di Stefania Ruggiu.
Oggi viviamo anche le conseguenze lasciate dall’inquinamento delle fabbriche nel territorio circostante, sicché la popolazione spesso si chiede se determinate patologie possono essere correlate alla malsana situazione in cui si trova l’ambiente in cui vivono.
Come sappiamo negli anni 50/60 del secolo scorso l’Italia conobbe un periodo di boom economico senza precedenti. Nel giro di pochissimi anni, infatti, il nostro paese riuscì a rialzarsi dalle rovine causate dal secondo conflitto mondiale e divenne una tra le maggiori potenze industriali del pianeta. L’Italia era un paese caratterizzato da una forte cultura contadina e agricola ma in seguito, e in modo abbastanza rapido, si sviluppò una modernità industriale che prese il nome di “miracolo economico”.
Tale incredibile sviluppo ebbe, però, anche degli aspetti negativi come:
- lo spopolamento delle campagne;
- il divario tra Nord e Sud
Tutto ciò ebbe delle conseguenze che portarono il Mezzogiorno ad essere sempre più afflitto da gravissimi fenomeni di disoccupazione e spopolamento che finivano per originare condizioni sociali di forte disagio e per alimentare le attività criminali. In particolare, nella regione Sardegna dilagava il fenomeno del banditismo che, secondo la Commissione Parlamentare di Inchiesta, si sviluppava proprio a causa delle precarie condizioni economiche venutesi a creare nel territorio.
Così il Comitato dei Ministri per il Mezzogiorno e del Ministero delle Partecipazioni Statali, decise di realizzare una serie di insediamenti industriali come l’agglomerato di Ottana e, successivamente, anche quelli del Sologo e del Sarcidano da parte delle aziende del gruppo ENI (per Ottana), del gruppo SIR (per tutti gli agglomerati) e dei Fratelli Orsenigo (ancora per Ottana). La Cassa per il Mezzogiorno assunse l’impegno di finanziare la realizzazione delle infrastrutture di base.
Nel 1973 si insediarono ad Ottana L’Enichem e la Metallurgica del Tirso e, successivamente, l’ENI eseguì un piano industriale che faceva sorgere ad Ottana impianti per la produzione di fibre tessili, acriliche e polimeri. Il sito si dotò di una centrale termoelettrica (Ottana Energia) e di una manifattura chimica, suddivisa in due sezioni:
- una relativa alla lavorazione delle materie prime (PTA)
- l’altra responsabile della polimerizzazione e dunque della produzione di PET.
Possiamo immaginare quanto quest’imponente progetto industriale avesse cambiato le vite degli abitanti della zona, con un incremento economico immediatamente percepibile.
Benessere economico e sociale fino al 1978 quando, la Metallurgica del Tirso entrò in una spirale di crisi senza fine, trascinando nella medesima sorte anche l’Enichem, nel 1998. Oggi, all’interno dello stabilimento ex Enichem, sono rimaste in produzione solo due aziende: la centrale elettrica ad olio vegetale della Biopower Sardegna e la fabbrica di pannelli in polistirolo della Corstyrene con un totale di 50 unità lavorative; oltre a 12 dipendenti di piccole aziende di manutenzione e 8 dell’impianto di depurazione consortile.
Invito coloro che hanno letto questo imprescindibile articolo a correlarlo con la necessità di applicare il “principio di precauzione” anche in tema di frettolosa attuazione del 5G, per evitare di dover recitare il mea culpa una volta trascorsi di 20/30 anni di latenza della manifestazione tumorale a carico di figli e nipoti. Gabriella Lalìa