“Il Jova Beach Party ha provocato un considerevole impatto su piante e animali delle spiagge, riproponendo a larga scala il tema dell’uso scorretto di ambienti naturali o semi-naturali per la realizzazione di grandi eventi. I danni sono immediati, come lo “sbancamento delle dune” – per usare le stesse parole usate dagli organizzatori – con la distruzione di specie botaniche tutelate dalle norme europee e italiane per far posto all’area del concerto e la completa alterazione di siti di nidificazione di rare specie di uccelli, come il Fratino. A questi si affiancano quelli a lungo termine: gli habitat danneggiati, rifugio e casa per decine di specie animali, anche a rischio di estinzione, impiegheranno molti anni per rigenerarsi.
Eventi di questa portata non impattano solo sugli ecosistemi naturali, ma generano ripercussioni negative anche da un punto di vista sociale, economico e culturale, laddove l’enorme spesa pubblica per finanziare mega eventi privati, che garantiscono guadagni milionari per i soli organizzatori, apre la strada all’idea predatrice secondo cui gli ambienti naturali e i territori siano considerati alla stregua di decorativi fondali e debbano lasciare lo spazio alle attività antropiche sempre e comunque, anche a rischio di perdere per definitivamente il patrimonio naturale presente.
È dunque necessario che le lotte ecologiste a difesa a difesa della biodiversità e del paesaggio, si organizzino in una vertenza permanente per impedire il ripetersi di grandi eventi nei luoghi con valenza ambientale, anche solo potenziale, costruendo una battaglia unitaria a difesa dei beni comuni.
Esiste già una rete embrionale di associazioni nazionali, comitati territoriali e singoli cittadini che sui territori sono intervenuti – anche assieme a ricercatori che svolgono studi scientifici su specie e habitat presenti in queste aree – a difesa dell’ambiente. Abbiamo condiviso esperienze, confrontando la massiccia documentazione a nostra disposizione. Alcune azioni hanno già portato a risultati concreti e tangibili, facendo saltare alcune tappe del Jova Beach Party e ottenendo la protezione di habitat rari.
Per moltiplicare questi sforzi la rete si è ulteriormente ampliata e oggi annunciamo la nascita di un coordinamento nazionale per la tutela degli ambienti naturali dai grandi eventi, dalle spiagge alle montagne, allo scopo di attuare un percorso di lotte che andranno ad interpellare non solo le istituzioni e la politica italiana, ma anche gli organi istituzionali europei, utilizzando ogni strumento che i sistemi democratici ci consentano. Il silenzio, o meglio, l’approvazione entusiasta di molte istituzioni e dei media nazionali (tranne rarissime eccezioni) rispetto alle devastazioni, ben esemplifica il livello di consapevolezza con cui si affrontano le sfide sempre più incalzanti del futuro.
Sono stati costruiti, investendo risorse pubbliche, stadi e piazze, con relativi servizi, per ospitare concerti e altri eventi che ci arricchiscono umanamente. Danneggiare coste e montagne invece ci impoverisce tutti. Le spiagge non sono solo un mucchio di sabbia usa e getta, ma la casa di animali e piante. Le vette delle montagne o le praterie d’alta quota non sono auditorium a uso e consumo umano, ma i luoghi dove nel silenzio si può contemplare il volo delle aquile reali e osservare tante altre specie di organismi sempre più minacciati.
Porre un freno all’invasione di questi luoghi è un segno di civiltà, per il presente e per il futuro, e noi, attraverso le iniziative che saranno messe in campo fin dai prossimi mesi, ci adopereremo per questo”.
