Come pacifist* ed ecologist*, vorremmo contribuire al dibattito che attualmente infiamma e spacca la società.
Siamo profondamente preoccupat* per la pericolosa polarizzazione e radicalizzazione del conflitto: da una parte i gruppi più violenti ed eversivi che cavalcano il malessere sociale, dall’altra il il blocco di potere politico-industriale-mediatico che governa il paese e che impone il suo programma liberista.
Condanniamo nel modo più fermo i neofascisti ed ogni violenza, e tutti coloro che spalleggiano questi gruppi, chiedendoci perché siano stati lasciati agire impunemente dalle autorità, negli eventi del 9 ottobre a Roma. Queste violenze non fanno altro che delegittimare ogni forma di protesta e sono l’occasione per stringere e limitare il diritto a manifestare (cosa che puntualmente sta accadendo).
La nostra è una società malata, e non solo a causa della pandemia Covid-19. Una società che ha ereditato, ancor prima del Covid-19, modelli socio-economici e stili di vita insostenibili che incidono fortemente sulla salute delle persone, delle comunità, dei territori e dell’intero Pianeta. Una società centrata su un modello di sviluppo che ha distrutto l’equilibrio tra le persone e l’ambiente, e che alimenta enormi ingiustizie nord-sud del mondo.
Oggi più che mai, è importante coltivare un pensiero critico che metta la salute (nel suo aspetto globale), il rispetto e la nonviolenza al centro del dibattito. Contestiamo quindi la narrazione “bellica” che tende a mettere in un angolo anche il semplice diritto al dubbio.
Abbiamo vissuto con sgomento e preoccupazione le “guerre all’untore” che in Italia si sono scatenate contro coloro che per dubbio, convinzioni o scelte di vita decidono di non affidarsi al vaccino. Come ecopacifist* rigettiamo l’”hate speech”, da ogni parte esso provenga, il linguaggio violento, umiliante, disumanizzante verso chi non la pensa allo stesso modo. Vogliamo favorire l’empatia, il dialogo, l’ascolto.
Crediamo nel sistema sanitario, una conquista da difendere, e rifiutiamo ogni malaugurata idea di un sistema sanitario dove chi ha “colpe” deve pagarsi le cure.
Purtroppo molti media hanno abdicato al proprio dovere di esercitare un controllo sull’operato del governo e di garantire un dibattito effettivamente pluralista, aperto e trasparente: ragionevoli e accorati appelli contro il greenpass (di docent*, student*, scrittor* e filosof*), non hanno trovato adeguato spazio nei media “mainstream”.
Anche a nostro parere lo strumento del greenpass (così come è declinato in Italia), è pieno di contraddizioni e fallacie sul piano sanitario, finalizzato a un rigido e burocratico controllo sociale, umiliante e divisivo, oltre a contraddire i principi contenuti nella Risoluzione 2361 (2021) dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa e nel Regolamento Ue n. 953/2021.
Sul greenpass e sulle scelte politiche di gestione della pandemia, la differenza tra i singoli Stati, anche all’interno della Unione Europea, è molto forte. Perché quindi non si può discutere e criticare apertamente questa misura, che non è, come spesso si dice “scientifica” ma meramente “politica”?
L’11 ottobre il Collettivo Lavoratori Portuali di Trieste e Genova (gli stessi che negli ultimi anni hanno incrociato le braccia al traffico di armi diretto in Arabia Saudita), ed i sindacati di base hanno indetto uno sciopero generale, anche (ma non solo) contro il greenpass. Tra le altre richieste avanzate, che noi condividiamo, il reddito universale, la riduzione del tempo di lavoro a parità di salario, il rilancio dello Stato sociale, investimenti nella scuola pubblica, nella sanità pubblica, potenziamento del trasporto pubblico, sicurezza vera sul lavoro.
Rivendichiamo un pensiero critico sulla pervasività degli interessi economici e politici nella medicina e nella sanità, sull’invadenza del digitale e delle tecnologie del controllo, sul mito della crescita economica infinita, sulla deriva scientista che si accanisce contro visioni del mondo e approcci di cura considerati non conformi.
Se davvero la salute non è solo assenza di malattia ma presenza di uno stato di benessere psico-fisico che va dalle persone alla comunità, allora la via d’uscita è nella rivisitazione globale dei nostri stili di vita (e quindi politiche che sappiano indirizzare e favorire queste scelte, modificando l’attuale sistema economico senza lasciare impuniti i crimini ambientali che minacciano la salute pubblica).
Si è più in salute mangiando cibo sano, locale, modificando radicalmente il nostro modo di muoverci e rapportarci alla terra, riducendo la nostra impronta ecologica, i nostri frenetici e consumisti stili di vita, praticando la sobrietà e la lentezza, organizzando vere e proprie comunità educanti, rafforzando la medicina di base.
La capacità di accettare i limiti che ci impone la natura ci condurrà ad un nuovo equilibrio sociale ed esistenziale, con l’ambiente e con gli altri popoli del mondo.
