Lo scorso anno è mancato Edward Osborne Wilson, biologo statunitense “padre” del programma di ricerca della sociobiologia, una scienza che ha segnato passi fondamentali nella definizione della teoria dell’evoluzione umana sul pianeta basata sui principi darwiniani per considerare il comportamento degli animali e dell’uomo come il prodotto dell’interazione tra l’ereditarietà genetica e gli stimoli ambientali.
Per i suoi studi, Wilson è stato per ben due volte insignito del Premio Pulitzer per la saggistica e le sue ricerche sono ora proseguite da molti colleghi in ogni parte del mondo. Pregevole, dunque, che una piccola e dinamica casa editrice italiana, Piano B edizioni, abbia voluto regalarci la pubblicazione della sua pietra miliare, quel “Sulla natura umana” che alla fine degli anni settanta pose le basi scientifiche e di pensiero per un campo di ricerca che fu allora definito rivoluzionario e tale resta ancora oggi.
Nel saggio, Wilson suggerisce di sottrarre la natura umana dai confini delle sole discipline umanistiche per riconoscerla secondo i dettami della scienza e dei suoi metodi. Il cervello umano, infatti, non è una semplice lavagna vuota/tabula rasa e la cultura non è una risposta cumulativa appresa dall’ambiente e dalla contingenza storica: c’è dell’altro…
Già, ci sono (anche) i geni, da cui discendono i nostri istinti. Questo enunciato fu vissuto come una provocazione poiché metteva in discussione i principi alla base dell’etica fino a sostenere che anche il cervello umano risulta basato su censori e motivatori da cui si origina la moralità. Scrive Wilson: «La sociobiologia fu vista non come una risorsa intellettuale, come speravo, ma come una minaccia per la visione della tabula rasa».
Le sue ricerche hanno così scardinato molte precedenti certezze e, basandosi sullo studio di molte specie (come le formiche, le api, le vespe o gli scimpanzè) ha imposto la teoria che i comportamenti sociali – dall’aggressione all’altruismo – hanno appunto una base genetica, un’idea fortemente alternativa rispetto all’opinione prevalente secondo cui i fattori culturali e ambientali determinano il comportamento umano.
Può apparire come un concetto difficile da interpretare, ma in realtà l’assunto primario è più facilmente comprensibile se ci concentriamo sulla funzione del cervello, una macchina di dieci miliardi di cellule nervose da cui dipendono i meccanismi della mente, ovvero la somma di attività di un numero finito di reazioni chimiche ed elettriche: «Esistono confini che limitano le possibilità umane, cioè siamo entità biologiche e il nostro spirito non può spaziare liberamente. Se il genere umano si è evoluto per mezzo della selezione naturale darwiniana, sono il caso genetico e la necessità ambientale, e non Dio, che hanno creato le specie. L’unica via per progredire è studiare la natura umana nell’ambito delle scienze naturali, nel tentativo di integrare tali scienze con le scienze sociali e le discipline umanistiche».
«L’ipotesi sociobiologica non spiega le differenze tra le società, ma può spiegare perchè gli esseri umani si differenziano dagli altri mammiferi e perchè, sotto un aspetto più limitato, essi assomigliano più strettamente agli insetti sociali».
Wilson ha prodotto anche diversi studi sulla biodiversità e sulla sua tutela e proprio a lui dobbiamo essere riconoscenti per quella che viene unanimemente considerata come la definizione più famosa della stessa parola “biodiversità”: «La varietà delle specie viventi, animali e vegetali, che si trovano sul nostro pianeta».
«Studi recenti hanno mostrato che un quinto dei vertebrati, gli animali meglio studiati (uccelli, mammiferi, pesci, anfibi, rettili), è ormai a rischio estinzione […] Tutti i nostri sforzi di conservazione hanno avuto come risultato un rallentamento del tasso di estinzione, ma solo per un quinto di questo gruppo a rischio. La causa principale dell’estinzione delle specie è la distruzione degli habitat. Se un habitat si riduce, il numero di specie che quell’habitat può sostenere diminuisce approssimativamente con la radice quarta dell’area: se si vuole salvare l’80% delle specie si deve preservare il 50% dell’area originale. In tutto il mondo oggi sono protetti il 15% delle terre emerse e il 3% dei mari. Ma rimangono molti altri territori ricchi dal punto di vista biologico che, se trasformati in riserve, ci permetterebbero di raggiungere il 50%».
Della scienza abbiamo un bisogno estremo. A patto che essa venga ascoltata…
Sulla natura umana
di Edward Osborne Wilson.
Piano B Edizioni, Euro 18
(Recensione di Alessandro Mortarino)