Sottoscrivono il presente comunicato:
Italia Nostra
Federazione Nazionale Pro Natura
Marevivo
Sea Shepherd
Forum Nazionale Salviamo il Paesaggio
A SUD Onlus
GrIG Gruppo d’intervento Giuridico odv
Associazione APPENNINO ECOSISTEMA
ETICOSCIENZA
Genitori Tosti in Tutti I Posti APS
LIPU Coordinamento Regionale Lazio, Coordinamento Regionale Marche e Coordinamento Regionale Calabria
Comitato TAG COSTA MARE, Marche
SOA Stazione Ornitologica Abruzzese
ASOER – Associazione Ornitologi dell’Emilia-Romagna
StOrCal Stazione Ornitologica Calabrese
Caretta Calabria Conservation
ARDEA, Associazione per la Ricerca, la Divulgazione e l’Educazione Ambientale, Campania
GAROL (Gruppo Attività e Ricerche Ornitologiche del Litorale), Lazio
ABM Ambiente Basso Molise
LitorAli – Associazione per la tutela dei Fratino e del suo habitat, Puglia
MEDITERRANEO NO TRIV, Basilicata
CDCA Abruzzo APS (Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali),
Salviamo l’Orso, Abruzzo
Coordinamento Tutela Vie Verdi Abruzzo
Rewilding Apennines Abruzzo
ARCI Comitato Chieti e Vasto,
Legambiente Circolo di Barletta
ENPA (Ente Nazionale Protezione Animali) Sezione di Barletta
Fondazione Cetacea Onlus, Rimini
Parents For future – Sezione di Verona,
FoCE – Forum Civico Ecologista, Vasto
GFV Gruppo Fratino Vasto
Comitato per la Salvezza della Pineta di Viareggio
Gruppo Cittadini volontari e attivisti per l’Ambiente, Ladispoli e Cerveteri
CO.RI.TA. Comitato Rimboschimento Città di Taranto
Museo Laboratorio della Fauna Minore del Parco Nazionale del Pollino
Associazione INTERPOLIS
Associazione Paliurus, Pineto
Retake Mola di Bari
Ottima iniziativa. Suggerisco di farne una analoga per le città storiche, i cui luoghi – spesso fragili e predati dal turismo di massa – sono addirittura utilizzati come ‘location’ per grandi eventi e vetrine del marketing aziendale di turno. Una predazione delle piazze, delle strade ma anche dei parchi urbani, permessa dalle amministrazioni prive di visione lungimirante e bisognose di far cassa. Strategie i cui risultati, effimeri e non durevoli, lungi dall’essere generatori di ricchezza diffusa, a medio e lungo termine hanno piuttosto sempre dimostrato tutta la loro potenza distruttiva materiale, economica e sociale. Grazie.
MENTRE LE POPOLAZIONI E I TERRITORI PAKISTANI SE LA PASSANO SEMPRE PEGGIO, GLI SCANZONATI TURISTI D’ALTA QUOTA INSISTONO NELLA “CONQUISTA” DELLE VETTE
(Gianni Sartori)
Ogni tanto, nello stillicidio quotidiano di donne curde ammazzate (non solo in Iran; anche in Turchia e nelle operazioni da guerra sporca extrafrontaliere in Rojava e Bashur), di adolescenti palestinesi fucilati sul posto e di Mapuche brutalizzati e incarcerati etc etc. …si infila timidamente qualche sporadica notizia di repressioni in Pakistan. Ai danni soprattutto delle popolazioni minorizzate (azara, beluci…) e delle classi subalterne.
E’ di questi giorni la notizia che le manifestazioni dei lavoratori delle scuole (non solo insegnanti) sono state represse duramente. Eventi che riportano alla mente quanto accadeva due-tre anni fa con le manifestazioni di medici, operatori sanitari, parenti di malati…che protestavano per la grave situazione sanitaria in cui versava – e versa tuttora, con le alluvioni poteva solo peggiorare – il Pakistan.
Scrivevo all’epoca:
“Situazione sanitaria che non si risolve certo con qualche donazione da parte di operatori turistici e organizzatori di spedizioni in alta quota creando ulteriore dipendenza e subalternità. Per dirne una, quest’anno una epidemia di Hiv ha colpito centinaia di bambini (di famiglie povere, particolare non secondario) a Ratodero. Le accuse nei confronti di un pediatra che avrebbe riutilizzato le stesse siringhe (evento probabile) avevano in realtà lo scopo di trovare un capro espiatorio, minimizzare la gravità della situazione (con centinaia di dentisti, barbieri e paramedici che operano direttamente in strada, senza rispettare, anche volendo, procedure e protocolli e utilizzando strumenti non sterilizzati) e mascherare così le responsabilità dello Stato.
Del resto la possibilità di cure adeguate per gran parte della popolazione, soprattutto la più diseredata, sta diventando un lusso inaccessibile e ci si arrangia come si può. Ma su questo la popolazione, i sindacati, le associazioni si stanno già, per quanto faticosamente, riorganizzando. Anche recentemente si sono avuti scontri con la polizia, con numerosi feriti e arresti, davanti a cliniche e ospedali per protestare contro la nuova legge RDHA che promuove la privatizzazione della sanità pachistana”.
E concludevo invocando l’adozione di forme di boicottaggio come avveniva nel secolo scorso nei confronti dell’apartheid di Pretoria (qualcuno rammenta la spinosa faccenda della Turban?) e, ancora oggi, della pulizia etnica di Ankara contro i curdi e di Israele contro i palestinesi.
Così, ripeto, si dovrebbe agire nei confronti di Islamabad che tra le altre cose perseguita e opprime con particolare brutalità i beluci (con migliaia di persone torturate, numerosi desaparecidos, oltre alle misure di sostituzione etnica).
Stavolta (ottobre 2022) è toccato agli insegnanti e ai lavoratori della scuola.
In particolare l’associazione degli insegnanti della scuola primaria aveva organizzato per il giorno 6 ottobre una manifestazione a Peshawar (bloccando qualche strada) per protestare contro l’abbassamento delle pensioni e chiedendo modifiche strutturali a livello scolastico.
