di Tommaso Dal Bosco.
Ed ecco che, magicamente, dopo essere stato dato per morto, il ddl (sedicente) “rigenerazione urbana” salta nuovamente fuori. Questa volta ad opera del Governo. Ovvio, sta nel programma di riforme a cui l’Italia si è obbligata per ricevere i soldi dall’Europa e, prendere in mano un testo premasticato, è sempre meglio che ripartire da zero.
Ne avevamo analizzato in un primo tempo la versione di iniziativa parlamentare esprimendo qualche perplessità e, in un secondo momento, il pastrocchio dell’unificazione con altri 6 (!) di varia ispirazione sia tematica che politica, in un confronto con uno dei tre relatori (uno in rappresentanza di ciascuna delle componenti della maggioranza di Governo).
La linea da noi adottata fu quella, come AUDIS, di rinunciare ad un approccio emendativo. Non perché ci piaccia chiuderci nella ridotta snob di chi si oppone e basta. Ma perché sembra non esserci un terreno comune di discussione.
Prima bisognerebbe dire cosa si intende fare delle città italiane e dopo si può provare a disegnare degli incentivi anche attraverso strumenti normativi.
Ho più volte dichiarato, anche in sede programmatica, di essere a favore di un’idea radicale della rigenerazione. E che AUDIS per questo debba lavorare. Non possiamo accontentarci di gioire per la riqualificazione di una caserma, per la riappropriazione di un giardinetto o la bonifica di un’area industriale. Queste cose vanno bene a Stoccolma, a Copenhagen o a Zurigo. Sistemi urbani adattivi e funzionanti in cui il buco urbano da sanare è l’eccezione, non la regola. E dove il problema è piuttosto tenere sveglia la socialità anestetizzata dal benessere.
Le nostre città, specie quelle grandi, hanno problemi strutturali relativamente a funzioni urbane basiche come la casa, la mobilità, la scuola, la sanità, lo sport. Oltre a un problema di relazione con i territori circostanti e le aree rurali. Frutto di anni di mancanza di strategie, visioni, di una “agenda” come si dice ora delle città.
Stavamo ancora parlando di algoritmi sempre più sofisticati per perimetrare le aree su cui vogliamo intervenire – perché non ci sono soldi per tutti – e, improvvisamente, il problema diventa un altro: spendere, spendere, spendere.
Di nuovo torniamo alle azioni guidate dall’offerta invece che dalla domanda.
Abbiamo bisogno di una politica pubblica per le città per fare un grande sforzo di riallineamento con le città europee.
Questo presuppone un salto di qualità, prima che infrastrutturale, metodologico. Siamo in una congiuntura globale estremamente favorevole per questo.
Masse enormi (e crescenti) di capitali alla ricerca di progetti con impatto sociale (istruzione, casa, mobilità sostenibile, clima, riduzione delle disuguaglianze di genere), disponibili a rinunciare a una parte di rendimento a patto di contribuire al miglioramento delle condizioni socioeconomiche dei propri territori.
Ci si aspetterebbe dallo Stato una strategia finalizzata ad approfittare di questa straordinaria condizione che potrebbe non durare molto se non si fa qualcosa per stabilizzarla.
Niente di tutto questo si intravede nella proposta di legge dello Stato che, invece, si limita ad ostentare il lessico della sostenibilità anti speculativa come sempre in chiave normativa e vincolistica con lo scopo di scaricare sugli enti locali il peso di perseguirla con una cassetta degli attrezzi vecchia e funzionale solo a risolvere i problemi di responsabilità politiche e amministrative di allocazione della spesa dello Stato.
È di una nuova urbanistica che abbiamo bisogno. Non di una nuova legge urbanistica. Un’urbanistica che abbandoni l’idea presuntuosa che le trasformazioni debbano essere predeterminate e che si organizzi per orientarle verso il bene comune.
Tratto da: http://audis.it/dall-associazione/rigenerazione-urbana-una-strategia-non-una-legge/