Siamo più in salute se ci prendiamo cura del territorio in cui viviamo, se anche la scuola diventa più democratica, esperienziale e all’aperto, (da qui l’importanza di spazi verdi, cortili, parchi e giardini anche in città), un luogo dove educare al pensiero critico, alla cittadinanza attiva, a sani stili di vita.
Purtroppo la gestione securitaria e fobica della pandemia rischia di schiacciare questo cammino, costringendoci ancora più di prima dentro vite segnate dal predominio della tecnocrazia, della farmacologia e della medicalizzazione spinta.
Il continuo martellamento di messaggi ansiogeni, repressivi e colpevolizzanti ha contribuito ad aumentare sindromi depressive, consumo di alcool e psicofamaci.
La scuola è sempre più “ingessata” e chiusa in sé, con progetti e realtà educative innovative (ricordiamo ad es. Bimbisvegli), bloccate da regole senza senso.
Oltretutto queste imposizioni controproducenti ed ingiuste, esasperano gli animi e rendono le persone insofferenti anche ai “limiti ambientali” che multinazionali e mafie calpestano quotidianamente in totale impunità. Limiti all’inquinamento e al consumo che saranno sempre più necessari per fronteggiare l’emergenza climatica ed ambientale.
Abbiamo bisogno di ripartire dalla salute globale di ogni essere vivente, dobbiamo creare le condizioni per iniziare un nuovo cammino, contrastando il dominio di un capitalismo che non potrà mai avere un volto umano.
Non vogliamo arrenderci a una deriva che schiaccia i mondi diversi possibili o già praticati, vogliamo disegnare un nuovo umanesimo ecologista, pacifista e antifascista.
Proviamo a camminare insieme.
(per adesioni a 3333520627 whatsapp, oppure mail peruncamminoecopax@gmail.com)
Primi firmatari (in aggiornamento – le firme sono a carattere esclusivamente personale):
Linda Maggiori (blogger, scrittrice, attivista)
Paolo Piacentini (autore, camminatore)
Franco Arminio (poeta e scrittore)
Michele Boato (direttore Ecoistituto del Veneto e rivista Gaia)
Alessandro Mortarino (Co-fondatore del Forum nazionale Salviamo il paesaggio)
Marinella Correggia (ecopacifista, apolide)
Guido Viale (saggista e sociologo)
Francesco Bevilacqua (scrittore)
Nicholas Bawtree (direttore di Terra Nuova)
Giampiero Monaca (maestro ideatore Bimbisvegli)
Elisa Lello (sociologa)
Aldo Zanchetta (scrittore, attivista)
Anna Chiesura (ricercatrice)
Anna Maria Altobelli (educatrice perinatale)
Daniele Quattrocchi (attivista di Extinction Rebellion)
Olivier Turquet (giornalista, redattore Pressenza)
Valentina Fabbri Valenzuela (educatrice, difensora dei diritti umani)
Violeta Valenzuela (difensora dei diritti umani)
Gianluca Carmosino (giornalista Comuneinfo)
Riccardo Troisi (giornalista Comuneinfo)
Marco Calabria (giornalista Comuneinfo)
Danilo Casertano (maestro di strada)
Aniello de Padova (attivista Decrescita Felice)
Max Strata (scrittore ed attivista)
Elisa Semeghini
Catiuscia Rosati (giornalista freelance)
Vania Bertozzi
Sabrina Petracchini
Barbara Gizzi (consulente turismo responsabile)
Francesco Senatore (camminatore)
Domenico Ponzo
Elisabetta Ambrosi (giornalista)
Alberto Conti (attivista per l’ambiente)
Veronica Iori (attivista di Extinction Rebellion)
Christian Lovato (attivista di Extinction Rebellion)
Titus Dart (attivista di Extinction Rebellion)
Stefano Casulli (pedagogista e ricercatore)
Paolo d’Arpini (attivista Rete Bioregionale italiana)
Caterina Regazzi, (attivista Rete Bioregionale italiana)
Franco Fabbri
Filippo Cannizzo (filosofo e scrittore)
Monica Capo (docente scuola primaria)
Stefano Panzarasa
Giorgio Rossi Chioggia
Claudio Pietro Montanari (attivista Red Ghost)
Pierpaolo Lanzarini (contadino, attivista)
Lorenzo Mandelli (attivista di Extinction Rebellion)
Andrea Casalini (attivista e pacifista)
Serena Gatti (Regista)
Giovanni Angeli (educatore, attivista)
Alessandro Serra
Christian Brandi
Ellison Paolista (attivista Decrescita Felice)
Remo Ronchitelli (attivista Decrescita Felice)
Barbara Gaddi (attivista Extinction Rebellion)
Elena Piffero (attivista Decrescita Felice)
Lorenzo Colacicchi (attivista Global Greens)
Eleonora Berti (architetto paesaggista)
Elisa Paltrinieri (giornalista e scrittrice)
Antonella Lodi (attivista per l’ambiente)
Patrizia Gentilini (oncologa)
Elena Coquoz (attivista per l’ambiente)
Domenico Demattia (attivista per l’ambiente)
Elena Cesari (ecofemminista)
Francesca Conti
Fausto Maggiori (medico)
Elide Moro
Ma quale è l’alternativa possibile al green pass, all’interno di parametri pandemici, per permettere assembramenti (oramai assolutamente necessari) con il minor rischio possibile (non nullo) di infezione, ospedalizzazione e morte? Chi critica il green pass cade in una grande dissonanza cognitiva che trasforma una scelta sanitaria per la tutela della salute pubblica, in un atto politico discriminatorio e coercitivo.