Ma il governo ha fatto orecchie da mercante alle pur legittime richieste e ha scelto la via repressiva. Nel corso delle numerose, ripetute cariche della polizia decine di manifestanti rimanevano feriti. Tuttavia, nonostante il massiccio impiego di gas lacrimogeni e le manganellate, non riusciva a disperdere i manifestanti che, in qualche modo, fronteggiavano le forze dell’ordine e reggevano l’urto.
Numerose persone che avevano scelto (forse ingenuamente) di farsi curare in ospedale (o vi erano stati trasportate d’urgenza per la gravità delle ferite), venivano poi arrestate direttamente al pronto soccorso e negli ambulatori.
A giorni, indetto da vari sindacati e associazioni, è previsto uno sciopero generale per denunciare tali violenze applicate dal governo contro chi rivendicava diritti sacrosanti.
Tutto questo, dicevo, mentre le avanguardie turistiche neo-coloniali (mascherate da “alpinisti” e talvolta sotto copertura umanitaria…due-tre scatole di medicinali non si negano a nessuno e magari facilitano la concessione di permessi) si affannavano su qualche ottomila (salvo venirne talvolta ignominiosamente rigettate).
Intanto, alle falde di montagne e ghiacciai, la crisi morde, strazia e non fugge. Rimane a dilaniare la carne delle popolazioni. E quest’anno, proprio dai ghiacciai sotto pressione per i cambiamenti climatici, è venuto un ulteriore colpa di grazia. Forse non proprio definitivo, ma sicuramente difficile da incassare.
Gli esperti prevedono (e in parte si è già potuto constatarlo) che in quello che con i suoi oltre settemila viene chiamato “Terzo Polo”, le conseguenze dei cambiamenti climatici saranno sempre più devastanti (vedi Global Climate Index 2020).
Il caldo estremo dell’ultima estate è sicuramente all’origine delle inondazioni (dovute, oltre cha allo scioglimento accelerato dei ghiacciai alle piogge monsoniche particolarmente torrenziali) del 2022. Risultate ben quattro volte superiori per intensità e per danni provocati a quelle del 2010 (già bruttine per conto loro).
Con circa 50 milioni di persone colpite, oltre un migliaio di vittime accertate (senza contare i dispersi) e con il 90% dei terreni agricoli devastati (quando non letteralmente scomparsi). Per il Pakistan, tra i maggiori produttori mondiali di cotone e riso, un danno incalcolabile.
Come esportatore, fino all’anno scorso aveva garantito le forniture di cotone per vari marchi internazionali.
Cotone forse impropriamente spacciato per “sostenibile” mentre in realtà qui si assiste alla brutale esternalizzazione delle emissioni dell’Occidente. Oltre all’ipocrita ambientalismo di facciata da parte delle aziende, i cui profitti derivano dallo sfruttamento brutale della manodopera indigena.
Da segnalare che in genere le aziende (il “capitale fisso”, costruite in cemento) sono rimaste pressoché intatte mentre a subire il disastro ambientale sono ancora una volta le classi subalterne le cui abitazioni (“fuori norma”, estremamente fragili) venivano travolte dalla piena.
Va ricordato che il Pakistan contribuisce in minima parte alle emissioni di carbonio. Tuttavia, come è apparso evidente, subisce in maniera massiccia le conseguenze dell’inquinamento atmosferico prodotto dalle nazioni benestanti.
Un inciso: sarebbe questo il Paese sulle cui cime qualche operatore turistico di montagna, o i suoi ascari arruolati per la circostanza, intende esporre striscioni contro l’inquinamento in Veneto? *
Torniamo in Pakistan, anzi nella provincia periferica del Belucistan dove risultano crollate almeno una dozzina di dighe (ma la situazione risulta grave anche in Sindh e Punjab). Si presume che nelle loro realizzazione si sia risparmiato alla grande sui materiali e lucrato (anche con bustarelle) da parte di funzionari corrotti.
Senza entrare nel merito dell’eredità avvelenata dell’imperialismo britannico, fondata sull’estrema disparità socio-economica tra ceti dominanti (proprietari terrieri, militari, burocrati…) e il resto della popolazione, ricordo che dagli anni cinquanta del secolo scorso
le classi al potere fornicarono assai con varie imprese internazionali (anche italiane) nella realizzazione di infrastrutture idroelettriche e per l’irrigazione. Infatti oltre alle dighe anche molti canali si sono rivelati inadeguati e sono collassati con le alluvioni. Talvolta arrivando a imporre la deportazione di intere popolazioni (come alla diga di Taunsa, risultata poi del tutto inadeguata nel 2010).
