Perché crisi climatica, consumo del suolo, inquinamento e coronavirus sono legati a doppio filo

di Mariella Bussolati.

In un rapporto del 2007 l’Organizzazione Mondiale della Sanità avvertiva che le infezioni virali, batteriche o da parassiti sono una delle minacce più consistenti in un Pianeta dove il rischio del cambiamento climatico si fa sempre più grave. Una minaccia che è diventata realtà proprio nei giorni dell’epidemia coronavirus.

La vera emergenza insomma, non è l’epidemia, ma il riscaldamento globale. Se non faremo qualcosa per fermarlo il futuro potrebbe presentarci malattie peggiori.

“L’uomo abita una Terra che in realtà è abitata da altri organismi. Ma è evidente che se cambiano le temperature, l’aria, la pioggia, il suolo, gli equilibri vengono alterati. Va tenuto conto che ci sono miliardi di virus in circolazione, che hanno origini diverse”, dice Giuseppe Miserotti, medico e membro di Isde (Associazione medici per l’ambiente).

La maggior parte sono rimasti ospiti degli animali per secoli, se non per millenni, convivendo con loro in modo pacifico, visto che è loro interesse mantenere le vittime vive per poter non morire a loro volta. A causa di variazioni delle loro nicchie ecologiche però si possono spostare, e quando colonizzano un nuovo essere si comportano inizialmente in modo aggressivo.

Dagli anni Settanta nuove patologie sono apparse a un ritmo di una all’anno e ora sono 40 quelle che una generazione fa non si conoscevano. Per esempio l’uso dei pesticidi negli anni Sessanta ha fatto diminuire il numero dei vettori della malaria o della dengue nell’Africa sub sahariana, ma vent’anni dopo li ha fatti riemergere in altre zone.

Il sistema in cui siamo, dove l’interdipendenza e la connessione continua forniscono miriadi di opportunità per la diffusione di varie patologie, fa sì che si diffondano geograficamente a una velocità mai verificatasi prima nella storia. Tra le cause di diffusione l’Oms cita proprio il traffico aereo, che con oltre 2 miliardi di passeggeri permette di spargere un’epidemia in qualsiasi punto del mondo in poche ore.

Gli epidemiologi ritengono che il coronavirus si fermerà solo quando ogni persona infetterà meno di una persona a sua volta. Per ora il tasso di riproduzione in Cina è di 2,2, ma è migliorato: era 3,3. per questo motivo le misure prese in questi giorni in Italia sono le più corrette.

Le condizioni ambientali sono determinanti. Basta guardare all‘influenza, che approfitta dell’umidità dell’aria perché gli permette di sopravvivere più a lungo fuori dall’ospite.
Sebbene non si abbiano dati sul coronavirus, in generale alcuni esperti ritengono che mentre il caldo favorisca la crescita e la sopravvivenza, anche la pioggia potrebbe influenzare il trasporto e la disseminazione. Ma mentre l‘influenza di solito diventa meno aggressiva in estate, la stessa cosa non si può dire per il coronavirus, anche perché la Cina è grande e nel sud il clima è già primaverile.

I virus, essendo patogeni obbligati, che non vivono senza le cellule animali, sono naturalmente predisposti a cercare sempre nuovi ospiti. Ma noi gli staremmo spianando la strada.

“Le variazioni di pioggia e umidità, il riscaldamento, cambiano le interazioni tra le diverse componenti biologiche. Una prova è proprio il coronavirus, che ha fatto un salto di specie, passando dal pipistrello a noi, come per altro hanno fatto anche altre affezioni”, spiega Miserotti.

Grazie all’effetto serra i morbi posso trovare nuove ospitalità. La temperatura corporea dei pipistrelli è più alta della nostra, è di circa 40 gradi. Questo li protegge dagli effetti dei virus di cui sono portatori sani. Ma è chiaro che se il corpo umano a causa del calore ambientale diventa un luogo interessante, gli effetti sono diversi.

