di Alessandro Mortarino.
Tutti noi sappiamo che cosa significa “nostalgìa“, cioè quel desiderio acuto di tornare a vivere in un luogo che è stato di soggiorno abituale e che ora è lontano, la distanza da una persona che non è più con noi, il rimpianto di una situazione che era e non è più e, forse, non tornerà mai più. Pochi, invece, sanno cosa significa solastalgìa (dal latino solacium, sollievo/conforto, e dalla radice greca algia, dolore). Un termine coniato abbastanza di recente (nel 2003, dal filosofo australiano Glenn Albrecht) che indica un diverso tipo di nostalgìa, cioè quel sentimento che si prova per un luogo nonostante vi si continui a risiedere. Un luogo, il “nostro” luogo, che rappresenta anche il “nostro” ambiente e che improvvisamente si trova ad essere alterato da accadimenti su cui non riusciamo ad esercitare alcun controllo: avvengono sotto ai nostri occhi e alla nostra impotenza, ne siamo consci, ne avvertiamo i pericoli. Ma non riusciamo ad evitarli. Un male del nostro tempo…
Un male tipico dell’era in cui viviamo, l’Antropocene; il tempo geologico che vede l’uomo protagonista dei cambiamenti epocali del pianeta, primo e unico responsabile di mutamenti sempre più fuori controllo che generano ansia, stress, depressione, danni alla nostra salute mentale.
Stati emotivi che vengono paragonati a quelli dei deportati dalle proprie terre (come gli aborigeni australiani o i Navajo) pur trovandosi sempre nel medesimo luogo. Luogo che, però, per effetto delle azioni scellerate degli uomini, non è più lo stesso ma è un ambiente deviato, deturpato, modificato senza pianificazione e senza rispetto.
Un disturbo che coglie soprattutto i gruppi di persone più vulnerabili, come i bambini, i giovani e gli anziani, le comunità tribali e agricole. Assillati, oggi, dai rischi annunciati dagli scienziati sull’emergenza climatica. Dunque una forma di angoscia che ci tocca tutti.
Ma se il climate change può ancora apparire così generale, generico e globale da non farci paura, ecco che accorgerci che a pochi metri da casa nostra un prato si trasforma in cantiere, un’alberata viene sostituita con una strada trafficata, un nuovo centro commerciale sfavillante prende forma… disegna la nostra immediata solastalgìa. Cioè la piena percezione di una violenta privazione del nostro diritto a vivere. Non da “padroni a casa nostra“, ma da “predati a casa nostra“.
“Ci piace credere alla nostra immagine di freddi neo-capitalisti, nomadi e sempre interconnessi, ma in realtà il legame di base con la terra è ancora forte”, dice il filosofo Albrecht.
Ma prima di dover versare lacrime e rimpianti per ciò che abbiamo perduto (ambiente, paesaggio, natura, anima) abbiamo una fondamentale freccia al nostro arco: reagire.
Contrastare scelte che riteniamo sbagliate.
Prima che sia troppo tardi…
Le leggi, i piani regolatori, i regolamenti sono strumenti creati dall’uomo. Se contengono errori, all’uomo spetta il dovere (non solo il diritto…) di modificarli. Opporsi non è, quindi, un atto contrario ma un preciso compito, che non può essere demandato/delegato ad altri: è il “nostro” compito. Ora e sempre.