E qui non posso non ritornare sul libro-intervista con Lacedelli di Giovanni Cenacchi in merito alla celebrata conquista del K2 nel 1954. Andando anche al di là delle intenzioni degli autori, leggendolo si può intuire quale fosse la reale posta in gioco.
Nonostante scelga di non approfondire più di tanto (pag. 115: “è questo un argomento su cui non è possibile trarre conclusioni certe”, sic!) sui rapporti tra il governo italiano e quello pachistano dell’epoca, l’autore non può evitare di accennare al fatto che le imprese italiane (tra cui spiccava la nota Impregilo), utilizzando sia finanziamenti governativi sia quelli della Banca mondiale, ebbero in appalto le “grandi opere”. In particolare quelle da realizzare nel bacino dell’Indo (dighe, canali, infrastrutture) come la monumentale diga di Tarbela. Senza escludere altri benefit politici, economici, commerciali, forse anche militari (vendita di armamenti?), in cambio del permesso per la spedizione. **
Ad aggravare il bilancio delle inondazioni del 2022 si aggiunge il fatto che tra gli oltre otto milioni di donne colpite, almeno 650mila risultavano incinte e circa 100mila dovrebbero partorire a breve scadenza. Anche a causa dei pregiudizi e tabù tradizionali che gravano sulla sessualità femminile, si assiste ora sia ad una inadeguata fornitura di materiale ginecologico, sia a una scarsa somministrazione di assistenza per le donne. Con il rischio di un incremento della mortalità (sia per le donne che per i feti), sia delle infezioni genitali.
Inoltre almeno un migliaio di strutture sanitarie risultano danneggiate (e ricordo, vedi sopra, la gravità preesistente della situazione sanitaria pakistana), di cui circa 200 completamente distrutte in Balucistan (per non parlare di tutte quelle diventate inaccessibili per il crollo di ponti e strade).
E in questo scenario desolante, in questa terra devastata, c’è chi arriva tutto pimpante per sciare o arrampicare…
Gianni Sartori
nota 1: Non entro poi neanche nel merito della questione “utilizzo dell’aereo (caso mai andate a riascoltavi Greta…). Ripensando ai miei tempi, quando in Nepal, India, mio cognato anche in Afghanistan e Pakistan ) si andava con l’autostop (si raccontavano storie terribili, in genere inventate, sui camionisti turchi e sul “passaggio in Kurdistan”). Perché, oltre a ovvie ragioni finanziarie, l’aereo era considerato “borghese”, soprattutto da chi andava in cerca di un’alternativa al consumismo occidentale, di spiritualità.… Oggi come oggi, chi si professa ambientalista dovrebbe trovare altri mezzi (in bici, a piedi…) o magari restarsene a casa. Appunto per ragioni ambientali. Mi sembra una contraddizione palese andare a protestare su quei monti e ghiacciai e contemporaneamente contribuire ulteriormente all’ecocidio planetario.
** nota 2: sempre dall’articolo citato, la recensione al libro “K2, fu vera conquista?” Riporto questo brano:
“Ma – per restare in clima coloniale – si va completamente fuori del vaso con il tentativo di giustificare Lacedelli & C per le problematiche sorte con i portatori hunza: le definisce un “tema d’atmosfera [a cosa si riferisce, forse a quella rarefatta delle alte vette?] che può imbarazzare nel racconto del nostro alpinista ampezzano”. E fustiga (pag. 90) preventivamente gli eventuali buonisti radical-chic con parole che riporto per esteso e che si commentano da sole:
Una retorica etnologica e terzomondista che affligge ancora oggi molte relazioni d’alpinismo extraeuropeo dipinge a volte l’indigeno di montagna come un “buon selvaggio”, generoso e sorridente, povero di beni materiali ma ricco di una spiritualità da cui noi ricchi occidentali dovremmo imparare valori rimossi. Il ricordo che Lino Lacedelli, montanaro tra i montanari agli antipodi culturali delle sue Dolomiti, ci consegna a proposito di hunza e balti è tutt’altro che edificante e “politically correct”. Tra i coolies della lunga carovana del K2 non mancavano soggetti affidabili e ammirabili, certo. Ma la maggior parte pare fosse costituita da fannulloni, scioperati e scioperanti, bugiardi, pronti a darsi malati e a fuggire alla prima occasione, non senza aver rubacchiato dalle italiche tasche. Lacedelli ricorda che a volte “era necessario prenderne uno o due da parte e usare la piccozza” (…). Fin qui note di colore.
Di colore? O forse intendeva “di dolore”? Lacedelli & C, poveretti, saranno anche stati figli del loro tempo, ma tali frasi vengono scritte e pubblicate nel XXI secolo (il libro è del 2004). Capite ora perché insisto: gli alpinisti, così come i loro parenti stretti, i turisti, è meglio se ne restino a casa loro. Dovunque vanno fanno solo danni, morali e materiali”.