A cura dell’Ing. Donato Cancellara, Associazione VAS per il Vulture Alto Bradano, Coordinamento “Salviamo il Paesaggio” per il Vulture Alto Bradano.
Un notevole polverone si è creato sulla proposta di legge della Regione Basilicata indirizzata a limitare la dimensione degli impianti per la produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile – in particolare fotovoltaica – a 3 MW di capacità installabile, per singolo impianto, eventualmente incrementabile a 3.6 MW.
Nello specifico si tratta di una proposta che vorrebbe modificare la legge regionale del 19 gennaio 2010, n. 1 “Norme in materia di energia e piano di indirizzo energetico ambientale regionale” oltre a modificare la legge regionale del 26 aprile 2012, n.8 “Disposizioni in materia di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili” al fine di mettere nero su bianco il raggiungimento delle soglie previste nel Piano di Indirizzo Energetico Ambientale Regionale (P.I.E.A.R.) circa la potenza di energia prodotta da fonti rinnovabili in Basilicata.
Secondo il giudizio di chi scrive, la proposta di legge – quant’anche diventasse legge regionale – sembra destinata ad avere vita breve, anzi brevissima.
In tanti conosceranno il detto “abbaiare senza mordere“.
La proposta di legge sembra andare esattamente in questa direzione!
Infatti, sarebbe utile ricordare che la Corte Costituzionale con una recente pronuncia, la n. 106 dell’8 aprile 2020, si è già espressa su una precedente legge della Regione Basilicata, la n. 4/2019, dichiarando illegittime diverse disposizioni normative tra cui l’articolo 12 e l’articolo 13 comma 1 e 3 che avrebbero voluto modificare la legge regionale del 26 aprile 2012, n.8.
Vale la pena rileggere la pronuncia della Consulta con la quale è stato precisato che i giudici, esprimendosi sulla illegittimità costituzionale delle disposizioni regionali, si trovano a ribadire nuovamente i parametri già evocati in precedenti giudizi circa il contrasto con i principi fondamentali stabiliti dal legislatore statale nella materia della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» e contenuti nell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, come attuato dal d.m. 10 settembre 2010, recante le linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili.
È la Corte Costituzionale ad evidenziarne la palese violazione dell’art. 117, primo comma della Costituzione, in relazione agli accordi internazionali (Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, ratificata con la legge 1° giugno 2002, n. 120, recante «Ratifica ed esecuzione del Protocollo di Kyoto alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, fatto a Kyoto l’11 dicembre 1997») e alle direttive europee in materia (direttiva 2001/77/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 settembre 2001 sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità; direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE).
I giudici ricordano che il procedimento di autorizzazione unica indirizzato alla realizzazione di impianti di energia da fonti rinnovabili, di cui all’art. 12, comma 4, del d.lgs. n. 387 del 2003, è stato disciplinato in coerenza con il particolare favor riconosciuto alle fonti energetiche rinnovabili assicurato dalla stessa legislazione nazionale.
Alla luce delle ripetute pronunce della Consulta, sent. n. 106/2020 e n. 267/2016, sembra arrivato il momento di presentare serie richieste di modifica alle leggi nazionali, in primis al decreto legislativo n. 387/2003, al fine di ridimensionare quel favor legislativo per le fonti rinnovabili che, già da molto tempo, non bilancia affatto l’interesse legato alla produzione energetica con gli interessi costituzionalmente rilevanti legati al paesaggio, all’ambiente quindi alla salute dei cittadini.
Fintanto che non si apporteranno modifiche alla legislazione nazionale, si continuerà ad assistere a questo nauseante “balletto” simile a quello che, in alcuni casi, si verifica in un’aula di tribunale tra difesa ed accusa. Un siparietto che si traduce in “abbaiare senza mordere“, nell’illudere che si stia lavorando per il cambiamento, ma nella realtà tessere la tela affinché nulla cambi.
Almeno questa volta, la Regione Basilicata eviti di partorire l’ennesima legge destinata ad essere “bocciata” dalla Corte Costituzionale.