di Stefano Ardito.
“Il boom economico? Lo sci sul Gran Sasso”. Citare sé stessi non è elegante, ma a volte ci vuole. S’intitolava così, il 28 giugno del 1985, la pagina che ho firmato su “Repubblica” insieme ad Antonio Cianciullo, una firma importante di quel giornale.
In quel testo, uscito ben 36 anni fa, si parlava però soprattutto della Laga, minacciata da un piccolo progetto di impianti sul lato di Amatrice e Campotosto, e da un gigantesco carosello di skilift sul versante di Teramo. “Faremo il più grosso comprensorio sciistico dell’Italia, i naturisti (sic!) di città non possono dirci cosa fare delle nostre montagne” diceva, in un’intervista, il consigliere provinciale Goffredo Rotili.
Quella pagina ha scatenato molte cose. La magistratura ha sequestrato il cantiere della “Città della neve” degli Jacci di Verre (i muri sono ancora lì, nessuno si è degnato di toglierli). La manifestazione che ho proposto nel 1988 a Mountain Wilderness e al CAI ha portato migliaia di persone sulla Laga, e ha fatto entrare il massiccio nell’elenco delle aree protette da fare. Poi Laga e Gran Sasso sono stati tutelati da un Parco nazionale.
Non conosco Tommaso Bucci e Paolo Scialanga, i promotori del progetto “La Laga per tutti” che è stato annunciato ieri sulla stampa locale, e che verrà presentato ufficialmente sabato 10 luglio ad Amatrice. Non so che età abbiano questi due signori, ai quali rivolgo un saluto cordiale, e i “fotografi in Amatrice” che fanno loro da ufficio stampa.
Ho dato un’occhiata alla mappa degli impianti previsti tra il Pizzo di Sevo, il Pizzo di Moscio e il Monte Gorzano e al libro di 180 pagine che presenta l’idea. So bene che chi vive e lavora ad Amatrice ha sofferto e soffre in maniera spaventosa, prima per il terremoto e poi per i ritardi, indegni di un Paese civile, di una ricostruzione che quasi cinque anni dopo la tragedia non è nemmeno iniziata.
Però, senza il minimo dubbio, posso dire che l’idea di piste e impianti da sci avanzata da Scialanga e da Bucci, come quella di Goffredo Rotili trentasei anni fa, è una follia assoluta e senza senso. Per capirlo basta guardare i dati sul clima che si scalda e sulla neve che diminuisce ogni inverno, dare un’occhiata alle abitudini degli italiani, vedere come funziona il mercato dello sci.
Intorno ai Monti della Laga, da qualche anno, le stazioni sciistiche nate qualche decennio fa grazie a fondi pubblici vengono abbandonate una dopo l’altra, e si trasformano in delle bombe ecologiche che Parchi, Regioni e Comuni fanno finta di non vedere.
I casi più recenti sono quelli di Scanno, di Monte Piselli e Prato Selva (entrambe nel Parco Nazionale Gran Sasso-Laga), ma anche della faraonica cabinovia dei Prati di Tivo, che rischia di essere abbandonata per sempre. A Cittareale e a Leonessa, i Comuni hanno enormi difficoltà per affrontare i costi della revisione dei piccoli impianti esistenti. Di fronte a questa catastrofe annunciata, sarebbe stato logico aspettarsi un ripensamento da parte degli amministratori locali. Invece no.
Nei mesi dolorosamente segnati dal Covid, tra le Marche, il Lazio e l’Abruzzo hanno visto la luce dei progetti sempre più folli, dalla cabinovia che dovrebbe salire da Montorio al Vomano ai Prati di Tivo fino al carosello delle stazioni dei Sibillini e al TSM2, la devastazione del versante più bello del Terminillo.
Ad Accumoli, un’altra località massacrata dal sisma, si pensa a sfasciare la conca dei Pantani con un albergo. E’ utile ricordare che nessuno di questi progetti vuol far davvero sciare i cittadini, o dare lavoro a venditori di attrezzatura o maestri. L’unico scopo riconoscibile, come dimostra in modo evidente il TSM2, è di far prosperare un ceto di progettisti.
Di fronte a queste follie, dal costo spaventoso e in buona parte all’interno di Parchi, ZPS e SIC, si sarebbe tentati di sorridere e lasciar perdere, di archiviare i progetti come del folklore senza senso. Ma non è possibile farlo.
I Parchi nazionali dei Sibillini e del Gran Sasso e Monti della Laga sembrano spariti dal radar, e il secondo ha ignorato Amatrice per decenni. Le Regioni, a iniziare dal Lazio di Nicola Zingaretti, di fronte ai progetti per demolire l’Appennino finora hanno taciuto o approvato.
L’ultima preoccupazione viene dal PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, verificato dal Governo di Mario Draghi e applaudito dalla Commissione europea di Ursula von der Leyen. Nonostante queste firme autorevoli, confesso, la paura che qualche agenzia di spesa locale, frugando in qualche capitolo di spesa, possa finanziare qualcuna di queste porcate c’è ancora.
Trent’anni fa, quando il Parlamento ha approvato la legge-quadro sulle aree protette, e una ventina di nuovi Parchi nazionali si sono aggiunti ai cinque precedenti, gli ambientalisti (me compreso) hanno pensato di aver vinto. Era vero, ma era una considerazione parziale. A bloccare le ruspe hanno contribuito la fine dei soldi pubblici facili, e la competizione dei diversi progetti tra loro.
Oggi con un Governo in grado di vigilare, con delle Regioni attente e funzionanti, con dei Parchi presenti e vigili sul territorio non ci si dovrebbe preoccupare delle nuove speculazioni. Se Sindaci e Comuni fossero attenti a quel che accade nel turismo di montagna in Europa, e volessero far del bene ai loro amministrati, la preoccupazione sarebbe ancora minore.
Invece tutto questo non c’è, e chi ama la montagna non deve abbassare la guardia. Cari escursionisti, cari alpinisti, cari scialpinisti, cari amanti del birdwatching e dei fiori, l’Appennino ha ancora bisogno di voi. I Monti della Laga e tanti altri massicci hanno ancora bisogno di aiuto. Se volete andare sul Gorzano con bandiere e striscioni ci sono. Trentasei anni dopo ce la faccio ancora, e volentieri.