di Manlio Lilli.
Il Tar di Latina ha dato l’okay: la questione della centrale a biogas in località Cava di Creta, a Minturno, si riapre, nonostante l’area individuata per la realizzazione dell’impianto sia posta a breve distanza dal comprensorio archeologico di Minturnae. Insomma, vicino ai resti della città romana con il Foro Repubblicano e il Capitolium, il Foro Imperiale e il Macellum, le Tabernae e il Complesso Termale, oltre ad un tratto della via Appia e, soprattutto, il Teatro che ospita un Antiquarium, negli spazi sottostanti alla cavea.
La vicenda inizia nel settembre 2014, quando l’Alpha Consulenze presenta al Comune di Minturno il “Progetto di realizzazione un impianto di trattamento biologico e digestione anaerobica finalizzata alla produzione di biogas ed energia rinnovabile” in località Garigliano-Cava di Creta, a monte della Strada statale Variante Formia-Garigliano. Il passo successivo è l’Istanza di valutazione ambientale presentata alla Regione Lazio a marzo 2015. Le conferenze dei Servizi che seguono regalano pareri differenti e le osservazioni prodotte dalla Provincia di Latina sono tutt’altro che positive, fatta eccezione per il quadro di Riferimento progettuale. In compenso risultano “parzialmente idonei” il Quadro di Riferimento programmatico, i Criteri localizzativi, la Viabilità e traffico, l’Inquadramento suolo e sottosuolo, ma “non idonea” la Valutazione degli aspetti ambientali. Del tutto ‘negativo’ il parere espresso dalla Soprintendenza archeologia del Lazio e dell’Etruria meridionale ad aprile 2016, con due motivazioni: “il procedimento in atto di predisposizione degli elaborati per l’inserimento di Minturnae e della Via Appia Antica tra i siti Unesco attivato dal Mibact” e “la vicinanza dell’area individuata per l’impianto al perimetro dell’area demaniale (poco oltre i 200 metri in linea d’aria) e al contesto storico-archeologico costituito dalla stessa Via Appia, dalla città romana di Minturnae, dal fiume Garigliano e dal Ponte Borbonico”.
Una ulteriore motivazione, scrive ancora la Soprintendenza, è “la natura stessa dell’impianto, in palese contrasto con la destinazione dell’area” e “la necessità di salvaguardare le aree contermini come buffer-zone”. Insomma: da una parte c’è il vincolo archeologico, dall’altra ci sono giustificazioni di carattere paesaggistico-ambientale, che per la Soprintendenza sono un ostacolo alla realizzazione dell’impianto. In realtà le contrarietà sembrano anche di altro tipo: “In assenza di una pianificazione della gestione dei rifiuti su base regionale, gli impianti a biometano, biogas e biomasse, non rappresentano la soluzione al problema dei rifiuti nel Lazio. Anzi, il surplus di impiantistica che si sta già realizzando rischia inevitabilmente di creare situazioni insostenibili”. Gaia Pernarella, Consigliere regionale del M5s, a luglio 2018 non aveva dubbi al proposito: l’impianto, sosteneva, avrebbe avuto ripercussioni anche sul traffico, dal momento che per il trasporto delle circa 30mila tonnellate di rifiuti organici all’anno sarebbero stati necessari almeno 5mila camion.
Forse anche per questo la Regione tarda a pronunciarsi, fino a che, nel 2018, ogni competenza in materia è passata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Che, nel gennaio 2019, una volta riscontrato che non ne sussistevano le condizioni, decide “di non consentire la prosecuzione del procedimento di valutazione di impatto ambientale del progetto”. A quel punto la Alpha Consulenze impugna la decisione ricorrendo al Tar, che il 30 gennaio 2020 ha annullato la delibera della Presidenza del Consiglio che aveva, di fatto, bloccato ogni possibilità di nascita della centrale a biogas. Spiegando, tra l’altro, che “è infondata l’affermazione dell’incompatibilità dell’impianto con la destinazione dell’area”, e che “l’area prescelta per la realizzazione dell’impianto è del tutto esente da alcuna forma di vincolo e forma di tutela rafforzata e risulta compatibile con tutti gli strumenti di pianificazione sia regionali che provinciali e comunali”. C’è anche un altro elemento sul quale si basa la sentenza del tribunale amministrativo: il procedimento di dichiarazione dell’area come sito Unesco non risulta iniziato e non può rappresentare un impedimento ai fini della realizzazione dell’impianto della ricorrente.
La sentenza del Tar è una sconfitta anche per la Soprintendenza, che avrebbe elencato ragioni non veritiere e per la Presidenza del Consiglio dei Ministri che avrebbe esercitato “eccesso di potere per omesso bilanciamento degli interessi coinvolti, difetto di istruttoria e carenza di motivazione”.
A questo punto la Regione Lazio può riprendere l’iter per l’emissione del suo parere di valutazione di impatto ambientale. Con la possibilità che la centrale biogas affacciata sul sito antico, alla fine, si faccia davvero.