A cura di Amici della Terra Versilia, Extinction rebellion, Legambiente Versilia e WWF Toscana.
Le mode si susseguono nel tempo e, avviandosi al tramonto la leggenda delle “cave di Michelangelo”, si inaugura la nuova narrativa, altrettanto fantastica, degli “Uomini di Pietra” del cosiddetto “documentario” della Dmax (prodotto dalla GiUMa Produzioni per Discovery Italia con il sostegno di Trentino Film Commission), dove il solo aspetto “documentato” è una visione “machista”, estremamente semplificata e acritica di quanto accade nelle cave.
Tante sarebbero le cose da dire, ma ci limiteremo solo ad alcune. La prima è che i rischi nelle cave non sono dati dalla montagna, bensì dalla scarsa attenzione alle norme di sicurezza sul lavoro che falcidia ogni anno vite umane, come dimostrano tragicamente le ultime 2 vittime di queste settimane, a distanza di sole 24 ore l’una dall’altra.
Morti che fanno diventare ancora più macabro l’elenco delle devastazioni sulle Apuane ad opera dell’escavazione. Un elenco fatto di distruzione di crinali, sorgenti, boschi e fiumi. Ecosistemi spesso unici, la cui devastazione impedisce di fatto la nascita di economie più sostenibili e durature che potrebbero offrire lavoro nel caso in cui la crisi, che ha già iniziato a interessare il settore lapideo, dovesse crescere. Lutti e danni che gravano sulle comunità, alimentando situazioni di degrado politico e sociale già in atto per la diffusa mancanza di rispetto delle norme vigenti e dei patti sottoscritti.
A tale proposito vorremmo ricordare che l’Henraux (protagonista di una delle puntate del cosiddetto “documentario”), in seguito all’Inchiesta Pubblica condotta dal Parco delle Apuane nel 2004, ottenne di poter sbassare la Cima delle Cervaiole e continuare a scavare in cambio di una serie di impegni, mai assolti, mirati a mitigare il danno subito. Un danno che si stima oltre i 5 milioni e mezzo di euro l’anno, al netto dei vantaggi ottenuti con stipendi e tasse. Questi impegni erano contenuti nel Protocollo del 2006, firmato dall’Henraux , il Parco, i Comuni di Seravezza e Stazzema, le Associazioni Sindacali. Tra questi impegni era compresa la decisione di trasformare il 60% dell’estratto in loco (entro il 2011) destinando la parte restante “prioritariamente alla lavorazione presso le aziende collocate nel distretto”.
Nel 2019 il Comune di Seravezza ha approvato il Piano di estrazione delle Cervaiole dove l’azienda:
- dichiara che trasformerà in loco solo il 50% del marmo estratto, minimo d’obbligo per la legge toscana cave (L.R. 35/2015), è il caso di dire “passata la festa gabbato lo Santo”
- riporta dei dati da cui emerge che, dal 2007 al 2017, non ha rispettato le percentuali minime previste dal Piano Regionale Cave tra quantità di Blocchi e di Scaglie, in rapporto al materiale scavato, senza averne conseguenze.
E così la distruzione di un territorio avanza, ad opera di uno pseudo ”sviluppo economico” tra i fasti delle cave di Michelangelo e di “Uomini di Pietra” “più uguali degli altri” (G. Orwell), mentre paesi che dovrebbero essere tra i più ricchi della Toscana sono invece i più poveri.
Per quanto mi riguarda distruggere una cosa che sta centinaia di milioni di anni a farsi e che quindi non rivedremo mai più è una delle peggiori arroganze dell’essere umano. Io non sopporto la vista di una montagna mangiata, è come vedere un cadavere, una di quelle cose davanti alle quali si vuole solo distogliere lo sguardo.
E questo vale per tutte le cave di collina e montagna, non solo queste. Dovremmo cercare di costruire molto meno e riciclare i materiali. Invece sembra che sostenere l’edilizia e “far ripartire” l’edilizia siano una specie di atto di fede in questo paese.