Milena Gabanelli è giornalista nota e capace.
Inviata speciale, autrice e conduttrice, da Report, esempio di giornalismo d’inchiesta, al TG LA7, al Data Room sulle pagine del Corriere della Sera.
Ormai da tempo ha abbracciato la causa degli impianti produttivi di energia da fonti rinnovabili senza se e senza ma.
Ultima battaglia è quella, combattuta insieme a Fabio Savelli, contro chi ritarda il diluvio di progetti di centrali eoliche e fotovoltaiche in ogni punto d’Italia.
Posizione legittima, ma che lascia piuttosto perplessi – per non dire altro – quando riporta solo quello che fa comodo alla sua causa, tralasciando cosette che oggettivamente non sono per nulla inezie.
Allora, proviamo a far vedere queste cosette, perché a Milena Gabanelli evidentemente non interessano, ma a milioni di Italiani molto probabilmente sì.
Prima inesattezza: a differenza di quanto sostenuto da Gabanelli e Savelli, non esiste un doppio procedimento di valutazione di impatto ambientale, sia di competenza nazionale che di competenza regionale: il procedimento da svolgere – per obbligo comunitario discendente dalla direttiva n. 2014/52/UE, se non dispiace – è uno solo ed è necessario per l’oggettivo pesante impatto sul territorio di tali progetti.
Lamentano Gabanelli e Savelli che “Regioni, Comuni, Province spesso bloccano i progetti non graditi ai loro cittadini”, ma non dicono perché questi progetti non sono “graditi”.
Per esempio, perché non dire che la speculazione energetica, purtroppo da anni, ha aggredito la Tuscia: siamo di fronte a ben 51 progetti di campi fotovoltaici presentati, in parte approvati e solo in minima parte respinti in pochi anni, complessivamente oltre 2.100 ettari di terreni agricoli e boschi. Analogamente sono ormai numerosi i progetti di centrali eoliche presentati o già in esecuzione.
Terreni talvolta affittati, altre volte espropriati per due soldi.
Centinaia e centinaia di ettari di terreni agricoli e boscati stravolti dalla speculazione energetica, senza che vi sia alcuna assicurazione sulla chiusura di almeno una centrale elettrica alimentata da fonti fossili.
La realizzazione di questi progetti energetici snaturerebbe radicalmente alcuni dei più pregiati paesaggi agrari della Tuscia con pesanti impatti sull’ambiente e sui contesti economico-sociali locali. Stupisce, infatti, l’assenza di alcuna seria e adeguata analisi preventiva sugli impatti negativi anche sul piano economico-sociale di decine di migliaia di ettari di paesaggio storico della Tuscia sulle attività turistiche.
La Provincia di Viterbo detiene il non invidiabile primato per il consumo del suolo per abitante (rapporto ISPRA sul consumo del suolo 2019), 1,91 metri quadri per residente rispetto alla media regionale di 0,47 e nazionale di 0,80.
Consumo del suolo che va in direzione opposta agli obiettivi tanto decantati della transizione ecologica.
Evidentemente poco importa il consumo del suolo, in fondo sono solo pascoli, terreni agricoli, roba così.
L’avevamo capito da tempo, da quando la puntata di Report I Fossilizzati (17 aprile 2016) si era trasformata in uno spot del servizio pubblico per i progetti di centrali solari termodinamiche del Gruppo Angelantoni da realizzarsi nelle campagne sarde piuttosto che nelle estese aree industriali dismesse, dove il sole batte ugualmente: espropri e calci in culo agli indigeni, insomma land grabbing di casa nostra, senza che ciò meritasse un minimo cenno.
In Africa è un’ingiustizia – come denunciava Milena Gabanelli in Report “Corsa alla terra” nella trasmissione del 18 dicembre 2011 – mentre in Sardegna va bene.
