottrina e non una scienza, offre conoscenze sensibili ma non “numeri” e resta, ahinoi, confinata lontana dalle masse, che non sono allenate a riconoscere il bello universale ma solo quello autopercepito e frutto di cognizione individuale. Tra la soggettività e i numeri resta sempre l’uomo. Anche, purtroppo, quello meno preparato». Poi dissi altro e ricordo un certo sudore sulla mia fronte del genere “oddio come ho potuto essere così stolto“.
Il giovane alla fine mi venne a salutare e, addirittura, si scusò per il tono. Siamo poi diventati amici e quella frase io continuo a ripeterla (cambiando ogni volta le parole e gli addendi per giungere allo stesso risultato), in attesa che nelle scuole Primarie d’Italia venga introdotta almeno un’ora di lezione obbligatoria in materia di riconoscimento della bellezza (e almeno due ore di educazione civica, anzi di “costruzione del nuovo cittadino”).
L’ho presa un po’ alla larga, lo so e me ne scuso, per introdurre la recensione di un saggio di Aldo Cichetti dall’intrigante titolo di “Ripensare la bellezza. Oltre Bateson“. Un testo di cui consiglio la lettura, ma con un’avvertenza: è un libro da godersi in modalità “slow”; ogni pagina, ogni riga, necessitano di tempo mentale da dedicarvi per entrare in un excursus che tocca biologia, ecologia, zoologia, medicina, ambiente, psicologia (Cichetti è un medico e psicoterapeuta, laureato in medicina e filosofia) corroborato da infiniti ed enciclopedici riferimenti alle introspezioni dei massimi pensatori di ogni tempo.
Un libro che parla della bellezza fuori dall’estetica e dalla filosofia, dunque della bellezza come capacità di salvare.
Di salvare da cosa? Cichetti non ha dubbi «da un ben preciso tipo di sventure materiali: le sventure ecologiche dell’ambiente in cui viviamo e quelle dell’organismo umano». Una questione, dunque, di “equilibrio”.
Questo è il punto nevralgico, che mette in discussione la conoscenza che gestisce tali ecologie e che non deve essere solo quella scientifica, ma una conoscenza non matematizzata, cioè umanistica. Attualmente esclusa da ogni intervento sul mondo naturale o sul corpo umano: gli scienziati hanno infatti, da tempo, rinunciato al metodo critico della filosofia.
Per giungere a queste conclusioni, Cichetti si avvia su un percorso perlustrato da Gregory Bateson attraverso la funzione ecologica della bellezza e procede senza indulgenze verso un ripensamento che non solo non rinnega l’illustre pensatore ma lo integra e approfondisce lungo i meandri della cibernetica: la scienza del controllo. Una scienza propria non solo delle macchine costruite dall’uomo, perchè «gli organismi viventi, gli ecosistemi e i sistemi sociali sono in grado di autoregolarsi e autorganizzarsi grazie ai circuiti di feedback positivi e negativi».
Ma occorre una conoscenza ecologicamente saggia per gestirne il moto; una conoscenza che non è quella puramente razionale, ma è quella estetica – legata all’arte, alla bellezza, al sacro – in grado di cogliere “ampie porzioni” dei circuiti complessi del più vasto sistema interattivo. O, meglio, una conoscenza umanistica.
Il sistema, per Bateson, è uomo-e-ambiente; introducendo la nozione di controllo si traccerebbe un confine tra i due e si otterrebbe una contrapposizione tra uomo e ambiente.
La radice di molti problemi sta nella tendenza di ricercare soluzioni a breve termine per alleviare i sintomi, col rischio di «curare il sintomo in modo da rendere il mondo confortevole»; la malattia è la soluzione che il malato ha trovato a un determinato problema esistenziale. I medici si concentrano sui sintomi specifici e identificabili e quando scoprono una cura cessano le loro ricerche.
