di Tomaso Montanari.
La caccia grossa della variopinta maggioranza (coesa nel perseguire i peggiori obiettivi) che sorregge il governo Draghi ha tra le prede l’articolo 9 della Costituzione. Nella scorsa settimana il fantasma del Parlamento è apparso per aggiungere al suo esemplare dettato (“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”) una coda dagli effetti eversivi: “La Repubblica tutela l’a mbiente e l’ecosistema, protegge le biodiversità e gli animali, promuove lo sviluppo sostenibile, anche nell’interesse delle future generazioni”. Ma cosa può mai esserci di male in queste parole, così apparentemente “verdi”?
Poiché una costante giurisprudenza della Corte Costituzionale ha stabilito che l’ambiente è già protetto dalla Carta (dal combinato disposto degli articoli 9 e 32, quello che tutela il diritto fondamentale alla salute) questa aggiunta sarebbe superflua: ma la politica non conosce il superfluo.
Il vero scopo lo si capisce leggendo i giornali di questi giorni. 80 sindaci del Pd invocano “abbattiamo la burocrazia! La democrazia è velocità!”. Al furore “futurista” degli amministratori “di sinistra” che chiedono le mani libere (come ogni destra liberista), risponde la gesuitica ipocrisia del “loro” ministro Franceschini, che dichiara: “Per il decreto Semplificazioni sto proponendo, per il mio dicastero e le Soprintendenze, nuove regole molto innovative che renderanno tutto più rapido senza indebolire la tutela di paesaggio e beni culturali”. Geniale: per rispettare le regole facendo quello che si vuole c’è solo una strada, cambiare le regole! A partire dalla prima: l’articolo 9 della Costituzione. Ma come può giovare ai sindaci della betoniera l’introduzione di un’ulteriore tutela? Lo spiega l’entrata a gamba tesa del presidente di Legambiente, che rilascia un’intervista al vetriolo contro le soprintendenze. Ecco i veri nemici dell’ambiente: non le multinazionali, i governi, le banche. No: gli odiati soprintendenti! Colpevoli di dire no a pale eoliche alte 130 metri piantate su enormi piattaforme di cemento armato che si vorrebbero piazzare sui crinali dell’appenino, magari sopra i tratturi sannitici e vicino monumenti straordinari. O a ettari ed ettari di pannelli fotovoltaici nelle più belle campagne italiane, o sui tetti dei centri storici.
Ed è qua che si capisce cosa debba espugnare il cavallo di Troia del nuovo articolo 9: il paesaggio. Inserire lo “sviluppo sostenibile” tra i principi fondamentali della Carta significa metterlo alla pari della tutela del paesaggio. Ecco la strategia dell’ambientalismo industriale italiano: mettere ambiente contro paesaggio, per continuare a far girare la macchina dei soldi privati a spese del territorio pubblico. Facendosi pure santificare come paladini dell’ambiente.
Ma mettere l’ambiente contro il paesaggio è come dire che per impiantare in un corpo alcuni dispositivi che dovrebbero contribuire a farlo vivere di più, si può deformarne il volto in modo indelebile.
Questo vuol dire che dobbiamo rinunciare alle rinnovabili? No, vuol dire che dobbiamo stare in guardia rispetto agli enormi grumi di interesse (non di rado di stampo mafioso, come nel caso dell’eolico) che si stanno riciclando nell’ambiguo concetto di “sviluppo sostenibile” (un ossimoro), continuando a sigillare suolo col cemento o col metallo. Se davvero si volessero tenere insieme ambiente e paesaggio la strada c’è: da anni ogni Regione dovrebbe approvare un Piano paesaggistico, e proprio quella è la sede in cui decidere dove mettere questi impianti, senza lasciare l’iniziativa alla speculazione privata. Invece di cambiare le regole, bisognerebbe far funzionare quelle che ci sono: il MIC ha tutti gli strumenti per indurre le Regioni inadempienti (quasi tutte) a redigere i piani, ma non l’ha fatto.
In uno studio importante appena uscito su Giustizia insieme, il giurista Paolo Carpentieri spiega come rischia di finire: “Si ha, in conclusione, la sensazione che la ‘ transizione ecologica’ finirà come al solito per risolversi in un grande greenwashing del vecchio refrain della “Crescita&sviluppo”, con sacrificio ulteriore dei paesaggi del già ‘Bel Paese’. La questione di fondo, come al solito, è culturale: forse la transizione ecologica “vera” non è quella della così detta green economy, totalmente organica e interna alle vecchie logiche del profitto e della crescita del Pil, ma è prima di tutto quella, mentale e culturale, basata su un nuovo modo di pensare e di guardare al mondo, su un nuovo stile di vita, sul recupero del senso del limite e su un profondo ripensamento della scala dei valori, con l’abbandono del consumo fine a se stesso e del falso slogan contraddittorio dello ‘sviluppo sostenibile’, nella ricerca di un equilibrio stabile e duraturo”.
Lontanissimo da questo salto culturale, il governo del cemento cinge d’assedio l’articolo 9 della Costituzione.
Lo scopo è lanciare il grande business della “green economy”, come l’energia solare ed eolica, abolendo lacci e lacciuoli che tutelano il suolo e il territorio italiano.
Tratto da: Il Fatto Quotidiano del 24 Maggio 2021.
Caro Tomaso, grande apprezzamento. Ambiente e Paesaggio hanno un’intersezione vitale e a volte contraddittoria, come negarlo? Ma mettere le mani sull’Art. 9 significherebbe depotenziare pericolosamente la tutela di quello che è primariamente un bene culturale. Faccio un esempio: Lavoro (art. 4) e Salute (art. 32) hanno un’interferenza altrettanto vitale e contraddittoria. Non per questo la Costituzione li mischia nel medesimo pentolone.