Lamentano Gabanelli e Savelli anche che “alzare una pala eolica può complicare il volo degli uccelli, o deturpare la vista dei nuraghi, come è successo in provincia di Sassari, dove è sfumato l’investimento da 130 milioni della Erg”: infatti, tirar su una pala eolica in mezzo a un sito di nidificazione del Grifone porta con assoluta certezza a farli fuori e noi siamo dalla parte del Grifone e non da quella della società energetica che vorrebbe far la centrale eolica dove cavolo preferisce. Men che meno alla Erg Wind Sardegna s.r.l. è consentito potenziare (27 aerogeneratori per 121,5 MW) la centrale eolica già esistente fra Nulvi, Osilo e Ploaghe (SS) in contrasto con la disciplina del piano paesaggistico regionale e la presenza di aree archeologiche con nuraghi: ben tre pareri negativi degli organi del Ministero della Cultura han fatto finire la procedura di V.I.A. davanti al Consiglio dei Ministri.
Nulla dicono, però, sul fatto che la “fotografia” del sistema di produzione energetica sardo (energia richiesta in Sardegna: GWh 9.171,5 energia prodotta in più rispetto alla richiesta: GWh +3.491,5, dati TERNA 2019) è che oltre il 38% dell’energia oggi prodotta “non serve” all’Isola e viene esportato verso la Penisola grazie alle connessioni oggi esistenti ovvero viene disperso in quanto non utilizzato (i sistemi di accumulo e conservazione sono ancora in fase di studio o sperimentale).
In Sardegna, al 20 maggio 2021, risultavano presentate ben 21 istanze di pronuncia di compatibilità ambientale di competenza nazionale o regionale per altrettante centrali eoliche, per una potenza complessiva superiore a 1.600 MW, corrispondente a un assurdo incremento del 150% del già ingente comparto eolico isolano.
A queste si somma un’ottantina di richieste di autorizzazioni per nuovi impianti fotovoltaici.
Complessivamente sarebbero interessati più di 10 mila ettari di boschi e terreni agricoli.
Le istanze di connessione di nuovi impianti presentate a Terna s.p.a. (gestore della rete elettrica nazionale) al 31 agosto 2021 risultano complessivamente pari a 5.464 MW di energia eolica + altri 10.098 MW di energia solare fotovoltaica, cioè 15.561 MW di nuova potenza da fonte rinnovabile. Otto volte i 1.926 MW esistenti (1.054 MW di energia eolica + 872 di energia solare fotovoltaica, dati Terna, 2021).
Numerosi i progetti per centrali eoliche off shore.
Ormai il quadro è chiaro, a mare e in terra la Sardegna sembra proprio destinata a diventare una piattaforma di produzione energetica, un’Isola destinata all’ennesima servitù, la servitù energetica.
L’ha affermato chiaramente – e ha annuito l’attuale Ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani – l’amministratore delegato del Gruppo ENEL Francesco Starace, secondo cui lo “scenario ipotizza l’installazione, a Thyrrenian link in esercizio, di un gigawatt di batterie e circa 4/5 gigawatt di potenza di rinnovabili in più rispetto a quanto abbiamo adesso. Oltre agli ovvi benefici ambientali, come la scomparsa di fatto dell’anidride carbonica prodotta dalle fonti fossili, un piano del genere svilupperebbe investimenti sull’intera filiera da qui al 2030 di 15 miliardi di euro, un indotto più che doppio e una occupazione tra i 10 e i 15mila addetti qualificati e specializzati”.
Qualsiasi nuova produzione energetica non sostitutiva di fonte già esistente (p. es. termoelettrica) può esser solo destinata all’esportazione verso la Penisola e verso la Corsica.
Con la realizzazione del Thyrrenian Link, il nuovo doppio cavo sottomarino di Terna s.p.a. con portata 1000 MW, 950 chilometri di lunghezza complessiva, da Torre Tuscia Magazzeno (Battipaglia – Eboli) a Termini Imerese, alla costa meridionale sarda.
Dovrebbe esser pronto nel 2027-2028, insieme al SA.CO.I. 3, l’ammodernamento e potenziamento del collegamento fra Sardegna, Corsica e Penisola con portata 400 MW, che rientra fra i progetti d’interesse europeo.
Al termine dei lavori, considerando l’altro collegamento già esistente, il SA.PE.I. con portata 1000 MW, la Sardegna avrà collegamenti con una portata complessiva di 2.400 MW. Non di più.