Bateson, con la sua teoria ecologica, ha contribuito a farci comprendere che l’ecosistema è un sistema di informazioni formato da molti livelli integrati di comunicazione, in cui ogni cambiamento non produce effetti isolati (o “rattoppature”). La coscienza umana, insomma, tende a restringere il proprio orizzonte al punto del sistema che le interessa, non vedendo gli invisibili fili che le collegano al tutto.
Ma per giudicare “bello” o “buono” o “giusto” un elemento, dobbiamo valutarlo nel suo complesso e non soltanto nei singoli aspetti. Afferma Bateson: «ciò che mi dà pensiero è l’aggiunta della tecnica moderna al vecchio sistema: oggi i fini sono realizzati da macchine sempre più possenti, dai mezzi di trasporto, dagli aerei, dalle armi, dalla medicina, dagli insetticidi ecc. La finalità cosciente ha ora il potere di turbare gli equilibri del corpo, della società e del mondo biologico intorno a noi. C’è la minaccia di un fatto patologico, di una perdita di equilibrio». E, puntualmente, le nuove tecnologie hanno generato il divario tra effetti e intenzioni: il “fare” si è accompagnato ad una minore capacità di giudicare e di prevedere gli effetti delle proprie azioni.
Per Cichetti «nessuno ha voluto scatenare la crisi ecologica, come nessuno somministra un farmaco per avere un effetto collaterale: eppure, ci si trova a fronteggiare la più grave minaccia di tutti i tempi per la sopravvivenza della specie umana, e scopriamo che gli effetti indesiderati delle terapie mediche sono tra le prime cause di morte nell’Occidente ricco e progredito».
Particolarmente approfondita è l’analisi di Cichetti legata alla Terra e al paesaggio, ragionata tra etica ed estetica secondo il pensiero di Aldo Leopold: «è giusto ciò che tende a mantenere l’integrità, la stabilità e la bellezza della comunità biotica: uomo, animali, piante. Il nostro pianeta, la Terra intera».
Il paesaggio, afferma Cichetti, oggi viene esaminato secondo uno schema multidisciplinare che affianca vari tipi di competenze, scientifiche e umanistiche, ponendole finalmente in una relazione di collaborazione che corrisponde molto bene al modello di rapporto tra téchne scientifica ed epistéme umanistica proposta nel saggio. E’ un’analisi che non può che far piacere a tutte le migliaia di aderenti al Forum Salviamo il Paesaggio, che ha scelto di esprimere un testo normativo per l’arresto del consumo di suolo affidandone l’elaborazione ad un Gruppo di Lavoro Tecnico-Scientifico multidisciplinare che affianca agli esperti scientifici (climatologi, pedologi, geologi, biologi, architetti, urbanisti, docenti universitari, ricercatori, agricoltori, agronomi, tecnici ambientali, giuristi, avvocati, sindacalisti, paesaggisti) anche rappresentanti della ricerca più puramente umanistica (psicanalisti, giornalisti, divulgatori).
«Tutti i luoghi hanno una valenza estetica (…) il che, ovviamente, non significa che qualsiasi luogo ci piaccia e ci soddisfi, ma che anche la reazione che proviamo di fronte a paesaggi devastati, dissonanti o manomessi è una reazione estetica, che spesso connota e identifica quei luoghi più efficacemente dei dati ambientali o sociologici».
La Convenzione del Paesaggio ci insegna che la salvaguardia della qualità paesaggistica deve riguardare l’intero territorio e non le sue sole bellezze naturali, riconoscendone il suo ruolo ecologico e, così, permettendo ai saperi “chiari e confusi” degli umanisti di avere voce in capitolo accanto – per non dire sopra – al sapere scientifico.
E qui ritorniamo nel pieno di una circolarità che ci riporta all’inizio: l’uomo con il suo corpo, la sua coscienza umanistica, la conoscenza non matematizzata.
Il pensiero umano, già.
Che vive ancora ai nostri giorni?…
Recensione di Alessandro Mortarino.
Ripensare la bellezza. Oltre Bateson
di Aldo Cichetti.
Mimesis Edizioni, febbraio 2019.
Euro 25,00