E’ un po’ come se, quando uscì la legge che vieta di fumare in luoghi pubblici, alcuni fumatori fossero andati a manifestare, ritenendo che la loro libertà di fumare fosse ingiustamente compromessa e ritenendo anche che a prendere questa decisione sarebbero dovuti intervenire democraticamente tutti i fumatori d’Italia, verso i quali, da parte dello stato, non ci sarebbe stata alcuna volontà di confronto(…).
In una situazione estrema come una pandemia, e che la cui gestione non può che passare anche per decisioni estreme, metterla sul politico e tirar fuori i “poteri forti”, credo sia un po’ troppo azzardato. C’è poi un principio verso il quale dovremmo essere tutti d’accordo e cioè che a prendere decisioni di ambiti scientifici, debbano essere le istituzioni scientifiche.
Lo scientismo e la tecnocrazia c’è quando la scienza e la tecnica escono fuori dai loro ambiti… ma gestire una pandemia è ambito propriamente scientifico nonostante alcune persone non riescano a comprenderlo. Andare contro questa logica, e usando come esempio un altro contesto, è un po’come se a un certo punto qualcuno dicesse che in ambito giuridico è anche giusto che a fare sentenze se ne occupino anche altre realtà non prettamente formate in senso giuridico… è ovvio che ci sia spesso ingiustizia da parte della magistratura, per dire, ma nessuno si sognerebbe di proporre che sia lecito anche farsi giustizia da soli. E così via in innumerevoli situazione istituzionali che si occupano specificatamente di un ambito della società umana. Anche le istituzioni scientifiche possono sbagliare ma hanno in teoria l’intelligenza collettiva statisticamente migliore.
Capisco poi che si possano avere dubbi e sospetti, che sia lecito avere delle opinioni… però anche i dubbi possono avere diversi livelli di qualità e i sospetti dovrebbero essere convalidati da prove certe. Cioè nel momento in cui si accusa tutto un sistema (e farei notare che in questo caso, con tutti i soggetti politici e sociali che ci sono, si tratta di un sistema molto complesso), va da sé che dovrebbero comparire prove certe della tesi accusatoria… non bastano tendenze e ricorsi storici per trasformare un’opinione in un fatto, nel credere che uno stato stia agendo per forza spinto da una volontà politica discriminatoria.
Le diverse scelte dei vari stati come strategie di contenimento del covid, vanno interpretate come tentativi scientifici e non come diverse scelte politiche… la situazione ha una complessità scientifica che prevede una cosa del genere e il bello è che più la scelta è ottimistica, più probabilmente c’è stato un intervento politico… non è il contrario in realtà!
L’Italia, con il dubbio della durata della copertura vaccinale a doppia dose, ha preferito, non avendo questo dato, di fare contenimenti mirati tramite il green pass… e la storia gli ha dato ragione, basta vedere cosa è accaduto in UK.
In sostanza chi sta firmando questa testo lo sta facendo proprio in un momento in cui sta emergendo scientificamente il fatto che la scelta del green pass si sia rivelata quella migliore… perché ha permesso assembramenti con il minor danno possibile. Infatti in UK si sta valutando di fare la stessa cosa.
Concludendo in sintesi: io in questa iniziativa vedo una dissonanza cognitiva che confonde una scelta sanitaria per la tutela della salute pubblica, per un atto politico discriminatorio e coercitivo. Non vedo prove che avvalorino la mancanza di fiducia nelle istituzioni e non comprendo come si possa credere che, per scelte di carattere scientifico, possano intervenire soggetti che non hanno la formazione necessaria per poter comprendere la complessità immunologica, virologica ed epidemiologica in gioco. Qui non c’è tecnocrazia perché la situazione è decisamente tecnico/scientifica, non politica anche se le ripercussioni lo diventano sicuramente.
Ma voglio concludere ripetendo la domanda iniziale: in una situazione estrema e mortale come una pandemia, quale è l’alternativa possibile al green pass, all’interno di parametri pandemici, per permettere assembramenti (oramai assolutamente necessari) con il minor rischio possibile (non nullo) di infezione, ospedalizzazione e morte? Di sicuro non possiamo fare tamponi rapidi in tutto il territorio nazionale, in tutti i contesti di assembramento possibili e per un tempo indefinito… non è possibile sia economicamente che dal punto di vista organizzativo.
Grazie per la lettura
Siamo sulla strada giusta. Purtroppo i media in parte comprati , la televisione e il silenzio di tante persone che hanno paura di parlare e manifestare lascia troppo spazio a questa atmosfera
brutta,dannosa e lontana dalla vera strada giusta dove le persone si incontrano per rinsaldare l’amore e il rispetto per la natura.