Visto che la realizzazione di impianti da fonte rinnovabile non comporta la sostituzione automatica degli impianti “tradizionali” (anzi), visto che attualmente non la si immagazzina, dell’energia prodotta in eccesso che ne facciamo?
E in questa situazione dovremmo dar centinaia di milioni di euro di soldi pubblici sotto forma di finanziamenti e incentivi per centrali elettriche off shore la cui energia eventualmente prodotta che fine dovrebbe fare?
Allo stato attuale, è pura speculazione per ottenere fondi, incentivi pubblici e certificati verdi o no?
Questi non sono aspetti che meritano il minimo approfondimento solo perché vanno contro la narrazione prescelta?
Con l’art. 31 del decreto-legge n. 77/2021, convertito nella legge n. 108/2021 il divieto di accumulo per l’energia prodotta anche da fonte rinnovabile è superato, a differenza di quanto sostengono Gabanelli e Savelli: perché non si chiedono i veri motivi della scarsa progettualità in materia? Il Gruppo ENEL, per esempio, progetta un impianto ad accumulo da 122 MW a Portovesme con il superamento dell’esistente centrale termoelettrica (vds. L’Unione Sarda, 21 ottobre 2021).
La delega contenuta nell’art. 5 della legge 22 aprile 2021, n. 53 (legge di delegazione europea) sull’attuazione della direttiva n. 2018/2001/UE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili prevede esplicitamente l’emanazione di una specifica “disciplina per l’individuazione delle superfici e delle aree idonee e non idonee per l’installazione di impianti a fonti rinnovabili nel rispetto delle esigenze di tutela del patrimonio culturale e del paesaggio, delle aree agricole e forestali, della qualita’ dell’aria e dei corpi idrici, nonche’ delle specifiche competenze dei Ministeri per i beni e le attivita’ culturali e per il turismo, delle politiche agricole alimentari e forestali e dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, privilegiando l’utilizzo di superfici di strutture edificate, quali capannoni industriali e parcheggi, e aree non utilizzabili per altri scopi”.
Disciplina a oggi non emanata, sebbene alcune disposizioni precedenti siano recenti, come il Piano energetico regionale della Sardegna 2015-2030 – Individuazione delle aree non idonee all’installazione di impianti energetici alimentati da fonti rinnovabili (deliberazione Giunta regionale n. 59/90 del 27 novembre 2020).
Soprattutto una cosetta sfugge.
Il 10 febbraio 2021 il Parlamento europeo ha adottato la risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un dispositivo per la ripresa e la resilienza chiudendo definitivamente l’iter per la disciplina dei Pnrr (Piani nazionali di ripresa e resilienza) avviato dalla Commissione europea lo scorso 27 maggio 2020, mettendo a disposizione dei Paesi Ue 672,5 miliardi di euro per la ripresa e la resilienza, dunque la parte più sostanziosa dei 750 miliardi del pacchetto Next Generation Eu.
La risoluzione è stata assunta in coerenza con l’accordo storico raggiunto dal Consiglio europeo del 17-21 luglio 2020 che, approvando la proposta della Commissione, ha deciso di assumersi il carico di un debito comune tra stati Ue in risposta alla crisi pandemica.
Il concetto fondante è netto: per ogni euro di spesa dev’essere dimostrato che non nuoce all’ambiente, pena la perdita dei fondi comunitari.
Merita quantomeno un breve accenno da parte di Gabanelli e Savelli o no?
Quanto scrivono senza se e senza ma con paraocchi green Gabanelli e Savelli piacerà al Presidente di Legambiente Stefano Ciafani e, forse, al Ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani, ma denota il peggior snaturamento dell’Italia e dei suoi incomparabili valori naturalistici e storico-culturali.
E a quel sano e istintivo buon senso nel voler conciliare le esigenze energetiche con la salvaguardia di paesaggio e storia del Bel Paese descritto ed evocato da par suo da Gian Antonio Stella (Il Corriere della Sera, 6 novembre 2021) guardano invece milioni e milioni di Italiani.
Mettetevelo bene in testa una volta per tutte.