Un clima più tiepido e inverni più corti sicuramente avvantaggiano per esempio le zanzare e i topi, che possono rimanere più a lungo attivi, possono viaggiare più lontano e raggiungere nuovi posti dove le difese non sono ancora state sviluppate. Gli animali sono un problema, una riserva naturale di germi di vario genere. Il 75 per cento dei malanni che sono emersi nelle ultime decadi erano zoonosi, ovvero trasmesse da animali agli uomini.

Il cambiamento climatico e l’urbanizzazione infatti, modificano gli ambienti e impongono traslochi. E anche gli animali si avvicinano di più alle aree urbane, aumentando il rischio di contatto.

Le alte temperature interagiscono anche con il nostro sistema immunitario.

“Il nostro corpo ha sistemi raffinati che lo regolano in modo che possa bloccare ogni invasione. Infatti quando ci ammaliamo ci viene la febbre, che stimola il sistema immunitario e rende difficile la sopravvivenza all’ospite indesiderato. Per questo non dovremmo prendere gli antifebbrili”, spiega Miserotti.

Se però fa sempre più caldo, si adattano e diventano più resistenti.

I cambiamenti climatici determinano, proprio come una reazione a catena, una serie di effetti collaterali sui fattori biologici: la migrazione di animali, l’adattamento a climi differenti, il successivo adattamento dei patogeni e, di conseguenza, la loro maggiore diffusione territoriale. L’Oms ritiene che una delle più grandi conseguenze del cambiamento climatico sarà proprio l’alterazione dei processi di trasmissione di malattie infettive.

“Gli effetti microbiologici potrebbero essere preoccupanti. Il nostro colon non è solo un contenitore per le feci, ma una macchina straordinaria che ospita milioni di batteri che, oltre a produrre serotonina, controllano la nostra digestione e ci proteggono contro le infezioni. Ma se la microbiologia del suolo viene alterata, cambierà anche quella del nostro intestino”, dice Miserotti.

Un gruppo di ricercatori cinesi che ha studiato i rischi provocati dalle polveri sottili ha scoperto che sono responsabili di molte allergie ma anche di problemi respiratori. Possono infatti ospitare molti microganismi, inclusi batteri, funghi e virus, che in genere provengono dal suolo.

E’ vero che le epidemie in genere sono dovute a condizioni particolari, ma abbiamo alterato equilibri naturali molto delicati, che la natura era stata in grado di mantenere per migliaia di anni, senza renderci conto che noi appartenevamo a tutto questo. Il risultato è che avendo compromesso l’autoregolazione dei sistemi naturali, ci siamo messi in una situazione pericolosa.

La distruzione della biodiversità è stata per esempio un grave errore, perché era il miglior sistema di controllo reciproco tra le diverse dimensioni biologiche.

“Nel nostro genoma ci sono tracce di antiche convivenze. Ma alla rapidità dei cambiamenti attuali, che noi stessi abbiamo provocato, non siamo preparati”, conclude Miserotti.

Un effetto il coronavirus lo ha avuto. Secondo il Center for Research on energy and clean air, un ente che produce dati sull’inquinamento, le emissioni cinesi si sono ridotte di un quarto. E analisi dell’Iea (International Energy Agency) e dell’Opec, l’organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio, il consumo dei fossili potrebbe dimezzarsi. L’ipotesi di Gaia ideata dal chimico James Lovelock, che risale al 1972, sosteneva che la vita è basata sull’omeostasi, ovvero il mantenimento di valori costanti. Il che significa che se l’equilibrio si altera, qualcosa subentra per regolarlo. Non essendo noi capaci di farlo, il Pianeta ci pensa da solo.

Tratto da: https://it.businessinsider.com/perche-crisi-climatica-consumo-del-suolo-inquinamento-e-coronavirus-sono-legati-a-doppio-filo/