di Alessandro Mortarino.
Il quinto rapporto Sentieri (Studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento) ha aggiornato la sua puntuale analisi dei siti nazionali contaminati, riportando dati agghiaccianti che riguardano anche l’area compromessa di Cengio-Saliceto dove, su una popolazione di oltre 37mila abitanti nei 32 comuni interessati dall’inquinamento causato dall’Acna, si registra una tendenza all’aumento della mortalità. «Tra le cause di morte per le quali vi è a priori un’evidenza sufficiente o limitata di associazione con le fonti di esposizione ambientale nel sito – sostengono i ricercatori – si osserva un eccesso di rischio in entrambi i generi per i tumori dello stomaco. Così come quelli del colon, anche se con stime incerte».
«All’eccesso di rischio per tumori allo stomaco – continua lo studio – possono anche aver contribuito il contesto occupazionale e quello ambientale, vista l’associazione di tali tumori con ammine e idrocarburi policiclici aromatici che risultano presenti nel sito».
Il nuovo Rapporto Sentieri ha, infatti, evidenziato un aspetto non ancora affrontato negli anni precedenti, ovvero la presenza di eccessi di malattie respiratorie acute nei giovani adulti, «elemento che induce a pensare a esposizioni recenti e che andrebbe approfondito».
Secondo lo studio, anche gli eccessi di linfomi (in particolare linfomi non Hodgkin) «dovrebbero essere oggetto di approfondimenti, vista la documentata presenza di Pcb nel sito».
L’analisi, inoltre, ha evidenziato un eccesso di mesoteliomi (tumore maligno della pleura) tra gli uomini, «attribuito a esposizioni ad amianto esperite prevalentemente nel settore dell’industria chimica e delle materie plastiche, dell’edilizia e dell’industria metalmeccanica».
Un quadro sanitario e ambientale, dunque, molto preoccupante che rende necessario un intervento drastico di riduzione del danno e un “salvagente” per la popolazione locale attraverso il completamento delle operazioni di bonifica dell’intera area. Una bonifica che fu annunciata come conclusa nel 2010 dall’allora ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo, dai governatori delle due Regioni, Claudio Burlando e Roberto Cota, e dal numero uno della Protezione civile Guido Bertolaso. Ma che non è ancora giunta al suo vero e pieno compimento, come confermato da Eni-Syndial (società attuale proprietaria dell’area dell’Acna) che indica il 2020 come l’anno del completamento di tutte le attività di bonifica.
Una bonifica che, oggi, pare però una semplice parziale messa in sicurezza, come spiega a gran voce il combattivo Comitato Valle Bormida Pulita, che chiede a cittadini e istituzioni di spronare la Regione Piemonte ad essere protagonista dei controlli e delle verifiche di un sito che, nonostante i lavori eseguiti, resta una potenziale “bomba” chimica sulla testa dell’intera valle (nella zona A1 c’è una montagna tossica che può essere definita come una discarica), mentre la causa civile che contrappone Syndial e Ministero dell’Ambiente procede con l’auspicio di tutti che determini il risarcimento per i danni causati da un secolo di inquinamento.
Un secolo, già. Perchè la storia dell’ACNA (Azienda Coloranti Nazionali e Affini) ha origine nel 1882, quando nell’area si insedia un piccolo dinamitificio con ragione sociale “Societé Continentale Glicerynes et Dynamites” per la produzione di esplosivi a beneficio dell’industria bellica dell’epoca. E nasconde una verità recentemente raccontata dal libro “Veleni di stato” di Gianluca de Feo (BUR Rizzoli), che ha esaminato documenti dei Servizi Segreti inglesi, contenuti nei National Archives, desecretati dopo la fine della guerra fredda, che si riferiscono al periodo che va dagli anni ’20 alla fine della seconda guerra mondiale.
Tra le “fabbriche dei veleni” campeggia anche l’ACNA di Cengio, alleato industrialmente con l’IG Farben finanziatrice di Hitler e produttrice del gas per lo sterminio nei campi di concentramento.
Ma già durante la prima guerra mondiale l’ACNA era stata la maggiore produttrice di esplosivi e, secondo la ricostruzione del Centro di Documentazione “Patrizio Fadda” di Monesiglio pubblicato sulla rivista locale “Liguria Val Bormida e Dintorni” (numero 1 del 2002, pag. 10), in un’intervista ad un pensionato ACNA viene affermato che «Durante la guerra del Vietnam lo stabilimento produceva defoglianti».
Se questo è vero significa che la diossina non era un sottoprodotto ma si fabbricava volontariamente, come è stato ipotizzato per il reattore di Seveso.
E sempre il libro di De Feo indica che «I brevetti dei nostri gas hanno contribuito ai massacri dei curdi e alle stragi tra iracheni e iraniani (…). All’inizio degli anni Novanta un dossier (…) del Simon Wiesenthal Center (…) segnala come Eni, Montedison (…) abbiano partecipato ai programmi per consegnare ai tre stati canaglia più famosi le chiavi dell’arsenale chimico. L’Iraq di Saddam Hussein, la Libia di Muhammar Gheddafi, l’Iran degli Ayatollah».
Alla
luce di questa ricostruzione storica viene spontaneo chiedersi se la
Valle Bormida abbia bisogno solo di una bonifica oppure di una totale
revisione del piano ambientale.
Invece Syndial ha un nuovo progetto per la disastrata area: un impianto “waste to fuel”,
ovvero un centro di raccolta e trattamento della frazione organica dei
rifiuti urbani per la loro trasformazione in bio-olio, con annessa
centrale fotovoltaica per la produzione dell’energia necessaria: una
tecnologia messa a punto nel Centro Ricerche di Eni per le Energie
Rinnovabili e l’Ambiente di Novara e attualmente in sperimentazione
presso l’impianto pilota di Gela, in joint venture con Cassa Depositi e
Prestiti. Secondo la strategia Eni, l’obiettivo è di “decarbonizzare” il
nostro Paese e, dunque, si prevede una lunga serie di impianti “waste
to fuel” su grande scala.
Gela, come Cengio e Saliceto,
rientra nell’elenco dei 58 siti contaminati di interesse nazionale (SIN)
e regionale (SIR) censiti dal Ministero dell’Ambiente e vedono
pericolosamente coinvolti almeno 5 milioni di cittadini
perennemente esposti ai danni provocati da sostanze cancerogene e
tossiche quali amianto, diossine, policlorobifenili, idrocarburi,
metalli pesanti, pesticidi, PFAS.
L’ultimo studio
epidemiologico sui territori esposti a rischio inquinamento
dell’Istituto Superiore di Sanità sollecita indagini sanitarie più
approfondite, anche a tutela di bambini e adolescenti. E indica
che proprio su queste aree si registrano dati sanitari allarmanti, con
maggiori decessi e malattie superiori alla media e fin dalla più tenera
età. Con ben 22mila ricoveri in eccesso in età pediatrica, quasi 12mila
morti in più rispetto all’atteso, 5.267 tra gli uomini e 6.725 tra le
donne, oltre che diverse tipologie di tumori in eccesso.
Questa è l’Italia di oggi. Quella di domani, la dobbiamo ancora costruire. E occorre l’impegno di tutti noi cittadini, all’insegna del “prima la salute e l’ambiente e poi l’economia”…