In questi giorni Italia Viva, il partito dell’ex sindaco di Firenze ed ex Presidente del Consiglio Matteo Renzi, ha proposto un intervento di “semplificazione” dello strumento urbanistico della Regione Toscana che ha lasciato sorpresi un po’ tutti, addetti ai lavori e non.
Secondo il giovane partito, la legge Urbanistica toscana voluta con fermezza da Anna Marson necessita (già) di una robusta revisione che offra alle imprese del comparto edile l’opportunità di vedere rilanciata la propria attività grazie allo snellimento delle procedure pianificatorie.
La proposta, in estrema sintesi, prevede addirittura di cancellare l’obbligo preventivo – per i Comuni sotto i 5mila abitanti – di approvare un Piano Strutturale coerente con le linee guida regionali. La portata di questa proposta è enorme e certo è il risultato che una sua applicazione scaturirebbe sul territorio toscano: una nuova colata di cemento gratuito nei preziosi borghi storici.
Anna Marson ha così commentato sulle pagine del Corriere Fiorentino la (pessima) iniziativa dei renziani toscani.
Caro Direttore,
in relazione ai contenuti dell’articolo “Italia viva: legge Marson da cambiare, troppi vincoli per i piccoli Comuni”, del 22 luglio, ritengo utile portare all’attenzione dei vostri lettori il mio punto di vista.
Il dibattito che è seguito alle restrizioni dell’epidemia Covid ha messo in evidenza, quanto mai prima d’ora, le potenzialità del ricco patrimonio di centri minori e borghi che caratterizza gran parte del territorio toscano, quali luoghi di maggior qualità in cui vivere e (tele)lavorare in alternativa alle periferie metropolitane. Ciò non riguarda soltanto i piccoli Comuni (sotto i 5000 abitanti: 119 su 273) ma senza dubbio può dar loro una nuova centralità, anche se questi “piccoli” sono molto diversi fra loro: si va infatti da Buonconvento a Cantagallo, da Careggine a Castel S.Niccolò, da Chiusi della Vernia a Capalbio, da Casole d’Elsa a Capraia Isola, da Fabbriche di Vergemoli a Lajatico, da Gaiole in Chianti a Gallicano, da Montaione a Monterchi, da Murlo a Pienza, da Pitigliano a S.Quirico d’Orcia, da Suvereto a Zeri.
Questa prospettiva richiederebbe una seria programmazione, per garantire le dotazioni di servizi e la cura dei valori ambientali e paesaggistici indispensabili affinché la possibilità si traduca in azione, attivando così il recupero dei numerosi borghi e paesaggi rurali storici che si vanno perdendo per abbandono o per trasformazioni incongrue.
Italia Viva propone al contrario una deregolamentazione urbanistica, attraverso l’eliminazione del piano strutturale (il piano di prospettiva più ampia che dovrebbe individuare alla scala locale il patrimonio paesaggistico che caratterizza nello specifico ciascun territorio, e delineare le prospettive di sviluppo locale coerenti con tale contesto, con cui le successive previsioni operative devono dimostrare coerenza) e il solo obbligo di un piano urbanistico operativo. Quest’ultimo strumento viene abitualmente costruito a partire dalle richieste presentate dagli operatori immobiliari. Con una partecipazione sempre più di facciata, quando non del tutto assente. Con un livello di competenze tecniche degli uffici comunali sempre più drammatico.
Questa proposta richiama il modello emiliano-romagnolo della legge 24/2017, che riduce con analoghe deregolamentazioni il governo del territorio alla contrattazione negoziata sulle proposte operative degli attori immobiliari.
Proprio nel momento in cui la domanda di beni comuni territoriali torna a essere centrale, si rischia quindi di promuovere nei piccoli Comuni nuove urbanizzazioni peggiori di quelle che vorremmo lasciarci alle spalle.
All’opposto delle sperimentazioni portate avanti dalla stessa Regione, proprio nei Comuni più piccoli, ad esempio con la promozione delle cooperative di comunità o dei piani strutturali intercomunali e dei relativi uffici tecnici. Voler “smuovere” l’edilizia, come dichiarato nella proposta, con tali strumenti rischia in realtà di aprire a quel nuovo consumo e spreco di territorio che vedeva anni fa, almeno a parole, Renzi in prima linea a combatterlo.
A quasi sei anni dall’approvazione, non posso che convenire sul fatto che la LR 65/2014 vada rimessa a punto, come peraltro previsto dallo stesso articolato normativo approvato, sulla base di un approfondito monitoraggio di come è stata applicata e in non pochi casi disattesa, anche in seguito alla proroga delle norme transitorie che consentivano ai Comuni di continuare a operare con le previsioni previgenti dilazionando l’adeguamento al Piano paesaggistico.
La modifica legislativa proposta viene presentata come “semplice”, e “senza impegno di spesa”. Se queste sono le premesse, è lecito tuttavia essere profondamente preoccupati degli esiti, in termini di costi diretti e indiretti non tanto per il bilancio regionale in essere, quanto per tutti noi, negli anni a venire.
Cordiali saluti,
Anna Marson
Penso che sarebbe necessario promuovere una legge urbanistica di principi, che manca, a cui le Regioni debbono attenersi; rimangono sparsi lacerti della legge del 1942 e una serie di provvedimenti, anche contraddittori, presi nel corso del tempo e che hanno reso ingestibile la materia