di Battista Sangineto, archeologo.
Beni da sminuzzare. Nei prossimi giorni, verranno approvate le nuove, peggiorative, bozze sulla «autonomia differenziata», fra il governo e le tre regioni secessioniste, Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, che vogliono apportare modifiche anticostituzionali e antiunitarie anche in materia di valorizzazione e di tutela.
Il sentirsi italiani e il senso di cittadinanza e di appartenenza al nostro Paese sono strettamente collegati al patrimonio della cultura che si è depositato, per millenni, sul territorio italiano. Perché, come scriveva Ranuccio Bianchi Bandinelli nel 1974: «L’Italia è considerata giustamente il paese più ricco di monumenti artistici, segni visibili di una altissima civiltà, che un tempo fu di insegnamento e di modello all’Europa; il paese dove più fitte e più dense sono le stratificazioni storiche e queste stratificazioni storiche hanno lasciato ovunque una traccia così ricca, che non ha eguali in nessun altro paese. È questa stratificazione che conferisce all’Italia e agli italiani un particolare modo di essere, l’essenza stessa delle nostre personalità».
Nei prossimi giorni verranno approvate le nuove, peggiorative, bozze sulla cosiddetta «autonomia differenziata», fra il governo e le tre regioni secessioniste, Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, che vogliono apportare modifiche anticostituzionali e antiunitarie anche in materia di valorizzazione e, incredibile auditu, di tutela del patrimonio culturale e paesaggistico.
La potestà legislativa sul patrimonio è prerogativa della Repubblica, della nazione, del ministero dei beni culturali e non delle tre regioni che – chiedendo il trasferimento a loro favore delle funzioni e delle competenze delle soprintendenze, organi periferici del ministero per i beni culturali – vìolano l’articolo 9 della Costituzione: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione», che è nella prima parte, quella teoricamente intangibile della Carta.
A partire dalla modifica del Titolo V della Costituzione – voluta e approvata dal centrosinistra con un solo voto di scarto, nel 2001 – la valorizzazione e, persino, la tutela del patrimonio culturale e del paesaggio sono diventate oggetto di negoziazione fra stato e regioni. Nella nuova bozza già concordata, il 15 maggio 2019, fra Veneto e l’attuale governo, si legge, nell’art. 42 intitolato «Tutela dei beni culturali»: «Sono attribuite alla Regione del Veneto la competenza legislativa nella materia Tutela dei beni culturali, ai sensi dell’art. 117 della Costituzione, con riferimento ai beni culturali, immobili e mobili, presenti sul territorio regionale, nonché la relativa competenza amministrativa».
In questo articolo è contenuto un evidente falso ideologico da parte dei richiedenti secessionisti: l’attribuzione della tutela alle regioni ai sensi dell’art. 117 della Costituzione che, in realtà, prevede che sia materia legislativa concorrente la valorizzazione, ma non la tutela.
Ancora più inquietante è l’art. 47 intitolato «Regionalizzazione delle soprintendenze» (sic!) in cui si leggono, senza modifiche da parte di Conte, queste spaventevoli pretese:
«1) Al fine di assicurare l’esercizio delle funzioni di cui ai commi precedenti sono trasferite alla Regione Veneto le funzioni esercitate dalle Soprintendenze Abap e della Soprintendenza archivistica e bibliografica, presenti sul territorio regionale, con le attribuzioni delle relative risorse umane, finanziarie e strumentali».
«2) Sono altresì trasferiti alla Regione Veneto il Polo museale, nonché gli istituti e luoghi della cultura statali … con l’attribuzione delle relative risorse umane, finanziarie e strumentali».
Com’è possibile che si chieda e si ottenga una regionalizzazione delle soprintendenze, in ben tre regioni, senza una riforma, che può essere discussa solo nel Consiglio dei ministri e in Parlamento, dell’assetto complessivo di un ministero?
Su paesaggio, ambiente e loro tutela esistono solo le richieste del Veneto, art. 47 comma 1 della bozza, che si attribuisce, senza alcuna opposizione del governo, la piena potestà sui piani paesaggistici, sui vincoli vecchi e nuovi e al rilascio dei futuri vincoli, nonché, all’art. 48, tutte «le correlate funzioni delle soprintendenze in materie di paesaggio presenti sul territorio regionale…». In preda a questo vero e proprio delirio secessionista, Salvini vuole mettere le mani sulle Soprintendenze e vuole nominare i direttori dei musei, per esempio quello di Brera. Matteo Salvini, in questa sua smania di controllo politico di organi dello Stato che dovrebbero essere terzi, è stato assecondato dalla riforma Franceschini (Renzi, del resto, aveva scritto che: «Sovrintendente è una delle parole più brutte di tutto il vocabolario della burocrazia»). Una riforma che era arrivata a un passo dal permettere che i musei, ormai autonomi, si costituissero in fondazioni di diritto privato insieme agli enti locali.
Se dovessero passare queste modifiche anticostituzionali e antiunitarie, la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale e paesaggistico, su cui si fonda il nostro comune sentire, non sarebbero più prerogative dello stato, ma verrebbero sminuzzate regione per regione e non potrebbero più costituire un argine unitario al cemento e all’oblio definitivo del passato. Ne risulterebbe distrutto, per sempre, quello storico tessuto connettivo che tiene insieme il Paese, quel «particolare modo di essere che è l’essenza stessa della nostra personalità», del nostro essere italiani.
Tratto da: https://emergenzacultura.org/2019/07/11/battista-sangineto-il-patrimonio-culturale-fatto-a-pezzi/