Subsidenza: annotatevi questo termine, perché lo sentiremo nominare molte volte nel prossimo futuro fino a renderlo un concetto abituale della nostra vita alla pari di altri (consumo di suolo o sostenibilità o cambiamenti climatici…) che, nel tempo, hanno assunto un riconoscimento quotidiano.
La subsidenza è un fenomeno di abbassamento del suolo che può avere cause naturali, legate a processi geologici datati milioni di anni, oppure cause artificiali o antropiche direttamente legate alle azioni dell’uomo.
Rappresenta un pericolo potenzialmente distruttivo che deriva principalmente dalla mobilitazione di solidi o fluidi nel sottosuolo; l’esaurimento delle acque sotterranee è un processo lento e graduale che si sviluppa su grandi scale temporali (da mesi ad anni), producendo una progressiva perdita di elevazione del terreno (da centimetri a decimetri all’anno) tipicamente su aree molto grandi (da decine a migliaia di chilometri) e influisce in modo variabile sulle aree urbane e agricole di tutto il mondo.
La subsidenza riduce in modo permanente la capacità di stoccaggio del sistema acquifero, provoca fessure nel terreno, danneggia edifici e infrastrutture civili e aumenta la suscettibilità e il rischio di inondazioni.
Dagli anni ’50, l’impronta umana dell’Antropocene si è fatta sentire anche in questi fenomeni con un sempre maggiore intervento legato alla necessità di procurare acqua dal sottosuolo per garantire l’approvvigionamento di tutte le attività umane e le previsioni per il futuro iniziano a suonare come un campanello di allarme già in fase emergenziale.
Tanto che uno studio recente, finanziato dall’Unesco e basato su un nuovo modello sviluppato dallo scienziato Gerardo Herrera Garcia, indica senza mezzi termini che da qui a vent’anni (cioè entro il 2040) quasi il 19% della popolazione mondiale risulterà minacciato o danneggiato dall’affondamento della superficie del suolo. E la situazione potrebbe ulteriormente peggiorare, considerando la crescita demografica ed economica e anche gli effetti derivanti dal riscaldamento globale, con periodi prolungati di siccità che non potranno che accelerare il tasso di subsidenza man mano che maggiori quantità di acqua verranno pompate dal sottosuolo e a causa dell’innalzamento del livello del mare, che porrà molte città costiere del mondo a rischio di gravi inondazioni.
Il fenomeno già oggi interessa almeno 34 Stati e 200 località e a soffrirne di più sono (e saranno) proprio le aree già in stress idrico, ad iniziare dalle popolazioni asiatiche.
In Europa, la subsidenza è responsabile del posizionamento del 25% dei Paesi Bassi sotto il livello del mare. Le regioni costiere pianeggianti, così come i centri urbani e agricoli nei climi secchi, sono le più a rischio.
Jakarta è affondata di oltre 2,5 metri negli ultimi 10 anni, portando il governo indonesiano a decidere piani per trasferire la capitale del paese nell’isola del Borneo.
In Iran, la popolazione è più che raddoppiata negli ultimi 50 anni, mentre il pompaggio delle acque sotterranee è rimasto non regolamentato. Le città del paese sono ora tra i centri urbani che affondano più velocemente al mondo, con un calo fino a 25 cm all’anno.
Secondo Herrera-García, le acque sotterranee negli Stati Uniti, Messico, Cina e India vengono rapidamente drenate per soddisfare la domanda alimentare globale. La continua subsidenza in quelle aree influenzerà le popolazioni di tutto il mondo. Rendere sostenibile la produzione alimentare globale rientrava tra le possibilità a disposizione della razza umana, ha detto Herrera-García; ora il problema impellente dovrebbe essere affrontato in maniera decisa e rapida.
A Tokyo si sono già registrati gravi problemi di cedimento nella prima parte del secolo scorso, che sono stati affrontati implementando le normative sulle acque sotterranee e consentito la risoluzione degli effetti.
L’Italia non è risparmiata dal fenomeno ormai globale della subsidenza, ad esempio Venezia o il litorale ravennate, che presenta abbassamenti generalmente fino a circa 5 millimetri all’anno, fatta eccezione per un’area di depressione che interessa il paraggio costiero da Lido Adriano fino alla foce del torrente Bevano, con un massimo di oltre 15 millimetri all’anno in corrispondenza della foce dei Fiumi Uniti, ed un’estensione massima verso l’entroterra di circa 5 chilometri. La zona ravennate, come sappiamo, è fortemente interessata da attività antropiche quali l’estrazione di idrocarburi sottocosta.
Fonte: https://science.sciencemag.org/content/371/6524/34